Non è revocabile la confisca sui beni dell’evasore fiscale che nel frattempo restituisce a rate al fisco l’imposta non pagata (Cass. pen. n. 11836/2013)

Redazione 13/03/13
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 gennaio 2012 il Tribunale di Genova – Sezione per il Riesame – rigettava l’appello proposto da B. E. – indagato per il reato di cui all’art. 10 ter del D.L.vo 74/00 (omesso versamento dell’IVA dovuta per l’anno di imposta 2007) – avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Genova con la quale era stata rigettata la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni patrimoniali di pertinenza del detto indagato fino alla concorrenza dell’importo di € 104.189,00 quale profitto del reato suddetto.
2. Il Tribunale, dopo aver richiamato il complessivo quadro normativo di riferimento condivideva interamente le argomentazioni contenute nel provvedimento del GIP e segnatamente — per quanto qui rileva — la circostanza della irrilevanza nel processo penale tributario — di eventuali negoziazioni con l’Amministrazione Finanziaria volte al pagamento, ancorchè tardivo, dell’imposta, stante la diversa operatività sul piano sanzionatorio del sistema penale tributario rispetto a quello fiscale vero e proprio, Osservava il tribunale ligure come l’eventuale pagamento della somma pretesa dall’Amministrazione Finanziaria non aveva effetti estintivi sul piano penale, ma solo, in ipotesi, attenuativi per effetto di quanto previsto dall’art. 13 del D.L.vo in parola. Inoltre il Tribunale evidenziava che a fronte di tale eventuale mitigazione delle sanzioni penali in caso di pagamento postumo della imposta (pagamento considerato in funzione risarcitoria rispetto alla violazione penale già consumata), il sequestro funzionale alla confisca per equivalente assolveva ad una funzione squisitamente sanzionatoria, richiamando la giurisprudenza formatasi di recente sul punto e concludeva affermando che stante la distinzione tra profitto del reato e concreto arricchimento percepito dal contribuente, la confisca non potrebbe venire meno trattandosi di una ipotesi di confisca obbligatoria.
3. Per l’annullamento dell’ordinanza ricorre l’indagato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo un unico motivo consistente nella violazione di legge per erronea applicazione della legge penale (art. 322 ter cod. pen.). La difesa, pur condividendo le premesse dalle quali era partito il Tribunale in punto di individuazione del momento consumativo del reato ipotizzato (coincidente con il perfezionamento del profitto) e di limiti alla confisca (ammissibile solo per un valore corrispondente a quello dell’imposta evasa), non concorda con le conclusioni enunciate in merito agli effetti dell’accordo transattivo intervenuto con l’Amministrazione Finanziaria che prevedeva il pagamento rateale della imposta evasa nella sua integralità. A giudizio del ricorrente, in ciò confortato da una recente pronuncia di questa Corte Suprema (pronuncia, peraltro, richiamata anche dal Tribunale), la sanatoria della posizione debitoria da parte del contribuente eliderebbe in radice l’oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca: una soluzione diversa, quale quella seguita dal Tribunale, determinerebbe in misura irragionevole una duplicazione dell’apprensione economica senza che possa assumere rilevanza l’operatività su piani diversi della sanzione penale rispetto a quella fiscale vera e propria.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Il ricorso non è fondato. Va premesso che nessuna questione si pone in merito alla individuazione del momento consumativo del reato di cui all’art. 10 ter del D.L.vo 74/00, né in ordine all’ammontare della somma sequestrata in quanto coincidente con l’ammontare del profitto.
1.2 Quello che viene in rilievo è invece la possibilità per il contribuente il quale abbia adempiuto alla obbligazione tributaria in ritardo, di evitare l’assoggettabilità a sequestro della somma sul presupposto di una definizione completa della pretesa tributaria che farebbe venir meno il profitto e di riflesso il presupposto per una eventuale confisca per equivalente rispetto alla quale il sequestro costituisce atto prodromico.
1.3 Va subito osservato che il Tribunale dei Riesame ha correttamente ritenuto che il sequestro è stato in concreto disposto in funzione della confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p., comma 2 del codice penale. Trattasi, come condivisibilmente ricordato dal Tribunale, di una misura di tipo sanzionatorio (ma non solo tale) volta ad eliminare l’ingiustificato arricchimento del colpevole conseguente alla commissione del reato.
2. Non ignora questa Corte il principio secondo il quale il sequestro preventivo non ha alcuna ragion d’essere nel caso di una eventuale restituzione all’Erario del profitto del reato che farebbe venire meno lo scopo perseguito con la confisca (Cass. Sez. 3^ 1.12.2010 n. 10120, **********, Rv. 249752). Con tale pronuncia, peraltro, la Corte ha avuto modo di escludere il rischio di una possibile duplicazione della sanzione, attesa la diversa natura della confisca per equivalente (che ha lo scopo di impedire all’evasore di assicurarsi il vantaggio programmato con l’evasione), nella ipotesi di restituzione all’Erario del profitto derivante dal reato (individuato con l’ammontare dalla imposta evasa).
2.1 Occorre però precisare cosa debba intendersi per profitto del reato tributario: andrebbe evocato, in linea con quanto già autorevolmente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. SS.UU. 25.6.2009 n. 38691, ******, Rv. 244189) il concetto di profitto corrispondente al vantaggio economico conseguente (in questo caso) alla evasione fiscale, nozione di più ampio respiro che include anche vantaggi mediati non necessariamente coincidenti con la tradizionale nozione di profitto desumibile dall’art. 240 cod. pen. Più di recente, a riprova della diversa nozione di profitto in ambito tributario, è stato affermato che “il profitto confiscabile in materia di reati tributari è rappresentato da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione dell’illecito e può dunque consistere, anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’”accertamento del debito tributario” (Cass. Sez. 5^ 10.11.2011 n. 1843, ********, Rv. 253480).
2.2 Vero è che comunemente nei delitti tributari il profitto viene ricondotto all’ammontare dell’imposta evasa con ovvio riferimento ad un importo determinato in conseguenza di specifici accertamenti tributari: ma esso ingloba oltre l’ammontare dell’imposta evasa propriamente detta, anche le sanzioni ed altre eventuali somme dovute (art. 7 comma 1 del D.L.vo 218/97), il che conduce ad una diversa quantificazione del profitto da intendersi come vero e proprio risparmio di spesa che non esclude vantaggi ulteriori riflessi per il soggetto evasore.
3. Va aggiunto – come esattamente rilevato dal Tribunale – che l’art. 13 del D.L.vo 74/00 attribuisce al pagamento delle imposte il valore di una circostanza attenuante e non di una causa di estinzione del reato tributario. Ne deriva che solo nella fase di merito, in sede di esatta determinazione della somma (0 beni) da assoggettare a confisca, possono essere operate quelle valutazioni sull’effettivo ammontare da assoggettare a confisca che tengano conto dell’effettivo pagamento delle imposte e che potrebbero, in ipotesi, portare all’esclusione della confisca.
5. Ora, ferma restando la separazione dei due piani di operatività delle sanzioni (quelle fiscali propriamente dette e quelle penali scaturenti, invece, dal complesso sistema delineato dal D.L.vo 74/00, l’autonomia tra i due sistemi implica una valutazione autonoma da parte del Giudice penale in merito a quello che costituisce il profitto del reato tributario, profitto da qualificarsi in termini – come già accennato – di vantaggio economico conseguente alla evasione fiscale. Correttamente quindi il Tribunale – nel tenere distinti i due piani di operatività tra i diversi sistemi in parola – ha inteso sottolineare il concetto di vantaggio conseguito dal Contribuente infedele e per questo escludere una valenza estintiva al pagamento della somma proprio in relazione alle particolari modalità dell’accordo tra l’Erario ed il contribuente.
6. La temuta duplicazione dell’apprensione da parte dello Stato quale effetto perverso conseguente alla conferma del sequestro nonostante il pagamento (tardivo e rateizzato) dell’imposta evase, non ha ragione d’essere non solo per quanto già osservato nella menzionata sentenza n. 10120/10, ma anche in relazione – per quanto rileva nel caso concreto sottoposto all’esame di questo Supremo Collegio – ai particolari limiti di un accordo che non prevede il pagamento in unica soluzione dell’imposta ma un pagamento rateizzato che potrebbe poi non essere seguito da un versamento puntuale delle singole rate con conseguente ulteriore lievitazione del debito tributario.
7. Il ricorso va, quindi, rigettato. Consegue la Condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 4 luglio 2012

Redazione