Non risponde il libero professionista del reddito fatturato illegittimamente dalla società (Cass. n. 20262/2013)

Redazione 04/09/13
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Svolgimento del processo

A seguito di accertamento effettuato dal Comando Nucleo Polizia Tributaria di Aosta nei confronti della Dental Center di B. Annunziato e C s.a.s. – a favore della quale R.G., medico odontoiatra, aveva effettuato alcune prestazioni regolarmente fatturategli agenti ritenevano che la società svolgesse attività odontoiatrica nonostante il divieto imposto dalla L. n. 1815 del 1939 e, conseguentemente, che le prestazioni odontoiatriche rese ai pazienti dalla suddetta società andavano ricondotte ai professionisti che le avevano fatturate. Di conseguenza il reddito percepito dalla società veniva imputato a tutti i medici operanti nella struttura.

In particolare, all’odierno ricorrente veniva notificato avviso di accertamento di maggior reddito ai fini IPERF per l’anno di imposta 1993.

Il ricorso proposto avverso detto avviso veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale ma la sentenza veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, riteneva che il rapporto tra medico e paziente “è diretto anche fiscalmente” e che la Dental Center s.a.s non poteva sostituirsi al medico libero professionista nel percepire gli onorari dovuti.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il contribuente.

Agenzia delle Entrate si è limitata a depositare comparsa di costituzione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

0.Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze non risultando che detto Ente abbia partecipato ai precedenti gradi di giudizio.

1.Con il primo motivo -rubricato “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui alla L. n. 815 del 1939, artt. 1 e 2 e R.D. n. 1334 del 1928, artt. 1 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo del disconoscimento della legittimità della prestazione d’opera compiuta dalla società nei confronti dell’utente finale nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto” – il ricorrente deduce l’erroneità dell’assunto contenuto nell’avviso di accertamento, e fatto proprio dalla sentenza impugnata, secondo cui la Dental Center s.a.s. non poteva svolgere attività alcuna nei confronti di soggetti privati per effetto del disposto della L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2. Secondo la prospettazione difensiva i Giudici di appello non avevano considerato che l’attività effettuata da detta società non era riconducibile ad attività medica professionale protetta sussumendosi, piuttosto, in attività di fornitura a carattere artigianale di protesi con l’ausilio di idonea struttura medica ove era previsto l’intervento dell’odontoiatra. Inoltre, l’avviso era illegittimo in quanto -non essendosi proceduto ad una puntuale riqualificazione di alcune o di tutte le prestazioni fatturate da *************- il reddito della società era stato imputato in parti uguali ai medici professionisti che operavano nella struttura al pari di uno studio professionale associato. Il ricorrente, pertanto, deduceva che le disposizioni di cui alla L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2 non vietavano alla Dental Center s.a.s. di svolgere l’attività di cui all’oggetto sociale emettendo regolare fattura e/o ricevuta fiscale a favore dell’utente finale, avvalendosi per tale attività dell’apporto conoscitivo di medici odontoiatri che rilasciavano regolare fattura per le prestazioni professionali erogate.

1.1 Il motivo non appare meritevole di accoglimento.

A fronte dell’accertamento in fatto effettuato dal Giudice di appello in ordine all’effettivo svolgimento di attività odontoiatrica da parte della Dental Center s.a.s. il motivo tende ad una nuova inammissibile valutazione del merito senza, peraltro, che vengano allegati, con carenza di autosufficienza, gli elementi acquisiti al processo dai quali dovrebbe risultare che detta società svolgesse la dedotta “attività artigianale di fornitura protesi”. Nè allo scopo appare decisiva la sentenza del T.A.R. citata in ricorso laddove, tra l’altro, tale Giudice ha evidenziato di ritenere “garanzia sufficiente per l’esatta individuazione dei soggetti che svolsero le varie prestazioni ed ai fini del rimborso delle prestazioni medesima il fatto che l’originale della fattura o della ricevuta fiscale debba essere rilasciata a titolo personale da medici odontoiatri secondo le rispettive competenze”.

2 Con il secondo motivo -rubricato “violazione e/o falsa applicazione del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”- il ricorrente denuncia l’omissione da parte della C.T.R. di ogni considerazione e/o motivazione in relazione all’imputazione del reddito della s.a.s. ai medici professionisti che risultavano avere in essere un rapporto professionale alla data dell’accertamento, non comprendendosi sulla scorta di quali parametri normativi risulti possibile riversare il reddito prodotto dalla società sul dottore R. il quale aveva, pacificamente, svolto solo alcune prestazioni odontoiatriche fatturate alla società oltre ad avere rivestito l’incarico di Direttore sanitario.

In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza -nel motivare che il ricorrente esercitava la propria attività presso un struttura organizzata..che offre, oltre alla sede, una serie di servizi e di attrezzature per poter svolgere al meglio la propria attività di odontoiatra- non aveva considerato che qualora il dr. R. avesse emesso fattura direttamente nei confronti dell’utente finale avrebbe necessariamente indicato i costi sostenuti per le prestazioni della Dental Center e, pertanto, non solo non vi sarebbe stata alcuna variazione reddituale ma, di più, la pretesa tributaria si sarebbe risolta in una indebita locupletazione d’imposta oltre che in una doppia imposizione fiscale. In conseguenza, la tesi propugnata nella sentenza impugnata si appalesava, oltre che infondata, anche facente una scorretta applicazione del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 ai sensi della quale i rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

2.1. Il motivo è inammissibile. Il mezzo, infatti, fondato su circostanze meramente ipotetiche, si appalesa inconducente laddove la dedotta violazione dell’art. 2 dello Statuto del contribuente risulta inconferente rispetto al decisum.

3 Con il terzo motivo -rubricato “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2229, 2231 e art. 1418 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3. Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 2082 e 2247 c.c. e della L. n. 917 del 1986, artt. 5, 6 e 55 nonchè omessa insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine all’accertamento ed all’imputazione del reddito”- il ricorrente deduce che l’asserita illegittimità dell’attività svolta da ************* di B. s.a.s avrebbe dovuto comportare come logica conseguenza la nullità assoluta del rapporto contrattuale intercorso, da rilevarsi anche d’ufficio, con la conseguenza che divenivano insussistenti sia il diritto della società al corrispettivo che quello del cliente di ripetere quanto versato e che, in definitiva, nessun reddito poteva essere attribuito al ricorrente sulla scorta di un contratto nullo. Infine l’avviso di accertamento prescindeva da ogni accertamento in ordine all’intenzionale esercizio in comune tra i soci di una attività commerciale con scopo di lucro. Il motivo è fondato.

L’avviso di accertamento, oggetto del contendere, per come è pacifico, dall’accertata illegittimità dell’attività svolta dalla Dental Center di B. Annunziato e C. s.a.s. fa conseguire l’imputazione di tutti i redditi della detta società in parti uguali ai medici professionisti; detti criteri paiono postulare l’accertamento di un reddito di impresa di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 5, 6 e 55 (TUIR). Tesi questa che viene valorizzata, quale assorbente ratio decidendi, nella sentenza impugnata.

Ora, non pare revocabile in dubbio che dalla nullità del rapporto avente ad oggetto una attività professionale “protetta” intercorso tra la società ed il paziente, posta dall’Amministrazione finanziaria a fondamento dell’avviso di accertamento, conseguono effetti esclusivamente sulle parti contrattuali determinandosi l’insussistenza del diritto della società al compenso e la sussistenza del contrapposto diritto del cliente a ripetere quanto a tale titolo versato.

Da tale vizio genetico del rapporto contrattuale tra società e cliente, in sè considerato, ed al quale, nel caso di specie, il professionista è rimasto estraneo (siccome prestatore d’opera in favore della società) non può, pertanto, farsi discendere quale automatica conseguenza l’imputazione del reddito conseguito dalla società al medico-libero professionista.

In altri termini, il reddito invalidamente conseguito da una società per svolgimento di attività professionale “protetta” non può imputarsi, solo ed esclusivamente a causa della nullità del rapporto contrattuale ed in mancanza di ulteriori e diversi elementi che tale imputazione legittimino, al professionista che ha svolto detta attività, fatturata, in favore della società.

In tal senso del tutto erronea deve ritenersi, pertanto, l’argomentazione della Commissione Tributaria Regionale la quale dall’illegittimità dell’attività svolta dalla s.a.s. e dal riconoscimento del carattere strettamente personale della prestazione medico-cliente ha fatto derivare “sic et simpliciter” la legittimità dell’imputazione dei redditi societari al medico perchè questi “deve rispondere in modo fiscalmente autonomo” non potendo la società “sostituirsi al medico libero professionista nel percepire gli onorari dovuti dai pazienti e pagare contributi fiscali dovuti per il solo fatto che il medico, libero professionista, esercita in una sua struttura”.

E ciò a maggior ragione, nel caso in specie, in cui la sussistenza di eventuali legami societari (tra la società ed il ricorrente) ovvero associativi (tra i singoli professionisti che esercitavano la propria attività avvalendosi della struttura fornita dalla Dental Center s.a.s., tesi sottesa alla motivazione impugnata), oltre a non essere stati specificamente evidenziati nell’avviso di accertamento, o sono stati direttamente esclusi dalla C.T.R. (la quale ha escluso che il dott. R. fosse “comproprietario” della società) o non hanno formato oggetto di accertamento da parte della sentenza impugnata.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente. Tenuto conto della natura della controversia e di tutte le peculiarità della fattispecie le spese di tutti i gradi di giudizio vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

in accoglimento del terzo motivo di ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali di tutti i gradi.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2013.

Redazione