Modesti postumi invalidanti all’operaio a causa di un incidente stradale, ma niente risarcimento da perdita di chance (Cass. n. 2089/2013)

Redazione 29/01/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Per quel che ancora rileva nel presente giudizio, il Tribunale, ritenuto R. R. unico responsabile del sinistro stradale, lo aveva condannato, in solido con la R. Assicurazioni, al risarcimento del danno in favore di G. M.
La Corte di appello di Torino, adita da G. M. al fine di ottenere una maggiore quantificazione del danno, accolse solo parzialmente l’impugnazione, liquidandogli l’ulteriore danno per fermo tecnico dell’autovettura (sentenza del 24 marzo 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza, G. M. ricorre per cassazione con quattro motivi, corredati da quesiti ex art. 366-bis. cod. proc. civ.
L’Assicurazione resiste con controricorso.
Gli altri intimati non svolgono difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce contraddittorietà di motivazione, nell’avere la Corte di merito riconosciuto la percentuale, dell’1% di invalidità permanente e negato il danno da perdita di chance nell’attività professionale, nonostante la dichiarazione del datore di lavoro in relazione ad un presumibile sviluppo di carriera se la lesione non ci fosse stata.
Il motivo va rigettato.
1.1. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il creditore che voglia ottenere anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (Cass. 28 gennaio 2005 n. 1752).
Da ciò deriva che quando, come nella fattispecie, la perdita di “chance” è allegata come danno patrimoniale da impossibilità di ulteriore sviluppo di carriera nell’attività lavorativa espletata, i presupposti di tale danno sono che l’attività professionale svolta prevedesse tali possibili ulteriori favorevoli sviluppi e che essi, secondo un calcolo di probabilità con specifico riferimento alla fattispecie, non si sono, né si potranno verificare per la perdita di capacità lavorativa specifica subita.
1.2. Nella fattispecie, la Corte di merito ha rilevato, con congrua motivazione, la non sussistenza di entrambi i presupposti.
Quanto alla riduzione di capacità lavorativa specifica (operaio metalmeccanico), ha ritenuto che non vi era stata, come accertato dal consulente tecnico di ufficio e confermato dai consulente di parte.
D’altra parte, il solo fatto dell’esistenza di postumi invalidanti non comporta che sussista una perdita di capacità lavorativa specifica, con conseguente danno patrimoniale, segnatamente allorché tali postumi siano di ridotta entità (nella fattispecie dell’11%).
Quanto alla probabilità di sviluppo di carriera, che secondo il ricorrente sarebbe stata provata dalla dichiarazione del datore di lavoro (ditta G.), la Corte di merito ha ritenuto che tale dichiarazione scritta non avesse alcun valore probatorio, non essendo stata confermata come testimonianza. Avverso tale statuizione di irrilevanza probatoria della nota scritta in questione, nessun rilievo ha mosso il ricorrente.
2. Il secondo e terzo motivo – con i quali si deducono tutti i vizi motivazionali (secondo) e la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. – censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha statuito in ordine ai motivi di appello volti ad ottenere una maggiore quantificazione del danno biologico e del danno morale.
2.1. La Corte di merito ha dichiarato inammissibili i relativi motivi di appello, ritenendo generiche le censure rivolte alla sentenza di primo grado. A fronte di tale ratio decidendi, l’unica censura conferente rispetto al decisum della Corte avrebbe dovuto essere quella di violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., con argomentazioni attinenti alla sussistenza della specificità dei motivi di appello proposti, e non quelle – prospettate dal ricorrente – di vizi motivazionali e violazioni di norme attinenti alla utilizzazione e valutazione delle prove.
Tale inconferenza dei motivi di ricorso rispetto al decisum ne comporta l’inammissibilità in applicazione di principi consolidati.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3612; Cass. 23 maggio 2001, n. 7046). Secondo le Sezioni Unite (12 maggio 2008, n.11650; 19 settembre 2008, n. 23860) poi, l’inconferenza dei motivo comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulterebbe comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata.
3. Con il quarto motivo di ricorso si censura – deducendo tutti i vizi motivazionali – quella parte della sentenza che, riconoscendo solo il fermo tecnico, conferma per il resto la decisione di primo grado quanto ai danni relativi alla autovettura, liquidati in 7 milioni di lire.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato.
E’ inammissibile, per estrema genericità, quando censura la ritenuta congruità della liquidazione equitativa del fermo tecnico e quando lamenta la ricomprensione, nei 7 milioni di lire riconosciuti, delle spese sostenute per il soccorso stradale.
E’ manifestamente infondato, quando lamenta omessa motivazione in riferimento a censure mosse in appello, rispetto alle quali, invece, la Corte ha motivato. Così, quanto alla tassa di proprietà e al premio assicurativo, la Corte di merito le ha ritenute non rimborsabili perché durante la sosta il proprietario resta tenuto a sopportare le spese di gestione del veicolo; quanto ai preteso valore di mercato dei veicolo, la Corte ha ritenuto generica la deduzione per essere state solo richiamate le riviste specializzate, non specificamente indicate, né prodotte.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le Spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza nei confronti della Assicurazione controricorrente.
Non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente R. Assicurazioni, delle spese processuali del
giudizio di cassazione, che liquid in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2012

Redazione