Non è reato predisporre annunci pubblicitari in favore di prostitute (Cass. pen. n. 20384/2013)

Redazione 13/05/13
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell’8/4/2011 iI Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Padova, separate le posizioni di numerosi coimputati che hanno optato per il rito abbreviato, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei sigg. B. e B. perché il fatto non costituisce reato con riferimento ai reati di associazione a delinquere ex art. 416, comma 2, cod. pen. (capo A) e di favoreggiamento della prostituzione ex artt. 3 e 4 della legge 20 gennaio 1958, n. 75 (capo 13.2) e perché il fatto non sussiste con riferimento al reato di sfruttamento della prostituzione ex artt. 3 e 4 della legge 20 gennaio 1958, n. 75 (capo B.3) perché il fatto non sussiste.
Osserva il Giudice delle indagini preliminari nella ricostruzione del fatto che i soci della “CIESSE S.n.c.” (con sede in Vigonza) e gestori del sito internet “www.bes
tannunci.com” avevano ideato e organizzato fin dall’anno 2003 un sistema di annunci pubblicitari a pagamento in favore di persone che esercitavano la prostituzione e che tale sistema si avvaleva dei contributo di promotori che in diverse città provvedevano a raccogliere le richieste di inserzione e i relativi pagamenti mensili. Gli odierni ricorrenti, identificati sulla base delle dichiarazioni di persona dedicata alla prostituzione e del contenuto di conversazioni telefoniche intercettate, operavano nell’area di Udine e “gestivano” gli annunci di un numero consistente di prostitute e transessuali (vedi pagine 4-6 della motivazione), come dimostrato anche dall’esame del materiale sequestrato (vedi pagina 6 e pagina 8),
Fatte queste premesse in ordine alla ricostruzione dei fatti e delle condotte, il Giudice dell’udienza preliminare ha affrontato il tema dei presupposti normativi e interpretativi della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. e quindi ha preso in esame le singole fattispecie di reato contestate al capo B (pagine 9 e seguenti), giungendo alla conclusione che la condotta di pubblicazione degli annunci non costituisce reato quanto alla ipotesi contestata al capo B.1 (pag. 12) e quanto alla ipotesi di favoreggiamento legata ai servizi aggiuntivi rispetto al contratto base contestata al capo B.2 (pag.12) e che il reato non sussista quanto alla ipotesi di sfruttamento contestata al capo B.3 (pag. 13). Quanto alla ipotesi di partecipazione dei l’associazione criminosa contestata ex art. 416, comma 2, cod. pen, al capo A, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per difetto dell’elemento soggettivo del reato.
2. Avverso tale decisione il Procuratore generale della Repubblica propone ricorso, con esclusione della decisione assolutoria in ordine al capo B.3 (sfruttamento della prostituzione), in sintesi lamentando:
a. vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen, con riferimento al capo A della rubrica. Il giudicante, dopo avere ritenuto sussistente l’associazione criminosa (come dimostrato anche dalla decisione nel separato procedimento contro A. + 9 che viene allegata in copia) ha illogicamente escluso il ruolo di partecipi in capo ai due imputati, argomentando che la sporadicità degli interventi di ritocco sulle fotografie e dei servizi aggiuntivi è elemento che contrasta con la sussistenza dell’adesione al sodalizio criminoso. Si tratta di affermazione incompatibile con il ruolo attivo e costante che lo stesso giudice attribuisce agli imputati, incompatibile con la loro piena consapevolezza delle attività svolte da chi richiedeva gli annunci, incompatibile, infine, con la loro adesione ai metodi di lavoro e alle tariffe imposti dai gestori del sito, persone condannate in relazione all’ipotesi ex art. 416, comma 1, cod. pen.;
b. omessa pronuncia in dispositivo in ordine alla contestazione di cui al capo 8.1, contestazione che risulta affrontata nel corso della motivazione ma che non viene inclusa nel dispositivo;
c. vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen, ed errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 3, n. 5 della legge 20 gennaio 1958, n. 75 (capo 13.1); anche volendo applicare i principi fissati nella sentenza della Corte Suprema richiamata dal giudicante (sentenza n. 26343 del 2009), ma avente ad oggetto il diverso reato di favoreggiamento, deve concludersi che l’ipotesi di “lenocinio” sussiste sia quando si provvede a pubblicare una delle fotografie consegnate dalla persona interessata alla pubblicazione sia, a maggior ragione, quando l’imputato si è preoccupato di effettuare o far effettuare il servizio fotografico pubblicato;
d. vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, lette) cod. proc, pen. ed errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 3, n. 8 della legge citata (capo 8.2) sulla base dei medesimi argomenti contenuti nel primo motivo di ricorso e sulla base della considerazione che la predisposizione di servizi fotografici e le caratteristiche delle condotte contestate, elementi di fatto che il giudice ritiene accertati, sono incompatibili con l’affermazione secondo cui gli imputati intendevano avere riguardo alla singola prostituta e non intendevano favorire la prostituzione; si è in presenza di condotta favoreggiatrice obiettiva e consapevole, così che non assume alcun rilievo il fato che gli imputati non sollecitassero i servizi aggiuntivi e si limitassero a fornirli se richiesti.

Considerato in diritto

1. La Corte ritiene che il presente ricorso debba essere esaminato muovendo dal punto fermo rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attività non vietata, e dunque in sé lecita, quella che la persona liberamente svolge scambiando la propria fisicità contro denaro. La giurisprudenza ha nel tempo maturato decisioni via via più affinate sul piano culturale ed ermeneutico con riferimento alle condotte di coloro che condividono la vita della persona che liberamente si prostituisce e di chi a vario titolo interagisce professionalmente con tale persona. Il riferimento è, nel primo caso, a coloro che convivono o che sono legate da rapporti matrimoniali con la persona in parola e, nel secondo caso, coloro che le assicurano servizi o beni legati all’attività svolta, dall’albergatore al taxista ai titolare dell’alloggio locato.
2. Non è questa la sede per ripercorrere lo sviluppo non sempre lineare della giurisprudenza, ma giova adesso ricordare che le sanzioni penali fissate dalla legge 20 gennaio 1958, n. 75 debbono essere applicate a coloro che condizionano la libertà di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attività lucrano per finalità di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all’attività di prostituzione eccedendo i limiti dell’ordinaria prestazione di servizi.
3. La Corte è consapevole della delicatezza di quest’ultimo profilo e della necessità di non interpretare le disposizioni di legge in moda tale da reintrodurre surrettiziamente presupposti di illecità “in sé” della prostituzione che vengono formalmente ed espressamente negati e che, invece, potrebbero finire per qualificare come illegali condotte e prestazioni di servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se destinata ad altre attività.
4. Con specifico riguardo al servizi pubblicitari messi a disposizione delle persone che si prostituiscono, la Corte ha individuato due profili interpretativi che possono dirsi costanti. Ha, in primo luogo, affermato (Sez. 3, n. 26343 dei 18/3/2009) che la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie sui siti web, al pari di quella sui tradizionali organi d’informazione a mezzo stampa, deve essere considerata “come un normale servizio in favore della persona”. Tale giudizio è stato confermato dalla sentenza, sempre di questa Sezione, n. 4443 del 12/1/2012, nella cui motivazione si opera una precisazione, nel senso che il reato di favoreggiamento risulta, invece, integrato allorché alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata “si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, ai fine di allestire la pubblicità della donna … evidentemente per rendere più allettante l’offerta e per facilitare l’approccio col maggior numero di clienti, cooperazione esplicantesi nell’organizzare servizi fotografici nuovi, sottoponendo le donne a pose erotiche, ponendo in essere una collaborazione organizzativa al fine di realizzare il contatto prostituta-cliente”. A tale proposito deve rilevarsi che con altra decisione la Corte ha affermato, seppure avendo riguardo a diversa condotta (lenocinio per mezzo di telefono), che i lavori preparatori della legge n. 75 del 1958 indichino come il reato previsto dall’art. 3, comma 1, n. 5, intenda sanzionare l’attività “di intermediazione .. diretta a favorire gli incontri tra cliente e prostituta e, quindi in definitiva, a favorire la prostituzione”, avendo come bene offeso la moralità pubblica (Sez. 3, n. 15275 20/2/2007; Sez. 3, n. 32506/2012).
5. In altri termini, la Corte ha ritenuto di individuare il discrimina fra lecito e illecito nel passaggio da una prestazione di servizi “ordinari” a quella che potremmo definire come la prestazione di un supporto aggiuntivo e personalizzato.
6. Si è in presenza di principi interpretativi che nel caso in esame non richiedono quegli approfondimenti che potrebbero altrove rendersi necessari, In quanto le condotte contestate agli odierni ricorrenti e il contenuto dei motivi di ricorso trovano in quei principi una chiara soluzione e applicazione.
7. In effetti, esaminando i fatti posti a fondamento della decisione emerge l’esistenza di una società che raccoglieva su base nazionale e poi pubblicava le inserzioni di persone dedite ad attività di prostituzione e lo facevano contando su una organizzazione territoriale in tutto simile a quella cui si ricorre per qualsiasi attività pubblicitaria. Tale attività veniva gestita secondo tariffe prestabilite che non risultano eccedere le normali tariffe per inserzione pubblicitaria.
8. Quelle che il ricorrente giudica prestazioni anomale o eccedenti l’ordinaria prestazione dl servizi, consistevano in realtà nel portare alle fotografie “ritocchi” mediante strumenti informatici. Anche in questo caso Il servizio offerto comportava l’applicazione di tariffe di mercato. Premesso che si tratta di episodi che lo stesso ricorrente considera numericamente assai contenuti, la Corte ritiene si sia in presenza di condotte banali nella loro esecuzione e riconducibili nell’alveo dell’ordinaria prestazione dei servizi che un pubblicitario assicura al cliente.
9. L’insieme di questi elementi impone di ritenere infondate le censure del ricorrente. La sentenza impugnata ha dedicato ampia motivazione a ciascuno dei profili oggetto di imputazione da parte della pubblica accusa e le conclusioni cui il giudice è giunto con riferimento al reati scopo sono supportate da un percorso immune da vizi logici ed ermeneutici, così da non meritare le censure in parola.
10. Una volta esclusa la sussistenza dei reati scopo e considerata la complessiva motivazione del giudice in ordine alla posizione anche soggettiva dei due imputati, non appare censurabile neppure la decisione assunta in ordine al reato associativo.
11. Infine, la sentenza deve essere corretta nella parte in cui omette di pronunciare in ordine al reato contestato al capo 13.1, affrontato in sede motivazionale con valutazione che il fatto non sia previsto dalla legge come reato (pag. 11).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

Redazione