Niente carcere duro se il condannato è ultraottantenne e depresso (Cass. pen., n. 43890/2013)

Redazione 25/10/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del giorno 8 maggio 2013 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’appello proposto a mente dell’art. 310 c.p.p., da M.F. avverso l’ordinanza con la quale il GUP della medesima sede, in data 1.10.2012, gli aveva negato la modifica della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari per gravi motivi di salute.

A sostegno della decisione il Tribunale richiamava: la relazione del responsabile sanitario della casa circondariale di Novara successiva alla consulenza medico legale di parte delibate dal GUP e da questi poste a sostegno della decisione appellata; la perizia disposta dal Tribunale depositata in data 3.1.2013 dal **********; le note integrative depositate dal medesimo perito in replica ai rilievi difensivi del 16.1.2013; la perizia collegiale del 28.2.2013 disposta ancora di ufficio, tutte concordi nel definire un quadro patologico a carico dell’istante certamente serio, caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche comunque compatibili con il regime detentivo, curabili e curate in stato di detenzione intramuraria e pur tenendo conto dell’età avanzata del detenuto, ormai ottantunenne. Le perizie anzidette, secondo avviso dei giudicanti, hanno altresì evidenziato che non vi sono elementi per affermare che i processi degenerativi in atto dello stato patologico accertato, del tutto naturali con l’avanzamento dell’età, venga aggravato dallo stato di detenzione.

2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale illustra a tal fine un unico ed articolato motivo di impugnazione, con il quale denuncia illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Deduce in particolare con esso la difesa ricorrente: il tribunale ha ignorato l’insegnamento della corte di legittimità in materia di diritto alla salute del detenuto, diritto prevalente anche sulle esigenze si sicurezza; le condizioni del paziente devono essere valutate non solo al momento dell’accertamento, ma anche in base alle loro prevedibili involuzioni cliniche; gli accertamenti peritali disposti dal tribunale si caratterizzano, i primi, per la loro superficialità ed, i secondi, per essere fedele ricopiatura dei primi; il tribunale non ha considerati i rilievi critici alle perizie di ufficio da parte del consulente di parte, professionista di riconosciuta professionalità; in particolare risulta non adeguatamente considerata la valutazione contenuta nella relazione del presidio sanitario del carcere di (OMISSIS), la quale ha evidenziato l’incidenza delle patologie accertate sulla qualità della vita del detenuto, per questo altresì inidonee a prevenirne altre correlate all’età; tanto integra difetto motivazionale palese, posto che, affermando esattamente il contrario, il Tribunale ha argomentato che la permanenza in regime di detenzione non aggrava le degenerazioni patologiche; del pari singolare appare la valutazione della sindrome degenerativa cerebrale, definita una non malattia con conclusione atecnica smentita dai recenti progressi della scienza medica sull’analisi del sistema nervoso; il Tribunale ha sottovalutato l’età del detenuto e contro ogni regola di esperienza ha concluso che la sindrome degenerativa cerebrale è identica sia se vissuta in carcere sia se vissuta presso i proprii familiari; la depressione in atto non risulta considerata nei suoi effetti e come concausa di involuzione clinica.

3. Il ricorso è fondato.

Non può sottacersi che l’ordinamento penitenziario italiano, ispirato a principi costituzionali fortemente radicati nella coscienza collettiva nazionale, sia tra i più avanzati tra quelli vigenti nella comunità internazionale. Fondanti del sistema delineato dalla Suprema Carta sono il principio della inviolabilità della libertà personale (art. 13, comma 1) correlato al limite massimo di carcerazione preventiva (art. 13, comma 5), i principi (art. 27, comma 3) che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato, il principio che quello alla salute è diritto fondamentale dell’individuo (art. 32). E’ nel rispetto di un siffatto quadro normativo, nella gerarchia delle fonti giuridiche posto all’apice del sistema legislativo, che il legislatore, pur nel contesto nazionale di fenomeni diffusi e radicati di criminalità organizzata di estremo allarme socio-economico, fenomeni sconosciuti ai maggiori Paesi occidentali, ha articolato una disciplina della carcerazione preventiva attraverso la quale equilibrare le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali come innanzi riconosciuti dalla Costituzione. Di qui, per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, la disposizione normativa che consente la custodia cautelare in carcere quando imputato sia persona di età superiore ad anni settanta soltanto in costanza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275 c.p.p., comma 4) ovvero la regola normativa secondo cui è fatto divieto di disporre o mantenere la medesima custodia interinale carceraria in costanza di persona affetta da malattia “particolarmente grave” tale da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo ovvero non adeguatamente curabili. Anche in detta ultima ipotesi la ricorrenza di esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza” giustificano forme detentive ma soltanto di minore rigore (arresti domiciliari in luogo di cura). Nel caso all’esame del Collegio il ricorrente è persona ultraottantenne ed è affetto da un complesso patologico di sicuro rilievo, di forte incidenza individuale, sicuramente debilitante di essenziali funzioni vitali: l’apparato cardiovascolare, quello articolare deputato alla deambulazione, quella neurologica, incidente direttamente sulla percepibilità della funzione emendativa della pena e quella, infine, psicologica, essenziale per la condizione stessa della vivibilità quotidiana.

Nonostante siffatte oggettive premesse, infatti accreditate dallo stesso tribunale, il giudice territoriale ha limitato la sua pur meticolosa disamina alla sola circostanza della compatibilità della detenzione carceraria interinale con lo stato di salute, per poi pervenire, all’esito di un faticosissimo iter procedimentale scandito da perizie e consulenze, ad un giudizio di compatibilità, giudizio ad avviso del collegio, soltanto parziale e non esaustivo in relazione alla fattispecie portata all’attenzione dei giudicanti.

Appare infatti sottovalutato il dato essenziale dell’età del detenuto, ultraottuagenario, e del pari sottovalutata appare la diagnosticata depressione, l’una e l’altra, nel quadro patologico accertato, giova ripeterlo, complesso e grave, direttamente incidenti sulla normale tollerabilità dello stato detentivo e verosimilmente cagione di una sofferenza aggiuntiva intollerabile per il nostro sistema costituzionale. Del pari contraria ad ogni regola di esperienza appare la considerazione minimale eseguita dal tribunale della sindrome degenerativa cerebrale, pur coerente con l’età avanzata del detenuto, come posto in rilievo dal giudice territoriale, ma non per questo indifferente ai sensi delle regole giuridiche innanzi richiamate, quelle costituzionali e quelle codicistiche, ai fini di qualificare la legittimità della detenzione intramuraria.

4. Alla stregua di quanto si qui argomentato, si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo alla luce dei principi innanzi esplicitati, tra i quali, in particolare, a quello secondo cui, in costanza di persona di oltre ottanta anni di età, la valutazione di compatibilità detentiva deve essere particolarmente rigorosa quanto alla sussistenza di una situazione di pericolosità e quanto alla sofferenza ulteriore che in un anziano può provocare lo stato di detenzione.

P.Q.M.

la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2013.

Redazione