Non ha natura provvedimentale il recupero di somme erroneamente corrisposte dalla P.A. ai propri dipendenti (Cons. Stato n. 2705/2012)

Redazione 10/05/12
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Massima

Con riferimento al provvedimento con il quale l’amministrazione dispone il recupero di somme erroneamente corrisposte ad un suo dipendente, è erronea la sentenza che afferma che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/90, costituirebbe causa di illegittimità dell’atto stesso; la mancanza di tale adempimento non influisce né sulla debenza o meno delle somme, né sulla possibilità di difesa del destinatario, che, infatti, nell’ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare-avere paritetico, può far valere le sue eccezioni contrarie all’esistenza del credito nell’ordinario termine di prescrizione.

Per consolidata giurisprudenza, il provvedimento con il quale l’amministrazione dispone il recupero di somme erroneamente corrisposte ad un suo dipendente non è annullabile ex art. 21 octies c. 2, l. n. 241/90 per violazione dell’obbligo di avviso di avvio del procedimento di ripetizione, in quanto il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Difatti, la percezione di emolumenti non dovuti da parte dei pubblici dipendenti impone all’Amministrazione l’esercizio del diritto-dovere di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 c.c.: il recupero è atto dovuto, privo di valenza provvedimentale.

Nelle ipotesi di provvedimenti con i quali l’amministrazione dispone il recupero di somme erroneamente corrisposte ad un suo dipendente, l’interesse pubblico è “in re ipsa” e non richiede specifica motivazione, in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l’atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. (a cura del **************)

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza breve il TAR Liguria ha annullato il provvedimento di recupero di un credito erariale per la ritenuta violazione delle garanzie partecipative del soggetto passivo destinatario del provvedimento impugnato, derivante:

— dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 anche al fine di consentire all’impiegato di documentare la propria situazione (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 13 luglio 2006 , n. 4413).

– dall’inapplicabilità “della sanatoria ex art. 21 octies comma 2 L. n. 241 del 1990 (in astratto applicabile ratione temporis, trattandosi di norma processuale) deriva sia dalla mancanza della necessaria eccezione dell’amministrazione, sia dall’insussistenza del presupposto che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, stante la predetta necessità di esaminare prima in sede procedimentale gli elementi dedotti dal ricorrente”.

Il Ministero dell’Economia con un’unica rubrica denuncia la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990.

L’appellato si è costituito in giudizio e, con un’articolata memoria, dopo aver riepilogato tutta la vicenda, ha sottolineato le argomentazioni a sostegno della decisione impugnata anche in relazione all’art.3 del R.D.L. 19 gennaio 1939, n. 295.

Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è fondato.

La questione è stata più volte esaminata dalla Sezione in senso conforme alle censure dell’Amministrazione.

Esattamente l’Avvocatura deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art . 7 L. 7 agosto 1990, n. 241, costituirebbe causa di illegittimità dell’atto stesso.

Certamente sarebbe largamente auspicabile che ogni Amministrazione si rapportasse sempre e comunque con lealtà ed equità (fairness and equity) nei rapporti con i proprio dipendenti; tuttavia la mancanza di tale adempimento non influisce né sulla debenza o meno delle somme, né sulla possibilità di difesa del destinatario, che, infatti, nell’ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare-avere paritetico, può far valere le sue eccezioni contrarie all’esistenza del credito nell’ordinario termine di prescrizione.

Parimenti ha ragione quando, ricorda che per consolidata giurisprudenza, il provvedimento con il quale l’amministrazione dispone il recupero di somme erroneamente corrisposte ad un suo dipendente non è annullabile ex art . 21 octies comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241 per violazione dell’obbligo di avviso di avvio del procedimento di ripetizione, in quanto il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. infra multa Consiglio Stato sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1167, Consiglio Stato sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2410; Consiglio Stato sez. VI, 24 giugno 2006, n. 4053).

La percezione di emolumenti non dovuti da parte dei pubblici dipendenti impone all’Amministrazione l’esercizio del diritto-dovere di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 c.c.: il recupero è atto dovuto, privo di valenza provvedimentale(cfr. Consiglio Stato, Sez. IV, 10 dicembre 2010 , n. 8725; Consiglio Stato, sez. VI, 09 dicembre 2010, n. 8639; Consiglio Stato, Sez. VI, 09 dicembre 2010, n. 8639; Consiglio Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7503; Consiglio Stato, sez. V, 02 luglio 2010, n. 4231; ecc.).

In tali ipotesi l’interesse pubblico è “in re ipsa” e non richiede specifica motivazione, in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l’atto oggetto di recupero produce di per sé un danno per l’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 14 luglio 2011, n. 4284; Consiglio Stato, sez. VI, 27 novembre 2002, n. 6500).

La non ripetibilità delle maggiori somme corrisposte dall’Amministrazione al dipendente può, semmai, trovare riscontro solo in specifiche disposizioni normative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 03 dicembre 2010, n. 8503).

Il solo temperamento al principio dell’ordinaria ripetibilità dell’indebito è rappresentato dalla regola per cui le modalità di recupero devono essere, in relazione alle condizioni di vita del debitore, non eccessivamente onerose, ma tali da consentire la duratura percezione di una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 17 giugno 2009, n. 3950).

Nel caso di indebita erogazione di denaro ad un pubblico dipendente l’affidamento di quest’ultimo e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio da parte dell’Amministrazione del potere di recupero e l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 232).

Nel caso, peraltro, la continuazione dell’erogazione delle somme era stata effettuata “con riserva”, e comunque l’appellante aveva ottenuto una rateizzazione in data 26.9.2006.

In conclusione, l’appello va accolto e deve conseguentemente essere annullata l’impugnata sentenza di primo grado.

Le spese, tuttavia, possono essere integralmente compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___ 1. Accoglie l’appello, come in epigrafe proposto, e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

___ 2. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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