Motivazione “per relationem” (Cons. Stato n. 2941/2013)

Redazione 30/05/13
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FATTO

1. Con nota dell’Interporto Marche S.p.a. del 28.11.2011, impugnata, a seguito di informativa antimafia della Prefettura di Caserta del 26.10.2011, parimenti impugnata con motivi aggiunti, la capogruppo dell’ATI Costeldati S.r.l., aggiudicataria dei lavori ferroviari appaltati dall’Ente Ferrovie dello Stato, è stata invitata ad estromettere la Global Costruzioni S.r.l. (mandante), pena la revoca dell’affidamento.

A fondamento dell’informativa antimafia veniva posta la circostanza che la *********, amministratrice di Global Costruzioni S.r.l., è coniugata con ********************, parente di soggetti vicini ad ambienti criminali, ed una serie di circostanze di fatto riguardanti i singoli componenti della famiglia ***********, complessivamente indizianti la permeabilità della società a condizionamenti mafiosi.

2. Il TAR Campania, Sezione I di Napoli, ha rigettato l’impugnazione, essenzialmente ritenendo la sufficienza della motivazione e dell’istruttoria, essendo il provvedimento congruamente motivato “per relationem” e basato su elementi di controindicazione univoci e sufficienti, non occorrendo né la prova di fatti di reato, né del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di soggetti mafiosi, ed essendo ampiamente discrezionale l’apprezzamento rimesso al Prefetto, in cui assumono valore pregnante l’appartenenza dell’amministratore unico ad una compagine familiare sospetta ed i vincoli di parentela (affinità) con vari soggetti gravitanti nell’orbita di associazioni criminali.

3. Con l’appello in esame, vengono riproposti i motivi disattesi.

4. Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate.

5. All’udienza dell’8 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello non è fondato.

1.1 L’appello ripropone i vari profili di incongruità della motivazione, inadeguatezza e superficialità dell’istruttoria svolta dagli organi investigativi, illogicità dell’interdittiva impugnata, che il primo giudice ha rigettato.

I provvedimenti impugnati e la sentenza non avrebbero dato adeguata motivazione a due questioni fondamentali: 1) l’incidenza della famiglia *********** nella gestione della società Global Costruzioni S.r.l., di cui è amministratrice unica la ricorrente; 2) la pericolosità sociale dei componenti la famiglia ***********.

1.2 Col primo motivo si lamenta, specificamente, che la sentenza appellata avrebbe sottovalutato la mancanza di autonoma e successiva valutazione da parte del Prefetto degli elementi raccolti dalle forze di polizia.

Il Collegio concorda col primo giudice nel ritenere assolto l’obbligo motivazionale da parte del Prefetto con il richiamo alla “relazione” (verbale) del GIA del 27.9.2011.

Innanzitutto, va condiviso che ai sensi dell’art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, in via generale, la motivazione “per relationem” è consentita con riferimento ad altri atti dell’Amministrazione, che devono però essere indicati e resi disponibili, non necessariamente attraverso la materiale allegazione al provvedimento, ma attraverso la loro “accessibilità”.

La motivazione “per relationem” è sufficiente ad assolvere l’obbligo motivazionale specialmente allorquando il provvedimento amministrativo è preceduto da atti istruttori, da pareri, o costituisce espressione sintetica di concrete valutazioni operate da organi altamente qualificati, nell’ambito di appositi sub procedimenti tecnici, a condizione che dal complesso degli atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 febbraio 2013, n. 1202 e 31 marzo 2012, n. 1914; sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156; sez. V, 15 novembre 2012, n. 5772).

Inoltre, sempre in via generale, la motivazione assume connotati di minore pregnanza in caso di adesione alle risultanze di atti presupposti e del complesso dell’istruttoria, mentre richiede una espressione più diffusa e approfondita solo nel caso di discostamento da quelle risultanze. (Consiglio di Stato, sez. V, 24 gennaio 2013, n. 445; sez. VI, 23 febbraio 2004, n. 685)

Nello specifico, anche l’atto con cui il Prefetto fornisce alle stazioni appaltanti, ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c) del D.P.R. n. 252/1998, informative in merito alla possibilità di condizionamenti di tipo mafioso, avvalendosi delle indagini svolte da competenti organi, dotati di conoscenze specializzate ed incaricati di svolgere l’attività istruttoria necessaria, è sufficientemente motivato “per relationem”, mediante il rinvio alla documentazione prodotta dai predetti organi d’investigazione, essendo il Prefetto tenuto a motivare diffusamente il proprio giudizio valutativo solo nel caso in cui intenda discostarsi dai risultati di dette indagini.

1.3 L’appellante afferma il difetto motivazionale anche sotto altro profilo, perché gli atti investigativi presupposti sarebbero a lei favorevoli e così pure la sentenza del TAR Campania, Napoli, I sez., n. 22123/2010, che ha annullato una precedente interdittiva, adottata dalla Prefettura di Caserta il 18 maggio 2009, in ragione della ritenuta riconducibilità della Global Costruzioni S.r.l. alla famiglia ***********, come nella fattispecie.

Su entrambi questi punti il Collegio dissente dalle tesi dell’appellante. Sul primo punto, in senso contrario, va rilevato che la relazione del Gruppo Investigativo Antimafia del 27.9.2011 ha concluso proponendo l’adozione di un provvedimento negativo (e non favorevole) e che anche la nota della Polizia anticrimine di Caserta del 19.3.2011 ha messo in evidenza una serie di fatti non favorevoli all’appellante. Quanto al secondo punto, la sentenza del TAR Campania, Napoli, Sez. I, n. 22123/2010 citata come precedente favorevole dall’appellante, come correttamente ritenuto dal primo giudice non è pertinente. Quella impugnazione riguardava una interdittiva nei confronti della Global Costruzioni S.r.l., ma fondata su diversi elementi indiziari, ossia il collegamento della Global con altre due società raggiunte da interdittive, e solo in via incidentale si occupava degli esponenti della famiglia ***********, affermando che, in quel caso, l’interdittiva risultava “priva dell’allegazione di un minimo elemento fattuale che possa avvalorare l’assunto che la famiglia *********** sia in qualche modo affiliata al clan ********”. Il quadro indiziario che emerge dagli atti impugnati nel presente processo, invece, ha una portata più ampia e coinvolge vari fatti, puntualmente indicati a carico di diversi componenti della famiglia, non concernenti solo il rapporto con il clan ********, per cui non può ritenersi sovrapponibile al fatto oggetto della sentenza invocata.

2. Il secondo motivo di appello, con cui l’appellante denuncia l’error in judicando, la violazione dell’art. 10 del DPR 252/1998 e dell’art. 4 del D.LGS 490/1994, il difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, il travisamento dei fatti e l’illogicità, si compendia nell’asserzione che i fatti desunti dall’istruttoria non sono idonei a supportare l’informativa, perché si riducono ad attribuire un inammissibile valore indiziante al rapporto di coniugio dell’appellante con ******************** e, di conseguenza, all’appartenenza alla famiglia ***********.

Inoltre, l’appellante contesta radicalmente che gli atti impugnati e la sentenza appellata abbiano dato risposta al quesito intorno a cui, ai sensi dell’art. 10, comma 8, DPR 252/1998, ruota il giudizio di pericolosità, ossia il probabile condizionamento delle scelte imprenditoriali. In altri termini, non sarebbe stato chiarito in che modo i ******************, che non rivestono alcuna carica o responsabilità nella conduzione dell’azienda, possano influenzare le “scelte e gli indirizzi dell’impresa”; né viene dimostrata la pericolosità sociale della famiglia *********** sul conto dei cui componenti non vengono riferiti precedenti penali o procedimenti pendenti per reati di mafia.

L’appellante osserva che gli unici due dipendenti (********************* e ********) per le mansioni assegnate (rispettivamente, operaio e geometra) non sarebbero in grado di incidere sulle scelte imprenditoriali; gli stessi, poi, sarebbero estranei ad ambienti criminali, essendo liberi da precedenti penali, né nei loro confronti vengono riferiti circostanziati indizi di appartenenza ad organizzazioni criminali.

Sul conto del suocero ******************** gli atti dell’istruttoria non riferiscono alcun legame con consorterie camorristiche, ma solo che nel 2005 la ******à di cui era amministratore fu raggiunta da interdittiva antimafia.

2.1 Osserva il Collegio che la sentenza appellata ha esaminato puntualmente sia i principi elaborati dalla giurisprudenza al fine di una applicazione garantista delle norme concernenti la materia, sia le risultanze istruttorie del caso in esame, non rilevando vizi di illogicità e superficialità, e concludendo correttamente che “gli accertamenti condotti, pur non facendo palesare situazioni di effettiva e conclamata infiltrazione mafiosa hanno dato conto della presenza di circostanze poste alla soglia, giuridicamente rilevante, dell’influenza e del condizionamento latente dell’attività dell’impresa da parte delle organizzazioni criminali”.

2.2. Il Collegio condivide tali conclusioni: valore pregnante nella fattispecie assume il contesto, la compagine familiare sospetta; i fatti esaminati partitamente presentano nel loro insieme una coerenza logica sufficiente a giustificare la misura prefettizia, che, come più volte ribadito in giurisprudenza, ha una forte valenza di anticipazione “della soglia di prevenzione” rispetto ai tentativi di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche.

“L’informativa prefettizia, di cui agli art. 4 d.lg. 29 ottobre 1994 n. 490 e 10 d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, è funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la p.a., determinando l’esclusione dell’imprenditore, sospettato di detti legami, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività.”( Consiglio Stato , sez. VI, 17 luglio 2006, n. 4574)

Di conseguenza, la misura è adottabile sulla base di accertamenti sommari e probabilistici, che non raggiungono, né possono raggiungere, le certezze che scaturiscono dai giudizi penali; ed è irrilevante la preesistenza di pregiudizi penali o procedimenti pendenti per reati di mafia così come sono irrilevanti le risultanze negative dei certificati penali delle persone interessate all’indagine ( Consiglio Stato sez. VI, 03 marzo 2010, n. 1254).

Tuttavia, è altrettanto essenziale, in un sistema di legalità, non attribuire valore esclusivo al mero rapporto di parentela con soggetti pregiudicati o contigui ad ambienti criminali; tale elemento, però, unito ad altri può essere idoneo ad integrare il presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa (Consiglio Stato sez. V,07 novembre 2006 n. 6536).

Il punto nodale della controversia in esame si focalizza, dunque, sulla congruità degli elementi posti a sostegno dell’informativa prefettizia.

Riguardo a tali indizi, il Collegio osserva, in aggiunta alle argomentazioni svolte dal primo giudice, quanto segue:

A) Con riferimento alla posizione del suocero ********************, l’appellante denuncia l’errata enfatizzazione dei rapporti con *****************, pregiudicato, contrassegnata da varie inesattezze: ***************** ebbe ad essere nominato liquidatore della società “Centro sud macchine” ****** solo successivamente alla cessazione del Santonicola dalla carica di amministratore e cessione della sua quota di partecipazione alla società. Tali deduzioni contenute nell’atto di appello, contrastano però con la nota della polizia anticrimine di Caserta del 19.3.2011, da dove risulterebbe che ***************** era socio della società “***********************”, di cui il Sig. ******************** è stato amministratore unico, società di cui non è in dubbio, peraltro, la continuità con la “Centro sud macchine” ****** (nuova denominazione a decorrere dal 2009 della “***********************” ******), di cui il ******** è stato nominato liquidatore (dal Sig. *************, al quale il Santonicola aveva ceduto la propria partecipazione al capitale sociale).

B) Sul conto di *********************, l’appellante lamenta l’illegittimità dell’assunto della Prefettura circa la contiguità al clan ******** e il difetto di pronuncia del TAR sul motivo aggiunto proposto al riguardo.

L’essere incensurato e senza carichi pendenti non esclude, però, che la polizia disponga di indizi concernenti profili di contiguità e di permeabilità con gli ambienti mafiosi, che mantenga riservati per esigenze di tutela e segretezza delle indagini.

C) Sul conto dei Sig.ri ******** e ********************, la circostanza che gli stessi siano rimasti uccisi in agguati camorristici verificatisi a distanza di tempo (22 e 7 anni addietro) non esclude che la gravità dei fatti possa ancora influenzare il clima delle relazioni familiari; al riguardo, non appare secondario apprezzare la cornice in cui fu perpetrato il primo omicidio, che vide coinvolti tra i mandanti, organizzatori ed esecutori del delitto, appartenenti al clan camorristico dei casalesi i quali “uccidevano il *********** per colpire **************** e la sua organizzazione camorristica, al quale la vittima era legata da rapporti di amicizia e affari” (cfr. l’atto di costituzione di parte civile depositato in giudizio dalla difesa dell’appellante). Mentre, riguardo all’uccisione del ********************, la dinamica dell’incidente, descritta dalla sentenza della Corte d’Assise d’appello di Napoli, Sez. IV, n. 30/2007, mette in luce che l’arma del delitto era comunque detenuta illegittimamente dalla stessa vittima.

D) Con riguardo al Sig. ********************, il verbale GIA del 27.9.2011 riferisce che lo stesso è stato tratto in arresto nel 1999 per favoreggiamento, avendo concesso in locazione un immobile nel quale sono stati rinvenuti due latitanti; l’appellante solleva solo perplessità sulla responsabilità dell’interessato, ma non offre altre notizie sull’esito del procedimento penale a suo carico.

Tutto ciò considerato, tenuto conto che il parametro valutativo nella materia non è quello della “certezza”, ma quello della “qualificata probabilità”, deve ritenersi che l’atto prefettizio impugnato non sia fondato sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, ma su circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni e collegamenti con ambienti criminali della famiglia cui l’appellante appartiene, potenzialmente idonee ad influenzare l’attività dell’impresa.

3. In conclusione, l’appello va rigettato.

4. Le spese si possono compensare tra le parti, attesa la natura delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2013

Redazione