Niente fermo amministrativo se manca la notifica della cartella esattoriale (Cass. n. 18380/2012)

Redazione 26/10/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. *******************, letti gli atti depositati.

Osserva:

La CTR di Milano ha respinto l’appello di Equitalia Esatri e dell’Agenzia delle Entrate – appello proposto contro la sentenza n. 191/03/2006 della CTP di Varese che aveva accolto il ricorso del contribuente B.M. – ed ha così annullato il provvedimento di fermo di beni mobili registrati (notificato il 4.7.2006) adottato in relazione al mancato adempimento di numerose cartelle esattoriali, provvedimento impugnato sulla scorta dell’assunto che dette cartelle non erano mai state notificate e che perciò faceva difetto il titolo impositivo, essendosi prescritta la pretesa tributaria.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che – premessa la legittimazione passiva anche dell’Agenzia delle Entrate – il difetto di prova in ordine l’avvenuta notifica delle menzionate cartelle esattoriali aveva determinato la decadenza dell’Amministrazione dal diritto di riscuotere l’imposta, con incisione della stessa pretesa tributaria.

Equitalia ESATRI ha interposto ricorso per cassazione affidato unico motivo.

La parte contribuente si è costituita con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, il motivo di censura proposto dalla ricorrente (con rubrica informata alla tipologia sia del vizio di diritto che del vizio di motivazione, ma sostanzialmente incardinato solo sul primo aspetto) appare inammissibile.

Esso contravviene al principio che questa Corte ha costantemente affermato secondo cui il vizio di violazione di legge non può essere identificato dalla mera enunciazione delle norme che si reclamano violate, ma deve consistere nella chiara identificazione della regula iuris che si assume erroneamente interpretata ed applicata (Sez. L, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002), laddove nel motivo di impugnazione non si chiarisce debitamente quale specifico principio normativo consenta di ritenere legittimamente adottato un provvedimento di natura cautelare (quale il termo amministrativo), in difetto del corretto espletamento della procedura esecutiva a garanzia della quale esso è adottato.

Contravviene inoltre al principio secondo cui le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la motivazione della sentenza, devono correlarsi con la stessa, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata siano contrapposte quelle dell’impugnante e dirette ad incrinarne il fondamento logico- giuridico. Ed è appena il caso di sottolineare che, se ciò non avviene, la censura deve essere ritenuta inammissibile per difetto della necessaria specificità.

Nel concreto, il quesito di diritto formulato dalla ricorrente si limita a postulare che il preavviso di fermo sia comunque legittimo, seppure non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento, mentre non tiene conto del fatto che il nucleo logico della decisione impugnata consiste nel rilievo che l’omessa dimostrazione dell’avvenuta notifica delle cartelle implica l’accertamento della decadenza dal diritto alla riscossione, con implicita conseguenza della insussistenza di qualsivoglia titolo per l’adozione di provvedimenti di genere cautelare.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 30 settembre 2011.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa che non induce a correzioni o integrazioni di quanto esposto nella relazione;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, (dando atto che la parte contro ricorrente si chiama ******* e non B.M. come – per lapsus calami – è detto nella relazione) condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge ed oltre Euro 100,00 per esborsi.

Redazione