No al danno esistenziale per il dirigente senza incarichi per un anno (Cass. n. 1477/2012)

Redazione 02/02/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

S.B. convenne in giudizio il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio dei Ministri e premesso che:

– era stato dirigente generale del Ministero della Sanità e aveva ricoperto l’incarico di Direttore Generale della Croce Rossa Italiana fino alla data del 2.1.2002;

– era stato quindi collocato nel RUD – Ruolo unico della dirigenza sanitaria;

– era rimasto privo di incarico fino al 29.7.2003, allorchè aveva sottoscritto un contratto di lavoro avente ad oggetto un incarico di studio, che peraltro non venne registrato presso la Corte dei Conti;

– un successivo contratto con incarico di studio, di durata biennale, era stato sottoscritto in data 15.1.2004;

tutto ciò premesso chiese:

– il riconoscimento del danno alla professionalità, all’immagine, alla dignità e alla personalità per il mancato conferimento di incarico dirigenziale nel periodo gennaio 2002 – gennaio 2004;

– il riconoscimento del diritto a percepire, per il periodo luglio 2003;

– gennaio 2004, il trattamento retributivo complessivo previsto nel contratto del 29.7.2003;

– il riconoscimento del diritto a percepire, dal luglio 2002, la retribuzione di posizione parte fissa nella misura intera;

– la condanna delle Amministrazioni convenute al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza delle Amministrazioni convenute, il primo Giudice rigettò il ricorso.

Con sentenza del 21.11.2008 – 5.10.2009, la Corte d’Appello di Roma rigettò il gravame proposto dallo S., osservando a sostegno del decisum che:

– era rimasto inespresso, anche in grado d’appello, in che modo l’ingiustificata inattività dell’appellante avrebbe pregiudicato la sua professionalità, non essendo state allegate circostanze concrete da cui desumere che l’inattività di un anno (dal decorso dei primi sei mesi – periodo indispensabile all’Amministrazione per individuare un incarico confacente alla qualificate attitudini del dirigente – all’avvenuto inizio dell’esecuzione dei contratto del 29.7.2003, poi non ratificato dalla Corte dei Conti) aveva deteriorato la specifica professionalità dell’interessato e compromesso la sua ulteriore evoluzione nella carriera;

– le allegazioni inerenti al preteso danno esistenziale, nelle sue componenti di danno all’immagine e di danno alla vita di relazione, erano generiche e tautologiche, non apportando alcunchè di concreto sulle alterazioni delle relazioni sociali e del prestigio nell’ambito lavorativo, tenuto soprattutto conto che la collocazione del dirigente “a disposizione” nel RUD non rivestiva un’accezione negativa, non essendo espressione di un giudizio negativo sul precedente incarico espletato;

– quanto al trattamento retributivo per l’incarico di cui al contratto del 29.7.2003, doveva ritenersi l’esclusione, a mente dell’art. 38, comma 6, CCNL 1998-2001 dirigenza pubblica, della retribuzione di posizione parte variabile, mentre per la speciale indennità di cui alla L. n. 362 del 1999, art. 7 la normativa di legge aveva demandato alla contrattazione collettiva l’intera disciplina sui destinatari e sulle modalità di suddivisione delle risorse disponibili e il predetto CCNL, all’art. 37, nel fissare il trattamento economico dei dirigenti, non aveva contemplato tale indennità;

– doveva essere escluso, alla stregua del disposto dell’art. 24 del medesimo CCNL, il diritto di percepire la retribuzione fissa nella misura intera per il periodo luglio 2002 – gennaio 2004.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale S.B. ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria.

Il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno resistito con controricorso, proponendo, per il “caso di accoglimento di alcuno dei motivi del ricorso principale”, ricorso incidentale fondato su un motivo, a cui il ricorrente principale ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. Giova premettere che la vicenda oggetto del presente giudizio, afferente al periodo gennaio 2002 – gennaio 2004, si è svolta nella vigenza del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 23 nella formulazione anteriore alla modificazione introdotta dalla L. n. 145 del 2002, stante l’avvenuta emanazione con il D.P.R. 23 aprile 2004, n. 108 (Regolamento recante disciplina per l’istituzione, l’organizzazione ed il funzionamento del ruolo dei dirigenti presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo) del regolamento previsto dall’art. 10 della legge anzidetta (cfr D.P.R. n. 108 del 2004 cit., art. 1, comma 1: “Alla data di entrata in vigore del presente regolamento in ciascuna delle amministrazioni dello Stato elencate nella allegata tabella A, di seguito denominata: “amministrazione”, è istituito ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 23, il ruolo dei dirigenti; alla medesima data è soppresso il ruolo unico dei dirigenti dello Stato, ferme restando le disposizioni particolari riguardanti la Presidenza del Consiglio dei Ministri previste dal D.Lgs. 5 dicembre 2003, n. 343).

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di plurime violazioni di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) deducendo che la Corte territoriale aveva “errato nella valutazione delle allegazioni, cosi come delle prove offerte in giudizio, poste a sostegno della richiesta di risarcimento dei danni”, assumendo di avere analiticamente allegato e provato le chances perse, indicando e documentando i numerosi posti via via resisi disponibili presso il Ministero della Salute confacenti alla sua professionalità e da cui era stato immotivatamente escluso; le circostanze fattuali indicate (durata dello stato ininterrotto di inattività lavorativa, gravita della condotta della parte datoriale pubblica, impossibilità di utilizzare proficuamente le proprie capacità professionali, privazione della dignità lavorativa, esistenza di ruoli dirigenziali da cui era stato immotivatamente escluso, reazioni poste in essere nei confronti della PA) dovevano essere valutate quali elementi di prova al fine di accertare l’esistenza del danno, anche ai sensi dell’art. 115 c.p.c..

2.1 Va anzitutto qui ribadito il principio, già reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 26972/2008; 3677/2009; Cass. nn. 8827/2003; 16004/2003), che come tale deve essere allegato e provato.

Ciò premesso, osserva il Collegio che l’indicazione delle possibilità di utilizzazione in incarichi asseritamente confacenti nel periodo considerato può essere considerata funzionale alla dimostrazione della addebitabilttà alla parte datoriale pubblica della lamentata protratta inattività, ma di per sè non è dimostrativa della sussistenza del diritto al risarcimento per perdita di chances, che avrebbe dovuto essere sostenuto dalla allegazione e dalla prova che, per effetto di tale inattività, era stata lesa la specifica professionalità del dirigente con compromissione della ulteriore evoluzione della sua carriera; ciò che, peraltro, la Corte territoriale ha escluso, con motivazione neppure specificamente censurata, osservando che la professionalità dell’odierno ricorrente atteneva alla conduzione di articolazioni direttive o di servizi per la quale non poteva parlarsi di notoria obsolescenza e che la mancanza di impegni operativi quotidiani poteva addirittura agevolare l’acquisizione degli aggiornamenti nel settore amministrativo burocratico. Al contempo, per ciò che specificamente concerne il preteso danno alla personalità del dipendente, le circostanze fattuali richiamate dal ricorrente non possono ritenersi di per sè dimostrative di una concreta consequenziale alterazione delle sue relazioni sociali e del prestigio da lui goduto nell’ambito lavorativo, sicchè non viene ad essere inficiata l’esclusione, adeguatamente motivata dalla Corte territoriale nei termini già indicati nello storico di lite, della richiesta pretesa risarcitoria.

Il motivo all’esame non può pertanto trovare accoglimento.

3. Con il terzo e il quarto motivo il ricorrente denuncia rispettivamente violazione di plurime disposizioni di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento retribuivo di cui a contratto del 27.7.2003, deducendo in particolare che la Corte territoriale:

– non aveva preso in considerazione il contenuto del suddetto contratto, raffrontando gli importi ivi indicati con quelli effettivamente percepiti ne periodo, e non aveva così riconosciuto l’immodificabilità in peius da parte del contratto collettivo delle più favorevoli condizioni contenute nel contratto individuale di lavoro;

– non aveva esaminato le buste paga relative al medesimo periodo e non aveva pertanto riconosciuto che ad esso ricorrente aveva continuato ad essere dimezzata anche la retribuzione nella parte fissa, che invece sarebbe spettata per intero.

3.1 Le censure svolte sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi riportato il contenuto della documentazione della cui omessa disamina il ricorrente si duole.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 362 del 1999, art. 7, assumendo che erroneamente la Corte territoriale aveva interpretato tale norma escludendo che la stessa fosse di diretta applicazione.

4.1 La norma di cui si assume l’erronea interpretazione, prevede, anche “allo scopo di armonizzare i trattamenti economici di tutti i dipendenti non appartenenti al ruolo sanitario di livello dirigenziale”, che, oltre alle economie di gestione, anche quote delle entrate di cui alla L. n. 407 del 1990, art. 5, comma 12, siano “destinate alle sperimentazioni e relative contrattazioni collettive” previste dal D.Lgs. n. 396 del 1997, art. 8 “riguardanti il predetto personale”. Il rinvio alla contrattazione collettiva è dunque testuale e non consente un’interpretazione diversa da quella svolta dalla Corte territoriale, che peraltro, con affermazione neppure specificamente censurata, ha escluso che il trattamento economico fissato dall’art. 37 del CCNL Area Dirigenza 1998 – 2001 contemplasse l’erogazione di tale indennità.

L’assunto del ricorrente secondo cui a “tutti i suoi colleghi sarebbe stata attribuita l’indennità in parola nella misura di Euro 15.000,00 annui è da un lato assolutamente generico e, come tale, insuscettibile di essere considerato alla stregua di circostanza incontroversa in causa in difetto di tempestiva contestazione, e, dall’altro, inconferente ai fini del decidere, posto che la pretesa retributiva avrebbe dovuto trovare il proprio fondamento nella normativa applicabile e non già in asserite condotte della parte datoriale da tale normativa, in tesi, divergenti. Anche la doglianza all’esame non può pertanto essere accolta.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto e di contratto collettivo, lamentando l’illegittima decurtazione al 50% della retribuzione di posizione nella sua parte fissa a partire dal luglio 2002 (cioè dopo il sesto mese di forzata inattività lavorativa).

5.1 Osserva il Collegio che l’art. 24 CCNL Area Dirigenza del 1998 – 2001 prevede che al dirigente posto a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a termine dell’incarico “…spetta, per i primi sei mesi, la retribuzione di posizione nei valori fissi previsti dal contratto in relazione alla fascia di appartenenza. Per il semestre successivo l’importo della retribuzione di posizione è decurtato del 50%”.

In applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., con particolare riferimento alla necessità che le clausole contrattuali debbono essere interpretate le une per mezzo delle altre, ed essendo quindi di piana evidenza la connessione esistente tra la seconda parte della norma pattizia in parola e l’espressa contemplazione della “retribuzione di posizione nei valori Fissi” contenuta nella parte precedente, deve condividersi l’interpretazione resa nella sentenza impugnata, risultando per converso contrario al dato normativo contrattuale l’assunto dei ricorrente secondo cui la decurtazione al 50% dovrebbe riferirsi alla parte variabile della retribuzione di posizione.

Anche il motivo all’esame non risulta pertanto fondato.

6. In definitiva il ricorso principale va rigettato. Ne discende l’assorbimento del ricorso incidentale (relativo al ritenuto inadempimento dell’Amministrazione per il mancato conferimento di un nuovo incarico per un intervallo maggiore di sei mesi), siccome espressamente condizionato all’accoglimento di alcuno dei motivi del ricorso principale.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 3.040,00 (tremilaquaranta), di cui Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre a spese generali *** e Cpa come per legge.

Redazione