No alla confisca in caso di sanatoria della posizione fiscale (Cass. pen., n. 45189/2013)

Redazione 08/11/13
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Genova, con sentenza del 18/2/2013, ha applicato, su richiesta delle parti, a carico di B.G., imputato del reato di cui all’art. 81 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, la pena di anni 1 e giorni 14 di reclusione, concedendo il beneficio ex art. 163 c.p., con ordine di dissequestro di quanto sottoposto a vincolo e restituzione all’avente diritto.

Propone ricorso per cassazione il Procuratore ******** presso la Corte di Appello di Genova, eccependo l’omessa applicazione della confisca dei beni sottoposti a sequestro, in violazione della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143.

Il Procuratore ******** presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta nella quale conclude per l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento con rinvio della impugnata pronuncia.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Osservasi che la confisca per equivalente esplica una funzione sostanzialmente punitiva, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, definendo detta misura ablatoria, introdotta dall’art. 322 ter c.p. e L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, come una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, che, in quanto tale, viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio (Cass. 16/1/04, n. 15445; Cass. S.U. 25/10/05, n. 41936).

Così delineata la natura e le finalità dell’istituto in questione, passando allo specifico della questione dibattuta, se cioè l’intervenuta sanatoria della posizione tributaria possa determinare il venir meno dei presupposti della confisca e, quindi, consentire la revoca del sequestro preventivo, disposto in funzione della futura esecuzione di tale misura, si deve rilevare che col versamento dell’imposta evasa viene meno la funzione sanzionatoria della confisca.

Tale finalità si realizza attraverso l’eliminazione dell’ingiustificato arricchimento, derivante dalla commissione del reato, impedendo che, attraverso l’impiego dei beni di provenienza delittuosa o del loro equivalente, il colpevole possa assicurarsi quel vantaggio economico che era oggetto specifico del disegno criminoso (Cass. 1/12/2010, n. 10120).

In tal caso, qualora sia accertata la responsabilità del prevenuto, alle pene previste per i reati finanziari, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, si aggiunge, quale sanzione accessoria, la confisca dei beni di valore equivalente a quello costituente il profitto del reato. Ma se il reo provvede al pagamento dell’imposta, considerato che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, vengono meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio e la stessa ragione giustificatrice della confisca, da rinvenirsi proprio nella necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato si consolidi in capo al reo.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non deve farsi discendere dalla natura di pena accessoria di tale forma di confisca la conclusione che essa debba, sempre e comunque, trovare applicazione, anche quando l’imputato abbia provveduto a sanare il proprio debito nei confronti dell’Erario. La natura prevalentemente sanzionatoria, riconosciuta alla confisca per equivalente, non deve portare ad un indiscriminato automatismo nella sua applicazione senza tenere conto che con l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione tributaria, viene meno quel profitto del reato che la misura ablatoria è destinata ad aggredire.

Diversamente opinando, si assisterebbe ad un ingiustificato ricorso alla misura sanzionatoria in quanto il reo, oltre ad avere adempiuto al suo debito verso l’amministrazione finanziaria, si vedrebbe privato, all’esito dell’accertamento della responsabilità penale, anche di beni equivalenti per valore al profitto del reato, ormai dismesso con il versamento dell’imposta evasa (Cass. 17/3/09, n. 26176; Cass. 23/11/10, n. 45504; Cass. 3/12/12, n. 46726).

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso del P.G..

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013.

Redazione