Non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare se la condotta illecita concerne comportamenti contrari al “minimo etico” (Cass. n. 13414/2013)

Redazione 29/05/13
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Ragioni della decisione

1. S..C. , dipendente della Banca Antonveneta spa, con qualifica di “quadro super” di 2^ livello dal 2000, convenne in giudizio la datrice di lavoro, chiedendo che venisse dichiarata la nullità dei provvedimenti disciplinari comminatigli con lettere del 30 luglio 2003 e del 22 gennaio 2004 e consistenti nella sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, rispettivamente per i periodi 12-26 agosto 2003 e 11-20 febbraio 2004. Chiedeva inoltre di dichiarare che dall’agosto 2003 aveva subito una dequalificazione, illegittima, condannando la banca ad “attribuirgli compiti corrispondenti a quelli di quadro direttivo 2^ livello ed in particolare di responsabile di agenzia” e a risarcirgli “il danno procuratogli con i provvedimenti disciplinari illegittimi e con la dequalificazione, patrimoniale e non patrimoniale, alla professionalità, alla personalità, alla immagine, alla salute, esistenziale e morale, nella misura risultanda in corso di causa anche in via equitativa”.
2. Il Tribunale accolse in parte la domanda, dichiarando la nullità della seconda sanzione disciplinare, con la relativa condanna alla restituzione delle retribuzioni trattenute.
3. Il C. propose appello.
4. La Corte d’appello di Genova, riformando in parte la decisione di primo grado, con sentenza non definitiva pubblicata il 10 ottobre 2008, ha dichiarato che “la banca convenuta a partire dal 2003 ha posto in essere nei confronti del C. una illegittima dequalificazione professionale” condannandola “ad adibire il C. a mansioni equivalenti a quelle in precedenza svolte ed a risarcirgli il danno determinato equitativamente nella misura omnicomprensiva del 30% dell’ultima mensilità percepita nella posizione di direttore d’agenzia, moltiplicata per 22 mesi, oltre al danno alla salute”.
5. Con sentenza definitiva depositata il 28 maggio 2010, dopo aver svolto una ctu medico legale, quantificava il risarcimento del danno alla salute in 11.604,00 Euro, oltre rivalutazione e interessi legali.
6. La Banca Monte Paschi di Siena spa, successore di Antonveneta spa, propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
7. Il C. ha depositato controricorso con ricorso incidentale articolato in tre motivi. La Banca ha depositato controricorso nei confronti del ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
8. Con il primo motivo la banca denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e degli artt. 66 e 67 del ccnl 11 luglio 1999 per i Quadri direttivi ed il personale della aree professionali dipendenti dalle aziende di credito.
9. La Corte avrebbe violato tali norme omettendo di considerare le previsioni collettive che declinano in tre categorie i quadri direttivi, laddove avrebbe mostrato di ritenere che il quadro bancario si identifica necessariamente con il titolare di filiale, mentre invece il ccnl delinea la figura del quadro specialistico, preposto a “metodologie professionali complesse, da procedure prevalentemente non standard”, nel cui novero vanno fatte rientrare mansioni del tipo di quelle di specialista nell’analisi, revisione e controllo di pratiche di affidamento creditizio, affidate al C. .
10. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, la Corte non ha considerato che il passaggio da mansioni gestionali a mansioni specialistiche è consentito dall’art. 67 del ccnl che prevede la piena fungibilità nell’ambito della categoria dei quadri direttivi fra il 1 e il 2 livello retributivo. Disposizione ritenuta legittima da S.U. 25033/2006., di cui la Corte non ha fatto corretta applicazione.
11. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: se lo spostamento di un Quadro direttivo dal ruolo gestionale di direttore di filiale a quello specialistico di analista e revisore di fidi costituisca violazione dell’art. 2103 c.c., alla luce delle norme del ccnl citate.
12. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. si denunzia che la Corte ha omesso di accertare in concreto il contenuto delle mansioni svolte dal C. .
13. I due motivi, da trattare in ordine inverso, sono infondati.
14. Il secondo assume che la Corte avrebbe omesso di accertare mansioni in fatto svolte dal ricorrente e, a causa di ciò, denunzia un vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c..
15. In realtà, dalla lettura della motivazione si evince che la Corte ha accertato e valutato le mansioni svolte dal C. ed ha dato conto di ciò a pag. 11 e ss. della sentenza. La motivazione pertanto sussiste ed è adeguata. La censura della banca prospetta in realtà una diversa valutazione di quanto accertato, il che è fuori dall’ambito del giudizio di cassazione.
16. Anche il primo motivo è infondato perché presuppone una valutazione in fatto diversa da quella operata dalla Corte di merito e da questa basata su di una motivazione completa e priva di contraddizioni. Può convenirsi con la ricorrente sull’affermazione che la declaratoria del quadro direttivo si articola in più figure, consistenti non esclusivamente in quella di titolare di filiale, bensì anche di preposto a “metodologie professionali complesse, da procedure non standard”. Ma il punto su cui la Corte ha motivato un giudizio difforme è costituito proprio dal fatto che i compiti affidati al C. non potevano rientrare neanche in tale declinazione della attività del quadro direttivo, consistendo in concreto in mansioni prive della necessaria autonomia e limitate al compimento di analisi e valutazioni sottoposte al vaglio altrui. La Corte infatti non si limita a constatare che il C. “non dirige e non organizza più né persone, né una struttura”, ma aggiunge, e sottolinea: “soprattutto non ha più né autonomia, né responsabilità e si limita ad effettuare delle valutazioni e delle analisi che però debbono essere sottoposte al vaglio di altri”. La ricostruzione e valutazione delle mansioni operata dalla Corte di merito nei termini su indicati esclude anche la possibilità di far rientrare l’attività del C. nell’area in cui il contratto collettivo consente il giudizio di equivalenza, giudizio che peraltro è, esso stesso, tutto interno al merito della decisione (Cass. Sez. un. 25033/2006).
17. Con il terzo motivo, in via subordinata, la banca denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nel liquidare il risarcimento del danno derivante dal demansionamento, laddove la Corte ha ritenuto raggiunta in via presuntiva la prova del danno alla professionalità lamentato dal lavoratore per il solo fatto che le nuove mansioni a differenza delle precedenti, riguardino uno specifico settore dell’attività aziendale anziché la totalità di quest’ultima, ed il demansionamento si sia protratto nel tempo.
18.Con il quarto motivo si denunzia “insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia: la Corte ha ritenuto di ravvisare un danno alla professionalità del C. senza accertare il contenuto delle mansioni da lui svolte nel periodo oggetto di causa e dando anzi atto dell’assenza di sue puntuali e tempestive allegazioni circa il pregiudizio concretamente subito in conseguenza della ritenuta dequalificazione, nonché di elementi processuali e fattuali deponenti in senso opposto alla ritenuta configurabilità del danno da dequalificazione”.
19. Il quarto motivo deve essere rigettato perché si basa su di una affermazione della cui infondatezza già si è detto, quella per cui la Corte non avrebbe accertato e motivato in ordine alle mansioni in fatto svolte dal C. .
20. Quanto al problema posto con il terzo motivo, la Corte ha seguito le indicazioni delle Sezioni unite perché, dopo aver escluso il danno alla immagine e il danno derivante dalla perdita degli incentivi, rigettando i relativi capi della domanda, ha accolto il capo della domanda relativo al danno alla professionalità, non già ritenendolo sussistente “in re ipsa” per il solo fatto del demansionamento, ma operando una valutazione per presunzioni e sulla base di un giudizio di probabilità, secondo l’id quod plerumque accidit, in conformità all’insegnamento delle Sezioni unite, espressamente richiamato in sentenza, e ribadito anche di recente da questa Sezione (da ultimo, Cass. 16 febbraio 2012, n. 2257, ha affermato “la perdita di alcuni tratti qualificanti della professionalità di un lavoratore, rilevante sia sul piano dell’autonomia dei suoi compiti, sia del potere coordinamento nel caso di mansioni di secondo livello, può essere valutata come elemento presuntivo al fine del riconoscimento del risarcimento del danno da demansionamento”).
27. Alla stregua di questi principi di diritto la Corte di Genova ha valutato che l’impoverimento della sua professionalità prospettato dal C. nel ricorso introduttivo del giudizio, aveva trovato riscontro nel fatto che le nuove mansioni22. Con il primo motivo del ricorso incidentale del C. si denunzia vizio di motivazione insufficiente con riferimento al fatto controverso costituito dal contenuto effettivo della domanda e dalla individuazione dei guadagni perduti in conseguenza del demansionamento.
23. Il motivo riguarda la richiesta, rigettata, di risarcimento del danno derivante dalla mancata percezione degli incentivi prima goduti a causa del demansionamento e risultante dai prospetti paga: “rimborsi spese preposti” e “una tantum”.
24. La motivazione, che si assume insufficiente, è a pag. 15 della sentenza e consiste in due argomenti. La Corte spiega che nessuna quantificazione o specifica indicazione si rinviene in merito agli incentivi che sarebbero stati perduti (né è sufficiente la produzione dei prospetti paga che indicano una serie di voci eterogenee) ed inoltre essi erano verosimilmente legati alla funzione di direttore di agenzia, che il C. non avrebbe il diritto di mantenere comunque”.
25. La prima motivazione è sicuramente sufficiente e priva di contraddizioni. Il vizio prospettato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., è pertanto, infondato e si risolve in realtà in una richiesta di rivalutazione del merito della decisione, laddove ricostruisce il contenuto e valuta la specificità delle allegazioni del ricorso, inammissibile in sede di giudizio di legittimità.
26. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2103, 2043 e 1218 c.c. laddove la Corte nella seconda parte della su indicata argomentazione ha negato la considerazione degli incentivi perché il C. non aveva diritto a mantenere la funzione di direttore di agenzia. Anche questo motivo è infondato, se non altro perché riguarda una motivazione aggiuntiva, una “ratio decidendi” secondaria, con la conseguenza che, anche se la censura fosse fondata, non sposterebbe l’esito della decisione.
27.Con il terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 300/1970, in quanto il codice disciplinare con riferimento ai quadri direttivi non prevedeva la sospensione, ma altri provvedimenti conservativi ed espulsivi e difettava del requisito della correlazione in quanto gli inadempimenti erano correlati semplicemente ad una indicazione di gravità o levità e quindi alla discrezionale valutazione del datore. L’inadeguatezza del codice non era surrogata dal ccnl, che specifica le sanzioni ma non le violazioni. La sanzione doveva quindi ritenersi illegittima perché si trattava di sanzione conservativa e per questa categoria di sanzioni non trova applicazione il principio del “minimum etico”, valido solo per le sanzioni espulsive.
28. La Corte di Genova ha motivato anche su questo tema in modo puntuale, articolando i seguenti passaggi: il datore di lavoro ha contestato i fatti indicati a pag. 6 della sentenza (in estrema sintesi: cambio di numerosi assegni, per consistenti importi, relativi a rapporti accesi da poco tempo da società e persone fuori zona, che venivano artatamente trasformati in versamenti in contante, così eludendo le segnalazioni di rischio sbf assunto). L’effettività di tali fatti, che nella contestazione sono puntualmente specificati, non è mai stata negata dal lavoratore. Si tratta di una condotta che contrasta con prassi consolidate di comportamento bancario, rientranti nella “comune esperienza” (per prassi adottata da tutti gli Istituti bancari il cambio di assegni viene negato al correntista che non abbia almeno pari provvista sul conto corrente e, qualora tale provvista manchi, per poter disporre del denaro occorre attendere il tempo necessario per verificarne la copertura). Si applicano pertanto i principi affermati da Cass. 2004/16291 (Ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione; ne consegue che i comportamenti del lavoratore costituenti gravi violazioni dei doveri fondamentali – come quelli della fedeltà e del rispetto del patrimonio e della reputazione del datore di lavoro – sono sanzionabili con il licenziamento disciplinare a prescindere dalla loro inclusione o meno all’interno del codice disciplinare, ed anche in difetto di affissione dello stesso, purché siano osservate le garanzie previste dall’art. 7, commi secondo e terzo, della legge n. 300 del 1970).
29. Al problema posto nel motivo e sintetizzato nel quesito di diritto, costituito dalla estensibilità o meno dei principi affermati da tale decisione anche alle sanzioni conservative è stata data soluzione positiva dalla giurisprudenza di questa Corte. In particolare, Cass. 1926 del 2011 ha affermato: anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative – e non per le sole sanzioni espulsive – deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.
30. Tale orientamento deve in questa sede essere ribadito.
31. In conclusione, entrambi i ricorsi sono infondati e devono essere rigettati. Tale soluzione comporta la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente le spese del giudizio.

Redazione