Nessun trasferimento per il nipote che assiste la nonna con grave handicap: la famiglia ed il lavoro non esimono gli altri congiunti dall’assistenza (Cons.di Stato N.02280/2012)

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Il Consiglio di Stato sez. IV con la sentenza n. 2280 dello scorso 20 aprile ha affermato la carenza del requisito dell’esclusività per la concessione dei benefici previsti dalla L. 104/92 (e sue successive modifiche) qualora l’impossibilità di assistere il congiunto, affetto da grave handicap, si fondi su motivi di lavoro e familiari.

La vicenda affrontata. Una guardia penitenziaria chiedeva il trasferimento in una sede più vicina (entro 90 km.) alla residenza dell’anziana nonna, gravemente disabile, poiché era l’unico a prestare l’assistenza, poiché il padre e la sorella erano impossibilitati.

Quadro normativo: LL. 104/92 e 53/00. Queste leggi istituiscono tutele per i disabili, tanto che la L.104/92 è rubricata: “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.”. Non è possibile analizzare questo argomento senza affrontare anche le tematiche relative ai permessi ed ai congedi.

L’originaria stesura dell’art. 33 L. 104/92 riconosceva il diritto ad un congedo biennale ed ad un permesso giornaliero di due ore o, in alternativa, mensile di tre giorni al coniuge od a parenti ed affini sino al terzo grado, purchè conviventi col soggetto colpito da grave handicap. Questo limite è rimasto solo per la richiesta di congedo biennale, mentre è stato abrogato dalla riforma attuata dalla L. 53/00. L’art. 20 ha esteso tale facoltà anche ai familiari non conviventi, purchè dimostrino un sostegno esclusivo e continuo ed il beneficiario, non ricoverato, abbia un grave handicap, accertato in modo rigoroso da un’apposita commissione dell’ASL (art. 3 L. 104/92).

La Circolare Inpdap n. 34/00 chiariva i concetti ed il suo ambito di applicazione; le successive lo delimitavano ulteriormente, chiarendone i dubbi anche sui soggetti aventi diritto a tali benefits.

Infine la Circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 3/12 (art. 5) ha ribadito e rafforzato il dovere di esibizione dei titoli di viaggio, qualora la distanza tra i comuni di residenza dell’assistito e del richiedente il permesso sia superiore a 150 chilometri, pena il mancato riconoscimento del permesso e dei relativi contributi.

Per facilitare l’assistenza e la fruizione di tali benefici legali il comma V dell’art. 33 prevede: “il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”. Questa facoltà è ribadita e consolidata dall’art. 21 L. 104/92 e dall’art. 2103 cc.

Come sopra ricordato la novella apportata dall’art. 20 L.53/00 ha soppresso il requisito della convivenza incentrandosi solo sulla continuità e sulla esclusività.

La giurisprudenza e la dottrina. Sono concordi nel riconoscere tale diritto anche al parente od affine non convivente, purchè l’assistenza sia attuale, esclusiva e continuativa (ex plurimis cfr. Cass. SS.UU. n. 7945/08 ed ord. sez. lav.n. 18233/11 con nota redazionale “L’assistenza al padre disabile non salva il lavoratore dal trasferimento”, CDS sez. IV nn. 3237 e 8527/10 con note di Bombi “Richiesta di trasferimento per accudire il congiunto disabile: decisivo il requisito della “esclusività” dell’assistenza” e Il dipendente pubblico chiede il trasferimento per assistere il parente disabile: deve provare che nessun altro è disposto a farsene carico”, Tribunale Roma sez. Lav. ord. 05/03/09 con nota di Zucchinali Una madre invalida non basta a bloccare il trasferimento disposto dal datore” tutte in www.dirittoegiustizia, ed. Giuffrè rispettivamente nei quotidiani del 09/09/11, del 29/05 e 24/12/10 e del11/03/09; Giacobini “Scelta del lavoro: scelta obbligatoria e rifiuto al trasferimento” e Sabetta “ Trasferimento per portatori di handicap”; contra Scofferi Anche l’assistenza a un disabile «non grave» preclude il trasferimento” nota a sentenza alla Cass. sez. lav. n. 9201/12 sull’opposizione al trasferimento per prestare assistenza ad un disabile in www.dirittoegioustizia.it del 08/06/12 ).

Prevale l’interesse del portatore di handicap a ricevere le dovute cure ed a limitare la situazione di emarginazione fisica e sociale derivante dalla malattia. È anche un’obbligazione naturale ed un dovere morale. Tale sostegno, perciò, deve essere garantito con continuità ed il permesso ha il fine di consentirlo senza ledere i diritti del malato né quelli del lavorare che deve assolvere a questo onere etico. Si noti che il trasferimento è parimenti considerato un interesse legittimo del lavoratore tenuto all’assistenza, ma non è considerato insindacabile come quello del disabile alle cure. Ergo il datore potrà rifiutarlo legittimante in assenza di una rigida prova dei requisiti sopra indicati.

Per completezza d’informazione si rilevi che non sempre è necessaria una formale attestazione dell’handicap da parte delle strutture sanitarie o l’indicazione della diagnosi qualora il richiedente conviva col beneficiario (Trib. Ferrara 01/03/11).

Rigorosità dell’onere della prova. Il lavoratore, come evidenzia Il Consiglio di Stato, deve dimostrare in modo puntuale e preciso la presenza dei requisisti di legge, l’assenza di altri soggetti che possono provvedere al disabile e l’impossibilità di approntare mezzi atti a questo fine.

Per fare ciò le dichiarazioni rese dagli altri congiunti obbligati al soccorso – de facto si tratta di un onere anche se la legge parla di facoltà di assistenza- non sono sufficienti, poiché sono necessari produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza”.

Nella fattispecie l’onere della prova non solo non è stato assolto, ma la documentazione prodotta ha dimostrato la carenza di “esclusività” e di gravi motivi ostativi da parte degli altri familiari.

L’esclusività quale requisito essenziale per la concessione del permesso. Oltre alla “continuità”, come ricordato, l’altro requisito essenziale è “l’esclusività” dell’aiuto: il coniuge od altri parenti ed affini, tenuti ex lege al soccorso, non devono essere in grado di accudirlo. La recente giurisprudenza lo ha “reso estremamente stringente e non suscettibile di ampie deroghe.” salvo che non sia “espressamente provato che l’esistenza di altri parenti, ad una valutazione in concreto, per le ragioni (oggettive o soggettive), rendesse di fatto impossibile l’esplicazione dell’assistenza (da parte di altri familiari).” (CDS sez. IV n. 3237/10 e conformi).

Nel caso in esame queste ragioni non sussistono, poiché, come evidenziato, la giurisprudenza recente e costante non considera il lavoro e la cura di un figlio e gli altri motivi familiari ragioni valide per esimersi dalla cura del congiunto disabile.

In questa ipotesi la richiesta del lavoratore sarà sempre e legittimante rigettata.

L’accettazione del trasferimento non è automatica. Le fonti sopra menzionate concordano nel qualificare l’interesse al trasferimento come legittimo, ma non coincidente con un interesse assoluto, in quanto andrà compenetrato anche con gli interessi del datore di lavoro.

Questi, però, non potrà licenziare il dipendente che lo rifiuta per assistere un congiunto portatore di handicap.

In ogni caso sarà negato se non ricorrono i criteri sinora indicati.

Analogia con la disciplina dei permessi. A conferma della stretta connessione tra l’argomento in esame e la summenzionata disciplina dei permessi e dei congedi si citi la recente pronuncia del Tar Cagliari n. 425 dello scorso 08 maggio (con nota di Milizia “Il lavoro e la famiglia non esimono le figlie dalla cura del padre disabile. Negato il permesso mensile di lavoro al figlio non convivente ed unico accompagnatore” in www.dirittoegiustizia.it del 21/05/12) che, decidendo un caso identico a quello in esame, ha negato il permesso mensile di tre giorni al figlio, non convivente, unico accompagnatore del padre affetto da patologie gravemente invalidanti. Infatti le altre figlie, di cui una coabitante, avrebbero potuto provvedere alle sue necessità, non potendo essere accolto il loro diniego, perché fondato su futili motivi connessi al lavoro ed alla famiglia. (riproduzione riservata).

Sentenza collegata

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Dott.ssa Milizia Giulia

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