Cos’é il mobbing per la giurisprudenza (Cass. n. 3187/2012)

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Massima

Per la configurazione di una condotta di “mobbing”, l’illegittimità di un atto non è di per sé sufficiente. E’ necessario infatti accertare l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche di persecuzione e discriminazione) e la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta, nonché la prova dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio.

 

 

1. Nozione

Il termine mobbing deriva dal verbo “to mob” (che significa assalire, prendere d’assalto, malmenare) e viene spesso utilizzato in luogo del termine “harassment” per indicare le molestie morali sul luogo di lavoro. La giurisprudenza ha chiarito che costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa (Cass. Civ. sez. lav., n. 4774/2006).

Inoltre, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione.

Infine, il dipendente/ricorrente deve dimostrare che dagli atti della P.A. sia a lui derivato un danno biologico e la dipendenza di alcune patologie dalla condotta dell’amministrazione.

 

2. Comportamenti tipici del mobbing militare

 

Il T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 aprile 2008, n. 2877 ha ritenuto in particolare (con riferimento a controversia instaurata da un assistente polizia penitenziaria) che si tratta di mobbing, i seguenti comportamenti:

a) “l’invio in missione presso diverse sedi, il conseguimento di determinati giudizi annuali, il mancato riporto di note di merito nel foglio matricolare, l’insoddisfazione di aspettative attinenti l’attribuzione di elogi e/o meriti, eventuali omissioni in forme di pubblicità (quali le affissioni in bacheca), l’organizzazione dei turni o, ancora, la destinazione a servizi comunque afferenti all’esercizio delle proprie mansioni ovvero il rifiuto di permessi di uscita anticipata appaiono elementi fattuali di per sé stessi inidonei a rivelare l’insorgenza per il dipendente di un “contesto ambientale differenziato” ovvero un “disegno complessivo”, composto da una serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori, tali da creare una situazione di sofferenza nel lavoratore”;

b) “in verità, le circostanze sopra descritte appaiono “frequenti” negli ambienti di lavoro – per non dire, ordinarie – specie ove si considerino le esigenze di contemperamento dei diversi interessi coinvolti che spesso richiedono la presenza nel luogo di lavoro del dipendente in contrasto con le proprie esigenze personali e/o familiari”.

È noto che la materia è delicata. Non si può trascendere dalla ricerca di un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutelare i lavoratori che rimangono vittime di iniziative persecutorie e la necessità di evitare una “giuridificazione” eccessiva e patologica dei rapporti umani in ambito lavorativo che comporterebbe l’attribuzione di sanzione giuridica a qualsivoglia scorrettezza o a qualunque evento della convivenza umana nel rapporto di lavoro. Ad ogni modo, le varie impostazioni concordano sul fatto che per aversi “mobbing” ci si debba trovare di fronte ad una serie prolungata di atti volti ad “accerchiare” la vittima, a porla in posizione di debolezza, sulla base di un intento persecutorio sistematicamente perseguito.

Si intende così affermare che il mobbing – proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo – non può essere imputato in via esclusiva ma anche prevalente al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. C.Conti, Reg. Marche, Sez. G., 8 febbraio 2005, n. 106).

 

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente, dal 1 ° novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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