Non è sollevabile l’eccezione di difetto di giurisdizione dalla parte che vi ha dato luogo (Cons. Stato, n. 5420/2013)

Redazione 12/11/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10033 del 2001, proposto da: *************, ********** e *************, tutte rappresentate e difese dall’avv. *************, con domicilio eletto presso ************** in Roma, via Cola di Rienzo 180
contro
Comune di Perugia, rappresentato e difeso dall’avv. ****************, con domicilio eletto presso ************** in Roma, via Maria Cristina 8;
sul ricorso numero di registro generale 10034 del 2001, proposto da: ***********, ******** quale rappr. prov. Sind. Naz. Slai Cobas, S. Marinella, **********, ********, ************, *********, **********, **********, *****************, **********, tutti rappresentati e difesi dall’avv. *************, con domicilio eletto presso *********************** in Roma, via Cola di Rienzo, 180;
contro
Comune di Perugia, rappresentato e difeso dall’avv. ****************, con domicilio eletto presso ************** in Roma, via Maria Cristina 8;
per la riforma
quanto al ricorso n. 10033 del 2001:
della sentenza del T.a.r. Umbria – Perugia n. 00307/2001, resa tra le parti, concernente concorsi interni;
quanto al ricorso n. 10034 del 2001:
della sentenza del T.a.r. Umbria – Perugia n. 00307/2001, resa tra le parti, concernente concorsi interni
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013 il Cons. *************** e uditi per le parti gli avvocati ************* e ****************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con i ricorsi introduttivi del giudizio i ricorrenti, pur nella diversità delle rispettive posizioni, impugnavano dinnanzi al Tar Umbria le delibere con cui la Giunta municipale di Perugia aveva stabilito di coprire i posti vacanti delle qualifiche funzionali quinta, sesta e settima mediante specifici concorsi interni, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 127 del 1997.
Con sentenza n.307/ 2001 il Tar adito, dopo aver affermato la propria giurisdizione, dichiarava i gravami in parte inammissibili ed in parte li respingeva, condannando i ricorrenti in solido alle spese di giudizio, liquidate nella misura complessiva di euro 15.000,00.
Avverso detta sentenza alcuni degli originari ricorrenti (e cioè P. N., M. e M.) hanno quindi interposto separato appello ( R.G. 10033/2001), chiedendone la riforma limitatamente al solo capo relativo alla condanna alle spese, previa contestazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Avverso la medesima sentenza un’altra parte degli originari ricorrenti (e cioè P., P., S., L., C., C., G., B., B., F. e F. ) hanno parimenti interposto separato appello ( R.G. n.10034/ 2001 ), chiedendone l’integrale riforma.
Si è costituito in ambedue i gravami il Comune di Perugia, chiedendone la reiezione siccome privi di fondamento.
Con successive memorie le parti hanno insistito nelle rispettive tesi giuridiche.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2013 le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1. I due ricorsi, attesa la loro connessione, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia.
2. Il primo ricorso ( R.G. 10033/2001 ) è in parte inammissibile ed in parte infondato, nei sensi di seguito precisati.
2.1. Sotto un primo profilo le ricorrenti deducono l’erroneità della gravata sentenza, laddove ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo.
2.2. La censura è inammissibile.
2.3. Ed invero, come precisato dal più recente insegnamento della giurisprudenza amministrativa che il Collegio pienamente condivide, deve ritenersi non più sollevabile l’eccezione di difetto di giurisdizione dalla parte che vi ha dato luogo agendo in primo grado mediante la scelta del giudice del quale, poi, nel contesto dell’appello, disconosce e contesta la giurisdizione.
Ritenere il contrario, infatti, si porrebbe in contrasto con i principi di correttezza e affidamento che modulano il diritto di azione e significherebbe, in caso di domanda proposta al giudice carente di giurisdizione non rilevata d’ufficio, attribuire alla parte la facoltà di ricusare la giurisdizione a suo tempo prescelta, in ragione dell’esito negativo della controversia (cfr. Cons. Stato, Sez. V,10.03.2011,n. 1537 ).
Ed a tale approdo ermeneutico si deve giungere “oltre che in ragione delle modificate regole processuali che governano la rilevazione del difetto di giurisdizione, anche in funzione del principio generale che vieta, anche in sede processuale, ogni condotta integrante abuso del diritto, quale è da ritenersi, a guisa di figura paradigmatica, il venire contra factum proprium dettato da ragioni meramente opportunistiche .Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 15 novembre 2007,n. 23726) e l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (decisione 23 marzo 2011,n. 3) hanno, infatti, riconosciuto la vigenza, nel nostro sistema, di un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva, divieto che, ai sensi dell’articolo 2 Cost. e dell’articolo 1175 c. c., permea le condotte sostanziali al pari dei comportamenti processuali di esercizio del diritto” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7.02. 2012 n. 656).
In particolare la Cassazione ha efficacemente affermato che “l’abuso del diritto, lungi dall’integrare una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore.
È ravvisabile, in sostanza, quando nel collegamento tra il potere conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenza di tale eventuale abuso, l’ordinamento pone una regola generale nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possono essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti – ed i diritti connessi – attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata”.
Alla stregua delle coordinate tracciate dall’indirizzo interpretativo in esame, il divieto di abuso del diritto, in quanto espressione di un principio generale che si riallaccia al canone costituzionale di solidarietà, si applica anche in ambito processuale, con la conseguenza che ogni soggetto di diritto non può esercitare un’azione con modalità tali da implicare un aggravio della sfera della controparte, sì che il divieto di abuso del diritto diviene anche divieto di abuso del processo.
Si giunge, così, all’elaborazione della figura dell’abuso del processo quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa.
In conclusione, in applicazione delle regole processuali di cui al decreto legislativo n. 104/ 2010 ed in funzione del principio generale che colpisce il divieto dell’abuso del diritto con la sanzione del rifiuto della tutela, volta ad impedire il conseguimento dell’obiettivo non correttamente perseguito, risulta inammissibile il rilievo con cui le odierne appellanti, ricorrenti in primo grado, hanno sollevato il difetto di giurisdizione del giudice adito.
2.4 Sotto un secondo profilo, le ricorrenti contestano la gravata sentenza, nella parte in cui le ha condannate al pagamento in solido per le spese di lite, quantificando il relativo importo nella misura complessiva di euro 15.000,00.
Assumono, al riguardo, che detta condanna si porrebbe in “evidente contraddizione con la motivazione della sentenza nella parte in cui…… viene espressamente riconosciuta la fondatezza di censure di legittimità idonee a determinare l’annullamento degli atti impugnati… vedi pagina 13 della sentenza…” e che, comunque, l’importo liquidato sarebbe obiettivamente eccessivo, avuto riguardo, tra l’altro, al valore indeterminato della causa.
2.5 La doglianza non ha pregio.
2.6. Per un verso, infatti, non sussiste la asserita contraddittorietà della condanna con la motivazione, in quanto il primo giudice in tutto il corpo motivazionale (e neppure nella richiamata pagina 13) non riconosce mai espressamente la fondatezza di qualsivoglia censura di legittimità, dichiarando viceversa privi di fondamento tutti vari motivi dedotti dai ricorrenti.
Per altro verso, poi, avuto riguardo all’impegno difensivo che i due ricorsi di primo grado hanno comportato, all’oggettivo rilievo della controversia, nonché al numero dei ricorrenti (15), l’importo complessivo della condanna (euro 15.000,00) non risulta obiettivamente eccessivo, ma viceversa nei limiti del ragionevole, risolvendosi nella cifra di euro 1.000,00 per ciascun ricorrente.
3. Il secondo ricorso (R.G. 10034/ 2001) è parimenti in parte inammissibile ed in parte infondato, nei sensi di seguito precisati.
3.1. Con il primo ed il terzo mezzo di censura i ricorrenti deducono l’erroneità della gravata sentenza in punto di giurisdizione e di condanna alle spese, adducendo le stesse sostanziali argomentazioni sviluppate alla riguardo dagli altri appellanti.
Per quanto sopra, non può che farsi formale rinvio a quanto già precisato ai punti 2.3 e 2.6 che precedono, rilevando l’inammissibilità e l’infondatezza delle rispettive doglianze.
3.2. Con il secondo mezzo di censura i ricorrenti assumono l’erroneità della gravata sentenza, laddove ha disatteso nel merito le censure dai medesimi dedotte in primo grado.
Sostengono, al riguardo, che il Tar avrebbe “disatteso la reale portata” dell’articolo 6, comma 12, della legge 127 del 1997, escludendo che la norma possa interpretarsi nel senso “restrittivo” indicato nel ricorso e ritenendo, di conseguenza, che la particolarità del profilo o della figura professionale non vada “ricercata con riferimento ad una specifica attività di lavoro che sia atipica ed esclusiva di un particolare ente locale”, bensì “nella specifica esperienza professionale personalmente maturata dal dipendente proprio in quel settore lavorativo”.
Ribadiscono che “presupposto per l’indizione del concorso riservato” sarebbe “l’individuazione di profili particolari, ossia profili professionali caratterizzati da funzioni sostanzialmente e formalmente peculiari non riconducibili alle funzioni ordinariamente svolte nell’ambito delle qualifiche di appartenenza”.
Assumono, inoltre, che il Tar avrebbe altresì errato nel respingere il quinto motivo del ricorso 255/99, con cui veniva dedotta l’illegittimità dei bandi di concorso in quanto tutti emanati in data 23. 02.1999, mentre la delibera di Giunta n. 1054 del 19.11.1998 che ne autorizzava l’emanazione è divenuta esecutiva l’11.03.1999.
Rilevano, al riguardo, che” l’eccezione mossa dal Tar per escludere la fondatezza della censura richiamando il principio sulla conservazione degli atti giuridici” sarebbe “in realtà non pertinente dal momento che, allorquando la deliberazione ha assunto esecutività l’Amministrazione aveva perso il potere di bandire i concorsi riservati in forza dell’art. 12 del Contratto nazionale del 25.2.1999”.
3.3. La doglianza non ha pregio.
3.4. In primo luogo, infatti, la stessa si rivela inammissibile in ragione dell’assenza di una critica effettiva ed autonoma alle motivazioni addotte dalla sentenza appellata, al fine di pervenire alla statuizione di rigetto.
La lettura congiunta di quest’ultima e dei motivi di gravame consente, infatti, di percepire che l’atto di appello, da un lato, si traduce sostanzialmente nella riproposizione dei motivi dedotti con il ricorso originario e, dall’altro lato, reca una generica critica alla sentenza senza confutare in modo adeguato le articolate considerazioni espresse dal primo giudice a sostegno della statuizione resa.
3.5. In secondo luogo, la doglianza è comunque priva di fondamento.
3.6. Per un verso, infatti, correttamente il primo giudice ha chiarito “che il concetto di profili e figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all’interno dell’ente non può interpretarsi nel senso (restrittivo) indicato dalla difesa dei ricorrenti” in quanto se “è vero.. che con detta espressione normativa si è inteso escludere che le professionalità in questione possano essere quelle che il dipendente comunale abbia già maturato all’esterno (eventualmente anche presso altri Comuni di analoghe dimensioni) … è pur vero, però, che l’inscindibile ed esclusiva correlazione fra le professionalità acquisite ed il lavoro svolto nell’ambito dell’Ente locale di appartenenza non deve far pensare a profili e figure professionali che esistono solo in un determinato Comune e, nella specie, solo nel Comune di Perugia. Se così fosse, la norma non avrebbe senso concreto, atteso che, come pure sostiene la difesa dei ricorrenti, le funzioni amministrative e tecniche di V, VI e VII qualifica sono a livello nazionale pressoché similari, quale che sia il Comune di appartenenza”.
Così, è “del tutto logico ritenere che la particolarità del profilo o della figura professionale per i quali può essere previsto il concorso riservato non va ricercata con riferimento ad una specifica attività di lavoro che sia tipica ed esclusiva di un particolare Ente locale…. bensì nella specificità dell’esperienza professionale personalmente maturata dal dipendente proprio in quel settore lavorativo e nell’ambito esclusivo dell’Ente medesimo”.
Ed al riguardo, “appare sufficiente rilevare che nella motivazione della delibera impugnata non solo si dà atto dell’avvenuta verifica delle mansioni che caratterizzano le singole professionalità di tali qualifiche ma si precisa altresì che la partecipazione a detti concorsi è stata riservata solo nell’ambito di quel personale che abbia concretamente e direttamente svolto per un certo tempo mansioni specifiche, tali da giustificare il possesso di una particolare professionalità idonea a coprire il posto di qualifica superiore”.
3.7. Per altro verso, poi, il richiamo del principio di conservazione operato dal primo giudice è del tutto pertinente atteso che, una volta “conservata” la delibera di Giunta n.1054/1998, le conseguenti procedure concorsuali vengono a risultare bandite dall’Amministrazione nella pienezza dei suoi poteri.
4. Per quanto sopra esposto, i due ricorsi sono in parte inammissibili e per la restante parte infondati e, come tali, da respingere.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li dichiara in parte inammissibili e per la restante parte li respinge, nei sensi di cui in motivazione
Condanna ciascun ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Perugia resistente, delle spese del grado di giudizio, che si liquidano singolarmente in euro 1.500,00 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2013 

Redazione