No alla rimessione in termini per il difensore che non propone appello (Cass. pen. n. 28129/2013)

Redazione 27/06/13
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Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Trieste con ordinanza del 12 luglio 2012 ha rigettato l’istanza con la quale L.I. aveva chiesto la rimessione nei termini per l’impugnazione, fondata sull’assunto che il mancato rispetto del termine per proporre appello (presentato tardivamente da uno dei difensori) era stato determinato da ignoranza da parte del difensore della legge processuale penale.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il L. e l’Avv. ****************, suo difensore, chiedendo l’annullamento del provvedimento per motivazione illogica; il difensore ha evidenziato che il tardivo adempimento dell’incarico di proporre impugnazione da parte del difensore Avv. ************** era stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale, tale da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore; la Corte di appello avrebbe dedotto dallo scambio di e-mail intercorso tra i due difensori nominati, la condivisione da parte dell’Avv. Fontana del termine di decadenza dalla proposizione dell’atto impugnatorio indicatogli dall’Avv. ****** nella e-mail inviata; di contro, emergerebbe l’erroneo computo da parte dell’Avv. Fontana del termine di trenta giorni per proporre impugnazione ex art. 585, e 1 lett. b) c.p.p., il quale decorreva, in forza dell’immediata lettura della decisione, dal 18 marzo 2012 e quindi sarebbe giunto a scadenza il 16 aprile 2012 e non già il 17, data nella quale il difensore ******* ebbe a depositare l’appello. Tale radicale ignoranza non era prevedibile da parte dell’altro difensore del L. e pertanto costituisce un’ipotesi di caso fortuito.

Considerato

1. Ritiene questo Collegio che il ricorso sia manifestamente infondato.
La rimessione nel termine per proporre impugnazione può essere concessa ai sensi dell’art. 175 c. 1 c.p.p. qualora risulti una causa di forza maggiore o di caso fortuito che abbia impedito la presentazione dell’atto impugnatorio nei termini previsti dalla legge.
2. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il mancato od inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione a qualsiasi causa ascrivibile non è idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore, in quanto consiste in una falsa rappresentazione, pur sempre vincibile mediante una normale diligenza ed attenzione (cfr. Sez. 5, n. 43277 del 6/7/2011, dep. 22/11/2011, ******* e altro, Rv. 251695, non potendosi mai ritenere esclusa in via presuntiva la sussistenza dell’onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito), per cui l’inesatto o superficiale adempimento da parte di un difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione non integra le condizioni previste per la restituzione del termine (così, Sez.2, n. 18886, del 24/1/2012, dep. 17/5/2012, ********, Rv.252812).
Anche laddove è stato riconosciuta, da parte di qualche isolata pronuncia di questa Corte, la possibilità che l’imprevedibile ignoranza del difensore possa costituire caso fortuito o forza maggiore, è stata evidenziata la necessità che risulti provato che l’assistito aveva attivato la propria iniziativa impugnatoria (si veda, sul punto Sez.6, n.35149 del 26/6/2009, dep. 10/9/2009, A., Rv 244871).
3. Nel caso di specie l’ordinanza impugnata, con motivazione esaustiva e coerente, ha sottolineato proprio il fatto che la tardiva presentazione dell’atto di appello da parte di uno dei co-difensori, non potesse essere ascritta ad una ignoranza imprevedibile, proprio perché attraverso lo scambio di e-mail tra i due studi professionali, avvenuto diversi giorni prima della scadenza del termine per proporre impugnazione e recante la chiara indicazione del corretto termine di scadenza per tale deposito, doveva essere esclusa l’ignoranza della legge processuale da parte del Collegio difensivo. La Corte di appello ha perciò concluso che il deposito il giorno successivo alla scadenza del termine da parte del difensore fosse ascrivibile a mera negligenza dello stesso e non già ad ignoranza della legge processuale.
4. Di conseguenza il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle Ammende.

Redazione