Nelle controversie che seguono il rito del lavoro l’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere depositata nel termine in cancelleria (Cass. n. 17945/2013)

Redazione 24/07/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23 gennaio 2006 la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame del Comune di Roma avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Pretore in data 24 ottobre 1996 per il pagamento di L. 6.087.013.512 per canoni di locazione a favore della s.r.l. I.E.R.. A fondamento della decisione la Corte ha ritenuto che, essendo stato notificato in data 8 novembre 1996 il decreto ingiuntivo avente ad oggetto un rapporto obbligatorio derivante da contratto di locazione, l’opposizione, notificata con citazione del 16 dicembre 1996, ma iscritta a ruolo il 23 dicembre 1996, era tardiva poichè, secondo il rito locatizio, per esser tempestiva la citazione doveva esser depositata in cancelleria nel termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica del decreto, essendo l’opponente vincolata dalla natura della controversia, mentre è irrilevante sia l’attività compiuta dalla controparte, non essendo applicabile l’art. 156 cod. proc. civ., che non si estende alle decadenze e disciplina la prosecuzione di un giudizio già instaurato, sia il provvedimento di trasformazione del rito. Inoltre in tema di impugnazione e di opposizione la parte è vincolata dalla forma della precedente fase e quindi il rito adottato dal giudice costituisce criterio di riferimento per il computo dei termini processuali.

Ricorre per cassazione il Comune di Roma cui resiste la s.r.l. I.E.R..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 146, 415, 426, e 645 c.p.c., per aver ritenuto inammissibile l’opposizione a decreto ingiuntivo, in materia di locazione, proposta con citazione notificata nel termine di cui all’art. 641 c.p.c. e deposita oltre il suddetto termine (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” poichè l’art. 645 c.p.c., prevede che l’opposizione a decreto ingiuntivo sia proposta con citazione mentre la Corte di merito ha ritenuto che la norma deve interpretarsi alla luce della L. n. 533 del 1973, che correla l’art. 413 c.p.c., all’art. 637 c.p.c. e quindi debba proporsi con ricorso, da depositare in cancelleria entro il termine di quaranta giorni (art. 641 c.p.c.), in tal modo ritenendo che le norme applicabili all’introduzione del processo sono applicabili anche all’opposizione a decreto ingiuntivo e che l’art. 156 c.p.c. è applicabile soltanto se il processo è tempestivamente introdotto. Invece l’art. 426 c.p.c. prevede il mutamento del rito se la causa è introdotta con le forme ordinarie, non la decadenza, e la notifica della citazione in opposizione nel termine è atto idoneo ad impedirla. Peraltro se il giudice non muta il rito è tenuto ad applicare le norme ordinarie com’è l’art. 645 c.p.c.. L’opposizione non instaura un giudizio autonomo, ma una fase di un giudizio già pendente con la notifica dell’ingiunzione (art. 643 c.p.c.) e quindi può applicarsi l’art. 156 c.p.c., mentre il procedimento minitorio è neutro ed indifferente rispetto al rito ordinario o del lavoro e quindi nessun vincolo sussiste per l’opponente. Perciò il ricorso introduttivo per una causa da trattare secondo il rito del lavoro non è assimilabile all’opposizione a decreto ingiuntivo.

Il motivo è infondato.

Costituiscono ius receptum i principi secondo i quali se il decreto ingiuntivo è stato richiesto dal creditore in base ad uno dei rapporti soggetti al rito del lavoro (L. n. 392 del 1978, art. 46 e art. 447 bis cod. proc. civ., nella specie canoni di locazione) ed emesso dal Pretore (prima dell’istituzione del giudice unico di primo grado) in tale funzione – con conseguente qualificazione del rapporto e soggezione al rito del lavoro, desumibile nella specie anche dal valore della somma ingiunta – ai fini dell’opposizione è applicabile il rito del lavoro, con la conseguenza che per esser tempestiva, ancorchè proposta con citazione, deve esser depositata in cancelleria (art. 415 cod. proc. civ.) nel termine perentorio di cui all’art. 641 civ. proc. civ., comma 1, non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte (Cass. 8014 del 2009). E poichè il mancato rispetto di tale termine implica l’inidoneità “ab origine” dell’atto di opposizione a produrre gli effetti propri, in relazione alla intervenuta decadenza, non è applicabile la sanatoria contemplata dall’art. 156 cod. proc. civ., che si riferisce esclusivamente all’inosservanza di “forme” in senso stretto e non di termini perentori.

2.- Il secondo motivo – con cui deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver esaminato il merito del ricorso (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” in base al quale i canoni non erano dovuti perchè il rapporto era cessato prima del tempo a cui essi si riferivano e cioè dal 30 settembre 1994, data di efficacia del recesso del Comune – è precluso dal rigetto del motivo che precede.

Al rigetto del ricorso segue la soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare Euro 1.250 di cui Euro 300 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2013.

Redazione