Misure cautelari personali: fatti connessi e doppia ordinanza restrittiva (Cass. pen. n. 18334/2013)

Redazione 22/04/13
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Corte di Cassazione, sez. I Penale, 22 aprile 2013, n. 18334 Presidente Bardovagni
Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 22.6.2012 il Tribunale di Lecce, costituito ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto da A.P. avverso il provvedimento con il quale il Gip della stessa sede il 31.5.2012 aveva disatteso l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase della misura cautelare allo stesso applicata, ai sensi dell’art. 297 comma 3 cod. proc. pen..
In specie, si ha riguardo alla misura cautelare degli arresti domiciliari applicata con ordinanza emessa il 24.4.2012 (eseguita il 14.5.2012) al P. per più delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, commessi tra il (omissis).
Ad avviso dell’istante, detta misura custodiale doveva essere dichiarata inefficace, ai sensi degli artt. 297 comma 3 e 303 cod. proc. pen., ricorrendo i presupposti della c.d. contestazione a catena, essendo stato tratto in arresto in flagranza del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (per avere detenuto a fini di spaccio gr. 7 di eroina), fatto per il quale era rimasto detenuto ininterrottamente dal momento dell’arresto, del (omissis), al 19.6.2010, data della irrevocabilità della sentenza di patteggiamento, e successivamente in espiazione di pena.
Il tribunale riteneva infondata la prospettazione difensiva – secondo la quale i due provvedimenti restrittivi sono stati emessi nello stesso procedimento, essendo l’arresto in flagranza del (omissis) conseguenza delle attività investigative già in corso e successivamente poste a fondamento del secondo titolo cautelare – rilevando che si tratta di episodi diversi ed oggetto di procedimenti diversi. Condividendo, poi, quanto affermato nel provvedimento impugnato, il tribunale ribadiva che, pur sussistendo i presupposti della anteriorità cronologica dei fatti contestati con la seconda ordinanza cautelare rispetto al momento in cui era stato emesso il primo titolo restrittivo, nonché, della connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due distinti titoli cautelari, tuttavia, non poteva ravvisarsi il requisito della “desumibilità” dei fatti contestati con la seconda ordinanza dagli atti del procedimento posti a fondamento della prima misura cautelare.
Il giudice dell’appello riteneva non condivisibile l’impostazione difensiva secondo la quale la desumibilità dagli atti poteva affermarsi alla luce del contenuto della seconda ordinanza, emessa il 24.4.2012, nella quale si fa espresso riferimento al delitto di detenzione illecita di eroina commesso dal P. il (omissis), atteso che tale verifica non può che essere effettuata con riferimento al bagaglio di conoscenze, tratto ovviamente dagli atti a disposizione, che il pubblico ministero prima ed il gip poi avevano a disposizione al momento in cui era stato disposto il giudizio immediato nei confronti del P. per il reato commesso (omissis). Rilevava, quindi, che non poteva ritenersi sufficiente al fine di dimostrare la desumibilità il mero richiamo operato nella seconda ordinanza all’episodio delittuoso accertato il (omissis), né la circostanza dedotta dalla difesa che le intercettazioni effettuate in relazione agli episodi delittuosi di cui alla seconda ordinanza erano, evidentemente, precedenti al fatto oggetto della prima ordinanza custodiale. Infatti, non risulta affatto dimostrato dall’istante – che ha l’onere di allegare le ragioni a sostegno della richiesta – se, quando e in che forma il pubblico ministero ne sia venuto a conoscenza nell’ambito del procedimento relativo all’arresto del (omissis) e concluso con la sentenza di patteggiamento relativa a quel singolo fatto emessa in data (…). Del resto, il pubblico ministero ha affermato che i risultati dell’attività di intercettazione relativa ai fatti oggetto della seconda ordinanza cautelare (fatto del febbraio-marzo 2010) sono stati comunicati in data successiva al giugno 2010. Tale assunto non è stato confutato dalla difesa, se non sulla base di petizioni di principio; né appare sconfessato dall’esame della documentazione agli atti dalla quale non risulta che all’autorità giudiziaria siano stati consegnati da parte della polizia giudiziaria, prima del rinvio a giudizio del P. in relazione al procedimento per il fatto accertato il (omissis), i testi integrali delle intercettazioni effettuate tra il 12 febbraio ed il 6 marzo 2010.
Ribadiva, quindi, il tribunale che deve ritenersi irrilevante la circostanza che l’attività di captazione fosse iniziata anteriormente all’emissione della prima ordinanza cautelare e che fossero cronologicamente antecedenti anche le comunicazioni intercettate ritenute utili ai fini della successiva ordinanza cautelare. Ai fini dell’applicabilità della retrodatazione ai sensi dell’art. 297 comma 3 cod. proc. pen., occorre che il pubblico ministero procedente disponga concretamente di un quadro indiziario di tale gravità e completezza che gli permetta di apprezzare in tutta la loro valenza probatoria la sussistenza dei presupposti legittima l’adozione di un ulteriore ordinanze cautelari nei confronti di soggetti già raggiunti da precedenti misure cautelari.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il P. , a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata affermando che, all’evidenza, al momento dell’arresto nella flagranza del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in data 16.4.2010, a carico del P. erano già esistenti i gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento della seconda ordinanza di custodia cautelare emessa il 24.4.2012 con riferimento ai fatti compresi tra il (omissis) .
Tanto, ad avviso del ricorrente, risulta dalla circostanza documentata in sede di appello che l’arresto effettuato il (omissis) altro non era che la concretizzazione dell’attività di indagine compiuta in relazione al procedimento penale poi sfociato nella seconda ordinanza cautelare emessa il 24.4.2012. Rileva, quindi, che la valutazione in ordine alla desumibilità dagli atti deve essere operata necessariamente con riferimento al solo materiale probatorio relativo alla posizione dell’indagato, escludendo quella degli altri coindagati, e che si deve avere riguardo agli atti investigativi posti a fondamento della seconda ordinanza cautelare avente ad oggetto fatti circoscritti al periodo tra il (omissis) ; tali fatti devono essere analizzati in funzione della contestazione sfociata nell’arresto in flagranza del (omissis) che portò all’emissione della prima ordinanza cautelare. Precisa, altresì, che la desumibilità non coincide con il concetto di disponibilità degli atti, ma consiste in un giudizio sulla possibilità che l’autorità giudiziaria, in possesso di determinati elementi, sia in grado di dedurre da essi date conclusioni con una valutazione che va effettuata non in astratto ex post, ma in concreto ex ante, secondo la normale esigibilità.
Afferma, quindi, che l’intero apparato accusatorio posto a fondamento della ordinanza cautelare emessa il 24.4.2012 è stato acquisito entro aprile 2010 ed è culminato con l’arresto in flagranza di reato il (omissis). Si tratta, in specie, delle intercettazioni, dei servizi di osservazione, pedinamento e di controllo che per quel che riguarda la posizione del ricorrente sono riconducibili ad un periodo compreso tra il (omissis) ed il (omissis), come è attestato da quanto argomentato nella misura cautelare del 24.4.2012; del resto, il servizio di osservazione e pedinamento si era concluso con l’arresto in flagranza del (omissis). Ulteriore conferma della desumibilità dei fatti successivi dagli atti del primo procedimento si trae dalla circostanza, del tutto ignorata dal tribunale, che il pubblico ministero il 14.5.2010 aveva disposto l’acquisizione agli atti di indagine di cui al secondo titolo custodiale dell’intero fascicolo relativo all’arresto in flagranza del (omissis); tanto attesta la conoscenza del quadro indiziario in epoca antecedente all’emissione del rinvio a giudizio per il primo fatto.
Tutte le predette circostanze consentono, peraltro, ad avviso del ricorrente, di ritenere che non si è in presenza di due episodi, ma dello stesso fatto, con la conseguenza che secondo i principi affermati dalle Sez. U di questa Corte la retrodatazione opera automaticamente.

Considerato in diritto

Il ricorso, ad avviso del Collegio, è fondato.
È opportuno muovere dai principi affermati da questa Corte con la decisione delle Sezioni unite n. 14535, 19/12/2006, Librato, che è stata richiamata anche nell’ordinanza impugnata, nella quale si prendono in esame le diverse ipotesi, distinguendo anche tra ordinanze emesse nello stesso procedimento o in procedimenti diversi.
Nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologia, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure (art. 297, comma terzo, prima parte cod. proc. pen.). Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la connessione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive.
Nell’ipotesi, invece, di più ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino, invece, fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.
Pertanto – è stato precisato – solo nel caso di misure emesse in procedimenti diversi, pendenti dinanzi alla medesima autorità giudiziaria, relativi a fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione automatica non opera se i fatti cui si riferisce la seconda ordinanza, pur fondati su elementi già presenti precedentemente, siano fondati su circostanze di fatto che “non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato”, quando, cioè, “la presa di coscienza e la elaborazione degli elementi probatori da parte degli organi delle indagini richiede tempi non brevi che danno ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento penale”.
Orbene, ad avviso del Collegio, il tribunale non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
In primo luogo, deve rilevarsi che non è stata valutata compiutamente la dedotta unicità del procedimento nell’ambito del quale sono stati emessi di due titoli cautelari nei confronti del P. relativi a fatti ritenuti univocamente connessi tra loro. Invero, non può essere tale l’affermazione che si tratta di fatti diversi, circostanze che non esclude l’unicità del procedimento; né può ritenersi dirimente la sola, formale/distinta iscrizione al registro generale della notizia reato.
In ogni caso, ancorché si possa ritenere che le ordinanze cautelari in esame siano state emesse in due distinti procedimenti, trattandosi di fatti legati da connessione c.d. qualificata, il tribunale avrebbe dovuto verificare, attraverso la valutazione degli atti necessari, se i fatti della seconda ordinanza erano desumibili dagli atti al momento del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza.
Se è vero che detta verifica non può che essere effettuata con riferimento alle conoscenze che il pubblico ministero aveva a disposizione al momento in cui era stato disposto il giudizio nei confronti del P. per il reato per il quale era stato arrestato in flagranza il (omissis) e che l’istante ha l’onere di indicare le ragioni che pone a fondamento della retrodatazione, nella specie era compito del giudice valutare compiutamente se, al momento della emissione della prima misura cautelare e, comunque, del rinvio a giudizio dell’indagato, i fatti oggetto della seconda ordinanza erano desumibili dell’attività di intercettazione. Mentre, alla luce dei richiamati principi, non può assumere rilievo la circostanza che non siano stati consegnati all’autorità giudiziaria da parte della polizia giudiziaria – prima del rinvio a giudizio del P. in relazione al procedimento per il fatto accertato il (omissis) – i testi “integrali” delle intercettazioni effettuate tra il 12 febbraio ed il 6 marzo 2010, essendo solo necessario che il pubblico ministero avesse la possibilità di trarre gli indizi sui quali è stata fondata la seconda ordinanza.
Il tribunale, invero, come è stato dedotto dal ricorrente, nell’operare la predetta valutazione non ha tenuto conto degli esiti delle intercettazioni, dei servizi di osservazione, di pedinamento e di controllo che, secondo la prospettazione difensiva, per quel che riguarda la posizione del ricorrente erano stati acquisiti nel periodo compreso tra il 12.2.2010 ed il 16.4.2010, come si da atto nella seconda ordinanza cautelare del 24.4.2012.
È opportuno ricordare che la nozione di desumibilità dagli atti di cui all’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non coincide con la disponibilità degli atti stessi – che costituisce mero dato di fatto – ma consiste, viceversa, in un giudizio sulla possibilità che l’autorità giudiziaria, in possesso di determinati elementi, sia in grado di dedurre da essi date conclusioni. Pertanto, ai fini dell’accertamento del presupposto della desumibilità dagli atti rileva, non già l’apprezzamento del pubblico ministero, bensì quello dell’organo dell’impugnazione (nella specie il tribunale della libertà), il quale valuta, a tal fine, la ragionevole tempestività con la quale il pubblico ministero ha elaborato l’ipotesi di accusa sulla base della disponibilità degli elementi indiziari (Sez. 5, n. 47090 del 20/11/2007 – dep. 19/12/2007, ******, rv. 238887). E, del resto, è stato affermato che la nozione di desumibilità dagli atti va intesa unicamente con riferimento alla sussistenza di una situazione indiziaria idonea a giustificare l’adozione della misura cautelare, risultando indifferente la circostanza che sul punto non vi sia stato un apprezzamento, poiché la ratio dell’istituto è riconducibile proprio all’eventualità di un omesso apprezzamento (Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009 – dep. 22/12/2009, *******, rv. 245423; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012 – dep. 01/08/2012, **********, rv. 253236).
L’ordinanza impugnata, quindi, non ha dato conto, attraverso un percorso argomentativo compiuto ed idoneo anche a contraddire in modo coerente le contestazioni difensive, delle circostanze dalle quali possa apparire plausibile e coerente la mancanza, al momento dell’emissione della prima misura, di circostanze di fatto idonee a fondare il secondo titolo custodiale.
In conclusione, quindi, l’ordinanza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lecce che dovrà effettuare la valutazione attenendosi ai criteri innanzi indicati.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

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