Negato ad un rapporto convenzionale il riconoscimento di un rapporto di pubblico impiego in assenza di precise regole formali (Cons. Stato n. 6155/2012)

Redazione 30/11/12
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Svolgimento del processo

1. La ricorrente fa parte di un gruppo cui il Comitato di Gestione della U.S.L. Le/7 aveva conferito l’incarico in via convenzionale di psicologo per n. 18 ore settimanali con decorrenza 18 febbraio 1985, elevate a 36 a partire dal 1988, nell’ambito dell’istituzione del servizio di medicina preventiva e scolastica. L’incarico veniva successivamente confermato annualmente con apposite delibere e, con Delib. n. 1062 del 3 luglio 1992, venivano confermati gli incarichi a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261, con riconoscimento del servizio svolto in regime convenzionale senza soluzione di continuità a decorrere dal 7.1.1985.

2. Con ricorso al TAR Puglia, Sezione di Lecce, la ricorrente chiedeva il riconoscimento del rapporto di pubblico impiego con decorrenza 18.2.1985 e fino al 3 luglio 1992, ricorrendone gli elementi rivelatori, ed, in subordine, il riconoscimento del diritto al trattamento retributivo e previdenziale del pubblico dipendente, in applicazione dell’art. 2126 c.c..

3. Con la sentenza appellata il TAR rigettava il ricorso, attribuendo rilievo decisivo alla diversa veste formale del rapporto, non essendo sufficiente la presenza di alcuni tratti caratteristici del pubblico impiego a trasformare il rapporto contrattuale in oggetto. Anche la domanda subordinata di integrazione del trattamento economico e previdenziale veniva rigettata.

4. Propone appello l’interessata deducendo la carente motivazione della sentenza, che non avrebbe valutato in concreto il rapporto intercorso con la USL, con la quale non è mai stata sottoscritta una convenzione, mentre nessun valore decisivo potrebbe, a suo dire, attribuirsi alla natura originaria dell’incarico, considerati gli sviluppi successivi del suo concreto svolgimento, e tenuto conto del divieto di dissimulare un vero e proprio rapporto di impiego con la creazione di plurimi “rapporti professionali autonomi”.

Ribadisce, pertanto, l’esistenza di più elementi caratteristici del rapporto di pubblico impiego, rivelatori del suo inserimento nell’organico della USL, e domanda il riconoscimento dei diritti di natura retributiva e previdenziale propri del lavoratore subordinato.

5. All’udienza del 13 luglio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

Motivi della decisione

1. L’appello è infondato.

2. La sentenza appellata ha correttamente affermato che la giurisprudenza amministrativa si è definitivamente orientata nel senso della inammissibilità dell’instaurazione del rapporto di pubblico impiego in via di mero “fatto”, essendo imperative le norme che prescrivono l’osservanza di specifiche regole formali per l’assunzione dei pubblici impiegati (C.d.S. A.P. n. 2, 5, 10 del 1992).

Anche questa Sezione si è pronunciata nel senso che “la presenza di alcuni tratti caratterizzanti propri del lavoro subordinato non è sufficiente a trasformare il rapporto convenzionale in rapporto di pubblico impiego, giacché, in ragione della complessità del predeterminato assetto organizzativo del sistema sanitario, nella parasubordinazione è implicita la presenza di alcuni degli elementi che connotano il rapporto di lavoro subordinato, come l’inserimento funzionale nell’organizzazione dell’ente, l’osservanza di vincoli di orario e la predeterminazione delle modalità di svolgimento delle prestazioni, trattandosi di elementi strettamente funzionali al detto assetto organizzativo; senza contare che, se il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa si protrae per anni, è normale che i tratti distintivi rispetto al lavoro subordinato si attenuino, senza che ciò, di per sé, non consenta di negare ai rapporti in parola la natura non subordinata” (Consiglio di Stato sez. III, 09 luglio 2012, n. 3976).

Sicché è da escludersi che nella fattispecie possa essersi instaurato un rapporto di pubblico impiego nel periodo 1985/1992, poiché le delibere adottate dal Comitato di Gestione della USL Le/7, a partire dalla Delib. n. 115 del 1985, conferiscono chiaramente incarichi professionali ai sensi dell’art. 2222 c.c., a tempo determinato, ( come previsto dagli artt. 73 D.P.R. n. 761 del 1979 e 3 L. n. 207 del 1985 ) e gli elementi, che secondo la ricorrente sarebbero caratterizzanti la sua prestazione lavorativa ( obbligo di osservanza di un orario di servizio, sottoposizione al rapporto gerarchico nei confronti del personale direttivo, corrispettivo su base oraria, etc.) non sono incompatibili con la natura prettamente “professionale autonoma” della prestazione, così come qualificata nelle delibere di incarico, essendo del tutto naturale l’inserimento ed il coordinamento della prestazione nell’organizzazione complessiva del servizio, affinché sia svolta in connessione con i fini istituzionali dell’ente.

3. Quanto alla domanda di attribuzione del medesimo trattamento economico e previdenziale in godimento agli psicologi pubblici dipendenti, va precisato che alla ricorrente ed agli altri psicologi incaricati a tempo determinato era stato attribuito il trattamento economico previsto dall’ANUL approvato con D.P.R. n. 348 del 1983, rapportato al numero effettivo di ore di lavoro, come risulta dalla delibera del Comitato di gestione del 14 febbraio 1985, n. 115. L’ accordo nazionale unico di cui al D.P.R. n. 348 del 1983, previsto dall’articolo 47 della L. n. 833 del 23 dicembre 1978, nonché dall’art. 30 del D.P.R. n. 761 del 20 dicembre 1979, disciplina il trattamento economico e gli istituti normativi ad esso espressamente demandati dalle predette disposizioni legislative di tutto il personale addetto ai presidi, servizi ed uffici delle unità sanitarie locali. Il trattamento economico degli psicologi con prestazioni di 18 ore settimanali viene indicato nella Delib. n. 115 del 1985 nella misura proporzionale allo stipendio annuo lordo, pari a L. 8.640.000, esattamente corrispondente a quello previsto per il nono livello retributivo ( cui appartengono gli psicologi di ruolo) dal D.P.R. n. 761 del 1979 .

Pertanto, in difetto di puntuali deduzioni e contestazioni circa l’attribuzione di un trattamento economico diverso e deteriore rispetto a quello indicato nella citata delibera di incarico, il Collegio ritiene che sia generica e inammissibile ogni pretesa concernente l’applicazione di principi desumibili dall’art. 36 Cost. o dall’art. 2126 c.c..

4. Inoltre, la normativa specificamente riguardante gli psicologi confermati, ovvero coloro che come la ricorrente, ai sensi dell’art.1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261, sono stati confermati nell’incarico a tempo indeterminato (poiché alla data di sottoscrizione dell’accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con gli psicologi ambulatoriali risultavano titolari di regolare incarico professionale a rapporto orario presso le Unità sanitarie locali per lo svolgimento di attività proprie della professione di psicologo), disciplina espressamente il relativo trattamento economico, disponendo, in via innovativa, che sia corrisposto “mensilmente un compenso forfettario rapportato a L. 18.350 per ora di incarico”(art. 15). La stessa norma precisa quali siano gli incrementi periodici del trattamento economico e l’anzianità valutabile; precisa, infine, che è vietata ( per l’avvenire) la stipula di accordi di carattere locale che prevedano erogazioni economiche aggiuntive o integrazioni normative al medesimo Accordo nazionale, sancendo la nullità di accordi o clausole a livello locale, in violazione di tale divieto. Se ne deduce che, per il passato, non sia possibile l’attribuzione del “nuovo” trattamento economico specificamente introdotto col citato D.P.R. n. 261 del 1992 per gli psicologi “confermati” e ciò neppure invocando l’equiparazione delle mansioni svolte dallo psicologo a tempo determinato con le mansioni proprie dello stesso profilo professionale dello psicologo a tempo indeterminato, atteso il carattere chiaramente innovativo della richiamata disciplina, del cui carattere speciale non può dubitarsi, essendo chiaramente finalizzata a conferire stabilità a rapporti di collaborazione professionale precari, sorti per far fronte ad esigenze di carattere temporaneo che si sono trasformate nel tempo in esigenze stabili e continuative.

5. In conclusione, l’appello va rigettato.

6. Le spese del presente grado di giudizio si possono compensare tra le parti, attesa la natura della controversia.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione