Misure cautelari e sospensione dal servizio: atto dovuto da parte della P.A. (Cons. Stato, n. 5745/2013)

Redazione 03/12/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4504 del 2007, proposto da: Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
***************, rappresentato e difeso dall’avv. ********************, con domicilio eletto presso *************** in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE I n. 00625/2007, resa tra le parti, concernente sospensione dal pubblico ufficio per due mesi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2013 il Cons. ************ e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato ************ e l’Avvocato ****************, su delega dell’Avvocato ********************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ordinanza di custodia cautelare del 20 novembre 1993 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Grosseto, comunicata contestualmente al Ministero delle Finanze, veniva disposto l’arresto del dott. ***************, quale Dirigente Generale con funzioni di Direttore Regionale delle Entrate per la Toscana con l’accusa di concussione ai sensi e per gli effetti degli artt. 110 e 317 c.p..
Con D.M. del 23 novembre 1993 il dott. ******* veniva obbligatoriamente sospeso dal servizio.
In data 22 dicembre 1993 il G.I.P. ne disponeva la scarcerazione.
Successivamente, alla scadenza del termine di sospensione dal servizio disposto dal G.I.P. (23 febbraio 1994) il dott. ******* presentava istanza di riammissione.
Con ordinanza n. 1059/1993 notificata al Ministero delle Finanze in data 21 marzo 1994, il G.I.P. disponeva l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio per due mesi.
Con una nuova domanda del 23 maggio 1994 il dipendente chiedeva la riammissione in servizio, reiterata nuovamente in data 18 luglio 1994.
A tale istanza faceva seguito una dichiarazione del 16 luglio 1994 con la quale il dott. ******* esprimeva le proprie preferenze in vista del trasferimento.
Tali istanze venivano inoltrate alla Direzione Generale AA.GG. ed al Personale del Ministero delle Finanze che, con nota prot. 18559 del 22 settembre 1994, confermava il proprio parere positivo alla riammissione al servizio del dott. *******.
Con decreto del 20 ottobre 1994, il Ministero delle Finanze segnalava la sospensione del dott. ******* dal proprio servizio per la durata di due mesi a far data dal 21 marzo 1994.
In data 15 novembre 1994 veniva comunicato al dott. ******* il conferimento delle funzioni di direttore della Direzione regionale per la Calabria.
Infine, in data 8 febbraio 1995 veniva notificato al dott. ******* il d.m. del 30 novembre 1994 n. 66235, con il quale il Ministero revocava espressamente la sospensione obbligatoria dal servizio, e con pari decorrenza, riammetteva in servizio il dott. *******, con le funzioni di Direttore della Direzione Regionale delle Entrate per la Calabria.
Inoltre, con detto decreto veniva anche chiarita la corresponsione dovuta, calcolata a decorrere dall’effettiva ripresa dal servizio dell’intero trattamento spettantegli per legge, considerato che fino a quel momento, e sin dalla prima sospensione obbligatoria del servizio, il dott. ******* aveva percepito il solo assegno alimentare.
Impugnava il D.M. del 30 novembre 1994 n. 66235 il dott. *******, con particolare riferimento all’attribuzione dell’intero trattamento economico con decorrenza dalla data di effettiva assunzione delle nuove funzioni attribuite, anziché dal momento della perdita di efficacia dei provvedimenti interdittivi emessi dal GIP.
La difesa del dott. ******* sosteneva che egli avrebbe dovuto ottenere l’intero trattamento economico relativo ai periodi dal 23 febbraio 1994 al 20 marzo 1994 e dal 24 maggio 1994 al 19 gennaio 1995, periodi non coperti da provvedimenti del giudice penale di sospensione dal servizio.
Il T.A.R. adito in prime cure, con sentenza n. 625 del 2007 accoglieva il ricorso, così statuendo: “… lo accoglie e per l’effetto condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle somme dovute, a favore del ricorrente, comprensive degli interessi maturati”.
Appella detta pronuncia il Ministero dell’Economia e delle Finanze con ricorso n. 4504 del 2007, rilevando l’assenza di motivazione da parte del T.A.R., il quale si sarebbe limitato a rilevare solo che i periodi per i quali il ricorrente chiedeva l’attribuzione della piena retribuzione non erano coperti da alcun provvedimento interdittivo da parte del Giudice penale.
Resiste il dott. *******, il quale con controricorso e memoria difensiva deduce l’infondatezza dell’appello, chiedendone il rigetto, con vittoria delle spese di giudizio.
Alla pubblica udienza del 4 giugno 2013 la causa è stata assunta in decisione.

 

DIRITTO

L’appello è parzialmente fondato e suscettibile di accoglimento nei limiti di cui appresso.
La controversia sottoposta all’esame riguarda la questione se l’Amministrazione, di fronte alla cessazione degli effetti di una misura interdittiva disposta dal Giudice penale, abbia l’obbligo di riammettere in servizio il dipendente immediatamente ed automaticamente, dal momento stesso della cessazione degli effetti di tale misura o se invece abbia la facoltà di decidere diversamente sia in ordine all’an che al quando.
Al riguardo, occorre premettere che la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2006, n. 4244) ritiene che:
– nel campo del pubblico impiego, la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio è un atto dovuto da parte dell’amministrazione, in conseguenza di una misura cautelare restrittiva della libertà personale, che impedisce la prestazione dell’attività lavorativa e dunque interrompe il sinallagma; tale sospensione cautelare obbligatoria non cessa automaticamente quando cessa la misura cautelare penale, occorrendo un provvedimento di revoca (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327; id., 24 maggio 1996, n. 732; id., 15 aprile 1996, n. 551; sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 53; sez. IV, 15 maggio 1995, n. 335); ciò in quanto l’amministrazione non è in grado di conoscere la data della cessazione della misura cautelare penale, essendo pertanto onere del dipendente che aspiri ad essere riammesso in servizio, cooperare con l’amministrazione, notiziandola del venir meno dell’impedimento alla riattivazione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327);
– l’amministrazione è tenuta a revocare la sospensione cautelare obbligatoria disposta nei confronti di un dipendente con decorrenza dalla data in cui ha notizia della cessazione della misura cautelare penale, e dunque del venire meno dell’impedimento allo svolgimento del sinallagma; dalla data di conoscenza della cessazione della misura cautelare penale, decorre anche il termine entro cui l’amministrazione deve valutare se riammettere il dipendente in servizio, ovvero applicare la sospensione cautelare facoltativa (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2327, secondo cui l’amministrazione ha la facoltà, a seguito della revoca della sospensione cautelare obbligatoria, di valutare se debba disporsi la sospensione cautelare facoltativa, ove siano ritenute sussistenti ragioni di pubblico interesse, ostative alla ripresa del servizio);
– per disporre la sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico in pendenza di indagini penali, non è necessario che vi sia stato il rinvio a giudizio del dipendente medesimo, essendo sufficiente che siano in corso le indagini penali preliminari, e che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, successivamente cessata (cfr. Cons. St., sez. V, 16 giugno 2005, n. 3165; Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 398; id., 17 marzo 2000, n. 1439; id., 10 marzo 1999, n. 249; Cons. St., sez. IV, 18 giugno 1998, n. 959; id., 18 giugno 1998, n. 953; **********, 8 maggio 1997, n. 88; Cons. St., sez. II, 17 gennaio 1996, n. 878; Cons. St., sez. VI, 5 giugno 1995, n. 419; id., 29 luglio 1995, n. 579; id., 23 giugno 1995, n. 617);
– le condizioni necessarie per la sospensione cautelare facoltativa prima del rinvio a giudizio del dipendente sono: a) che siano pendenti indagini penali preliminari; b) che il dipendente sia stato già sottoposto a misura cautelare restrittiva della libertà personale, poi cessata; c) che i fatti su cui pendono le indagini penali preliminari siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro o siano tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso;
– la valutazione dell’amministrazione, in materia di sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico, costituisce una tipica manifestazione del suo potere discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo solo ove risulti manifestamente irragionevole e non comporta la necessità di esporre le ragioni per le quali i fatti contestati al dipendente devono considerarsi particolarmente gravi, potendo tale giudizio essere implicito nella gravità del reato a lui imputato, nella posizione d’impiego rivestita dal dipendente, nella commissione del reato in occasione o a causa del servizio, con la conseguente impossibilità di consentirne la prosecuzione (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 334/2001; **********, 7 dicembre 2000, n. 487; Cons. St., sez. IV, n. 3157/2000; id., n. 953/1998; id., n. 959/1998 e sez. V, n. 579/1995).
Tanto premesso, nella specie il ricorrente, sospeso obbligatoriamente dal servizio dal 21.11.1993 al 22.12.1993, e nuovamente sospeso, per effetto di misura interdittiva disposta dal giudice penale, dal 22.12.1993 al 22.2.1994, e dal 21.3.1994 al 21.5.1994, ha reclamato il trattamento economico per i due periodi (dal 23.2.1994 al 20.3.1994 e dal 24.5.1994 al 19.1.1995) non coperti dai provvedimenti di sospensione dal servizio.
Ciò in quanto detti periodi si collocano, il primo tra la data di presentazione dell’istanza di riammissione in servizio e quella di applicazione della misura interdittiva disposta dal G.I.P., il secondo tra la data di presentazione della nuova istanza di riammissione e il giorno precedente a quello di riassunzione in servizio.
Il decreto ministeriale 30 novembre 1994 n. 66235 (annullato dal T.A.R.), considerato che il dott. ******* non ha assunto la veste di imputato e ritenuto di dover procedere alla riammissione in servizio, ha revocato la sospensione obbligatoria dal servizio disposta con i DD.MM. n. 71770 e n. 50603 rispettivamente del 23.11.1993 e 5.5.1994 ed ha disposto la corresponsione del trattamento economico – con conseguente revoca dell’assegno alimentare – a decorrere dalla data di riammissione in servizio, mentre non ha disposto alcunché in relazione ai due periodi che si collocano al di fuori dell’efficacia temporale dei provvedimenti di sospensione dal servizio.
Alla luce dei principi esposti dalla summenzionata giurisprudenza deve ritenersi, da un lato, che il diritto alla percezione dell’intero trattamento economico è correlato all’effettivo ripristino del sinallagma e, cioè, può essere configurato solo a decorrere dall’effettiva ripresa del servizio, e, dall’altro, che al dipendente può spettare un risarcimento per la tardiva ripresa del servizio solo nel caso in cui il ritardo sia colpevolmente ascrivibile alla condotta dell’amministrazione.
Nel caso in questione, mentre non appare ascrivibile a colpa la condotta tenuta dall’amministrazione con riferimento al primo periodo (dal 22.12.1993 al 22.2.1994), che si colloca tra le due sospensioni, posto che, allorquando si accingeva a predisporre la riammissione al servizio del proprio dipendente, è intervenuto il successivo provvedimento del G.I.P. applicativo della misura cautelare, così non può dirsi con riferimento al secondo periodo (dal 24.5.1994 al 19.1.1995), dal momento che, essendosi riaperta la possibilità di prendere in considerazione la riammissione in servizio del dott. *******, alcun ostacolo ormai si frapponeva per l’assegnazione del medesimo a ricoprire le proprie funzioni, mentre l’effettivo reintegro è avvenuto solo in data 20.1.1995.
Ne consegue, quindi, che l’appello dell’amministrazione deve essere accolto solo parzialmente, dovendosi escludere il risarcimento per il primo periodo chiesto dal dipendente e, per l’effetto, deve disporsi la riforma parziale della sentenza impugnata in tali limiti.
Stante la parziale e reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo accoglie parzialmente nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e,
per l’effetto, riforma in parte la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013

Redazione