Necessaria la querela di falso per inficiare le risultanze del processo verbale di contestazione (Cass. n. 7671/2012)

Redazione 16/05/12
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 62/5/09, depositata il 15.7.09, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari (omissis) avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società Ferrovie Appulo Lucane (******) s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento emesso ai fini IRPEG ed IRAP, per gli anni di imposta 2001, 2002, e 2003. 2. La Commissione riteneva del tutto corretto il recupero a tassazione, per tutti e tre gli anni di imposta, del rimborso degli oneri IRAP corrisposti dalla Regione Puglia alla società contribuente, considerandoli, invero, come componenti positivi del reddito, tali da concorrere, pertanto, nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte suindicate.

2.1. Il giudice di appello reputava, inoltre, pienamente fondato l’accertamento relativo, per l’anno 2001, all’erronea indicazione, da parte della contribuente, del valore delle rimanenze finali, e per l’anno 2002, all’errato recupero dei costi di manutenzione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 62/5/09 ha proposto ricorso la società Ferrovie Appulo Lucane (******) s.r.l., affidato a sei motivi, ai quali l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 1.1. Il giudice di appello, a parere della ricorrente, avrebbe, invero, violato la disposizione suindicata, non avendo dichiarato inammissibile il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure, benchè l’atto di appello si fosse limitato a riprodurre i motivi di doglianza sostenuti nel primo grado del giudizio; e cioè – in buona sostanza – a confermare la legittimità degli atti di impositivi emessi nei confronti della società Ferrovie Appulo Lucane s.r.l..

1.2. Il motivo è palesemente infondato.

1.2.1. L’indicazione dei motivi di appello nel processo tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve, infatti, necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno del gravame, essendo, per contro, sufficiente un’esposizione chiara ed univoca – sia pure sommaria – della domanda rivolta al giudice di appello e delle ragioni della doglianza. Ne discende che i motivi di appello ben possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, o dal richiamo, in esso contenuto, di specifici atti del procedimento (Cass. 1224/07, 7393/11).

1.2.2. Ne discende, dunque, che pure la mera riproposizione, a supporto del gravame proposto dall’amministrazione finanziaria, della motivazione dell’avviso di accertamento annullato dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica, imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53. Ed invero, atteso 11 carattere devolutivo pieno che l’appello riveste nel processo tributario, quest’ultimo non integra un mezzo limitato al controllo di vizi specifici, bensì costituisce un gravame rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. 4784/11).

1.2.3. Per tali ragioni, pertanto, la censura in esame non può che essere rigettata.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la F.A.L. s.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 2.1. Rileva, al riguardo, la contribuente che il giudice di seconde cure avrebbe violato la norma suindicata, avendo riformato nel merito la sentenza di primo grado, laddove l’Agenzia delle Entrate aveva concluso il proprio atto di appello chiedendo che venisse dichiarata la nullità di tale decisione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59. 2.2. La censura è del tutto destituita di fondamento.

2.2.1. *****, invero, rilevare in proposito che l’Agenzia delle Entrate – come si evince dalla stessa sentenza di appello, nella parte relativa allo svolgimento del processo – aveva dedotto censure concernenti il merito della vicenda, e non certo ragioni di nullità della decisione impugnata. Tali censure, infatti, inerivano, in particolare, alla natura di ricavi – in quanto tali tassabili D.P.R. n. 91 del 1986, ex art. 53, lett. f), (nel testo temporalmente applicabile alla fattispecie) – attribuita dall’amministrazione ai contributi per gli oneri IRAP corrisposti dalla Regione Puglia alla società contribuente, tassabilità negata, invece, dal giudice di prime cure.

Per il che è del tutto evidente come – al di là delle erronee conclusioni dell’atto di gravame, con le quali l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto dichiararsi la nullità della sentenza di primo grado – i motivi di appello proposti fossero, per contro, diretti ad ottenere – se accolti – la riforma di tale decisione.

2.2.2. Ne discende, dunque, che del tutto correttamente la CTR adita – in assenza di censure proposte ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, finalizzate ad ottenere la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado – ha pronunciato la riforma nel merito dell’impugnata sentenza.

Per il che, il motivo di ricorso proposto, al riguardo, dalla F.A.L. s.r.l., deve essere senz’altro rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la F.A.L. s.r.l. deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia.

3.1. Rileva, in proposito, la ricorrente che le Regioni Puglia e Basilicata ricevono dal Ministero dei trasporti, sulla base di specifici accordi di programma, determinate risorse finanziarie, fra cui quelle dirette a sostenere l’onere IRAP, per il regolare svolgimento delle attività di trasporto pubblico. A loro volta, le Regioni suindicate destinano, poi, tali risorse a determinate società esercenti tale servizio, sulla base di statuizioni programmatiche contenute in accordi stipulati, di volta in volta, con le società stesse.

In particolare, deduce la ricorrente che le Regioni Puglia e Basilicata avrebbero stipulato con la F.A.L. s.r.l. dei “contratti di servizio”, in forza dei quali i suddetti enti locali si sarebbero impegnati a corrispondere alla società: a) un determinato corrispettivo annuo, commisurato alle percorrenze chilometrìche, “a compensazione degli obblighi di servizio pubblico” relativo ai trasporti effettuati: b) un determinato importo per oneri IRAP, mediante finanziamenti erogati dalle Regioni mediante appositi mandati di pagamento.

3.2. Ebbene, gli atti impositivi per gli anni 2001-2003 muoverebbero – stando alle deduzioni della ricorrente -dal presupposto secondo cui, mentre le somme percepite, a titolo di corrispettivo, per le percorrenze chilometriche risultano essere state considerate ai fini IRPEG, nella determinazione del reddito imponibili, nonchè assoggettate ad IVA (aliquota del 10%), le somme percepite a titolo di oneri IRAP, per contro, non avrebbero avuto – del tutto ingiustificatamente – rilevanza alcuna ai fini dell’imposizione diretta ed indiretta. Ed infatti, come riconosciuto dalla stessa F.A.L. s.r.l., la società – dopo avere esposto in bilancio, tra le voci dell’attivo, i contributi IRAP relativi agli anni in questione – aveva, poi, riportato lo stesso importo, con una variazione in diminuzione del reddito ai fini IRPEG ed IRAP, nella dichiarazione dei redditi per gli stessi anni, così – di fatto – neutralizzando la voce in questione. Per converso – secondo la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate, seguite in tale percorso argomentativo dalla CTR – siffatti contributi per gli oneri IRAP avrebbero dovuto essere considerati nella base imponibile, ai fini delle imposte oggetto dell’accertamento, e non portati in diminuzione, nella relativa dichiarazione, del reddito della società per gli anni in contestazione. A tali conclusioni dell’amministrazione finanziaria e del giudice di secondo grado, si oppone, peraltro, la contribuente con il motivo di ricorso in esame.

3.3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la censura suesposta è manifestamente infondata.

3.3.1. E’ vero, infatti, che i contributi erogati, dapprima dallo Stato, poi dalle Regioni (queste ultime mediante un apposito Fondo destinato ai trasporti, costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), a ripiano dei disavanzi di esercizio degli enti e delle aziende di trasporto pubblico locale, non costituiscono componenti positivi del reddito, e quindi sono sottratti ad imposizione diretta, ai sensi del D.L. n. 833 del 1986, art. 3, comma 1 n. 3), convertito in L. n. 18 del 1987, (Cass. 26264/10). E tuttavia, va rilevato che a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto concerne la computabilità di tali contributi, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini dell’IRAP. Ed invero, per quanto concerne tale ultima imposta, detti contributi – in forza del disposto del D.L. n. 209 del 2002, art. 3, comma 2 quinquies, introdotto dalla legge di conversione n. 265/02 – a decorrere dall’1.1.03, sono inclusi nella base imponibile a fini dell’IRAP, sebbene non assoggettati alle imposte sui redditi.

Ma non basta. Va altresì soggiunto, infatti, che – anche per quanto concerne gli anni precedenti il 2003 – la L. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica del disposto della L. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b)), nel senso che sono soggetti ad IRAP pure i contributi esclusi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, fatte salve diverse disposizioni delle leggi istitutive dei singoli contributi, o altre disposizioni speciali in materia.

Se ne deve inferire che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3, nel prevedere che i contributi erogati a norma di legge – pur se corrisposti in epoca anteriore al 31.12.02 – non concorrano alla base imponibile ai fini IRAP, esclusivamente nel caso in cui essi siano correlati a componenti negativi non ammessi a deduzione, viene – in definitiva – ad escludere l’imponibilità di tali voci attive nella sola ipotesi in cui vi sia una specifica previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo indeducibile. E tale specifica indicazione normativa non può essere neppure surrogata dalla mera affermazione dell’imprenditore di avere utilizzato il contributo per coprire spese non deducibili (cfr. Cass. S.U. 21749/09).

3.3.2. Da quanto suesposto discende – secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 4838/07, Cass. S.U. 21749/09, 14415/10, 13160/10, 29590/11) – che anche i contributi versati, prima dal Fondo nazionale dei trasporti (soppresso ad opera della L. n. 549 del 1995), poi dalle Regioni (tramite l’apposito Fondo costituito con il D.Lgs. n. 422 del 1997), alle imprese esercenti (come la F.A.L. s.r.l.) il trasporto pubblico locale, al fine di ripianare i disavanzi di esercizio, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile dell’IRAP, anche se erogati in epoca anteriore al 31.12.2002. E ciò pure nel caso in cui tali contributi siano stati, in ipotesi, erogati – come nel caso concreto – nella forma di provvisorie anticipazioni degli oneri di imposta cedenti a carico delle imprese suindicate.

3.3.3. D’altro canto, va rilevato che, nel caso di specie, non sono stati dimostrati, e neppure allegati, gli eventuali componenti negativi non ammessi in deduzione, cui i contributi in questione sarebbero stati correlati, in forza di specifiche disposizioni delle legge regionali in materia. E tanto, sia nel presente giudizio di legittimità, che nei gradi di merito, per quanto è dato inferire dalla stessa sentenza di appello.

Per cui la censura in esame, per tutte le ragioni esposte, non può che essere disattesa.

4. Con il quarto motivo di ricorso, la F.A.L. s.r.l. deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 4.1. Assume, invero, la ricorrente che la motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe del tutto carente, sul punto relativo all’erronea indicazione del valore delle rimanenze finali per l’anno 2001.

La CTR si sarebbe, infatti, a parere della contribuente, attestata acriticamente sulle ragioni avanzate dall’Agenzia delle Entrate, senza valutare correttamente – a suo dire – il computo del valore delle rimanenze, operato dalla F.A.L. s.r.l. anche a mezzo di perizia giurata.

4.2. Il motivo è palesemente inammissibile.

Osserva – per vero – la Corte che la ricorrente ha, in buona sostanza, censurato il procedimento contabile di valutazione delle rimanenze seguito dalla CTR, sulla base delle risultanze di bilancio e di quelle desumibili dalla predetta relazione peritale, ed ampiamente esposto in motivazione, giacchè sarebbe pervenuto a risultati – a suo parere – non corretti e condivisibili.

Ebbene, è di tutta evidenza che la deduzione di un vizio di motivazione della decisione impugnata con ricorso per cassazione non conferisce alla Corte il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, al fine di rivedere il ragionamento decisorio poichè non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi presi in considerazione. Diversamente opinandosi, infatti, il motivo di ricorso verrebbe a tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice stesso, volta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09, 6288/11).

4.3. Alla stregua di tali affermazioni di principio, pertanto, avendo la F.A.L. s.r.l. dedotto, con il motivo in esame, questioni attinenti al merito della controversia, irricevibili in questa sede di legittimità, la censura – così come proposta – non può che essere dichiara inammissibile.

5. Con il quinto motivo di ricorso la F.A.l. s.r.l. deduce, poi, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 3, (nel testo applicabile ratione temporis), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 5.1. Per quanto concerne, invero, l’errato recupero dei costi di manutenzione per l’anno 2002 – censurato dall’amministrazione nell’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente – la F.A.L. s.r.l. assume che del tutto erroneamente la CTR avrebbe ritenuto che le spese per la revisione dei motori dei locomotori non fossero integralmente deducibili nell’anno in cui sono state sostenute, trattandosi di manutenzione straordinaria, suscettibile di apportare benefici per più esercizi.

Ed infatti – a parere dell’amministrazione, prima, poi del giudice di appello, che avrebbe, secondo la ricorrente, acriticamente recepito le risultanze del processo verbale di constatazione e del conseguente atto impositivo – tali spese costituirebbero costi ad utilizzazione pluriennale, in quanto tali deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 3.

E tuttavia, il rilievo in questione, ad avviso della società ricorrente, non troverebbe conforto alcuno in nessun elemento di prova acquisito agli atti di causa; sicchè la decisione della CTR, sul punto in questione, si paleserebbe del tutto illegittima.

5.2. Il motivo di ricorso è inammissibile.

5.2.1. E’, invero, di tutta evidenza – a giudizio della Corte – che, sub specie di denuncia del vizio di violazione di legge – la società contribuente intende censura-re, nella sostanza, il giudizio di fatto operato dal giudice di seconde cure, sotto il profilo della “mancata prova della qualificazione come spese relative a più esercizi” dei costi relativi alla manutenzione dei motori dei locomotori. E ciò al di là della formale qualificazione del motivo – operata nella relativa intestazione – come vizio di violazione e falsa applicazione di legge. Ne consegue che – per le ragioni dianzi esposte – la censura in esame non può trovare accoglimento.

6. Con il sesto motivo di ricorso, infine, la F.A.L. s.r.l. deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 6.1. Avrebbe, infatti, errato il giudice di appello – a parere della contribuente – ad attribuire al processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza – recepito dal successivo atto impositivo – un valore probatorio determinate, quanto ai fatti in esso descritti, considerandoli “veri”, pure in presenza di fatti giustificativi, di segno contrario, opposti dalla F.A.L. s.r.l..

6.2. La censura è palesemente infondata e va, pertanto, disattesa.

6.2.1. Questa Corte ha, per vero, più volte affermato che, in materia di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, o da altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 e. e, quanto ai fatti in esso descritti.

Ne discende che – contrariamente a quanto assume la ricorrente – per contestare tali fatti è necessaria la proposizione della querela di falso, non essendo sufficiente la mera allegazione di circostanze di fatto, o di generici elementi di prova, di segno contrario alle risultanze del predetto documento avente efficacia probatoria privilegiata (cfr. Cass. 7208/03, 2949/06, 15311/08).

7. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso proposto dalla Ferrovie Appulo Lucane s.r.l. deve essere rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 18.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Redazione