Millantato credito del patrocinatore (Cass. pen. n. 36676/2013)

Redazione 06/09/13
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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 19 febbraio 2013 il Tribunale di Napoli ha parzialmente accolto l’istanza di riesame, proposta da L.S.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. in sede del 31 gennaio 2013, di applicazione nei suoi confronti della misura cautelare degli arresti domiciliari, siccome gravemente indiziato dei seguenti reati, tutti commessi abusando della sua qualifica di avvocato:
A) – millantato credito del patrocinatore (art. 382 cod. pen.);
C) – tentato millantato credito (artt. 56, 346 cod. pen.);
D) – altro episodio di tentato millantato credito del patrocinatore (artt. 56, 382 cod. pen.);
E) – altro episodio di millantato credito del patrocinatore (art. 382 cod. pen.);
F) – corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (artt. 319, 321 cod. pen.).
2. Il Tribunale ha annullato l’impugnato provvedimento in relazione ai reati di cui ai capi C) ed F) della rubrica, avendo ritenuto, quanto al primo, che l’ipotesi di tentativo di millantato credito non avesse raggiunto la soglia del tentativo penalmente rilevante, avendo l’indagato tenuto contatti non con il detenuto A.A. , nei cui confronti aveva millantato possibilità di intervento presso i giudici, ma esclusivamente con tale C.C. , amica del figlio del detenuto anzidetto; avendo ritenuto, quanto al secondo reato, che esso avrebbe dovuto essere più esattamente qualificato come appropriazione indebita aggravata, di cui agli artt. 646 e 61 n. 11 cod. pen., reato privo dei limiti edittali richiesti dall’art. 280 cod. proc. pen. per consentire l’adozione di una misura coercitiva.
Ha invece confermato l’ordinanza coercitiva impugnata con riferimento ai restanti reati ascritti all’indagato sub A), D) ed E), avendo ritenuto sussistere nei confronti dell’indagato di un valido compendio probatorio, costituito prevalentemente dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte.
3. Il Tribunale ha inoltre ritenuto la sussistenza di valide esigenze cautelari, idonee a giustificare la misura cautelare impugnata, avendo ravvisato il pericolo d’inquinamento probatorio, sia con riferimento alle prove da acquisire, sia con riferimento alle fonti di prova già individuate; ha altresì ritenuto la sussistenza del pericolo di recidiva specifica, tenuto conto della spregiudicatezza delle condotte ascritte all’indagato, della sua personalità e delle specifiche modalità di commissione dei reati ascrittigli, caratterizzate dalla loro evidente serialità; non potendo essere ritenuto a suo favore né lo stato di incensuratezza, né il fatto che egli non avesse interposto appello avverso il provvedimento dell’Ordine degli avvocati di Napoli di sua sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense, essendo esso un provvedimento revocabile in qualsiasi momento.
7. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli propongono ricorso per cassazione sia la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, sia L.S.M. per il tramite del suo difensore.
8. Il P.M. di Napoli ha dedotto:
I) – violazione della legge penale per avere il provvedimento impugnato ritenuto che, con riferimento al reato sub C), non fosse stata raggiunta la prova del tentativo penalmente rilevante, in quanto la millanteria sarebbe stata prospettata non al suo potenziale cliente, ma alla compagna dello stesso, la quale si sarebbe rivolta all’indagato non su incarico del suo compagno, ma di sua iniziativa.
Al contrario per configurare il reato di cui all’art. 346 cod. pen. non era necessario che la millanteria fosse rivolta al beneficiario, potendosi sussistere il delitto in esame anche la stessa fosse stata rivolta ad una terza persona all’insaputa del primo; invero il bene tutelato nel reato di millantato credito era il prestigio della p.a., da ritenere quale soggetto passivo del reato; comunque sussisteva nella specie l’univocità degli atti, anche se l’idea di rivolgersi all’indagato era stata della C. e non del diretto interessato; era poi del tutto immotivato l’aver ritenuto che la condotta dell’indagato fosse stata solo quella di ingraziarsi i favori della donna;
II) – violazione della legge penale per essere stato escluso il reato sub F) dal novero di quelli per i quali sussistevano adeguati indizi di colpevolezza, essendo stato esso derubricato ad appropriazione indebita aggravata; invero il commesso era pur sempre un pubblico dipendente; rivestiva la qualifica di operatore giudiziario ed era da ritenere almeno un incaricato di un pubblico servizio, atteso che l’art. 358 comma 2 forniva una definizione del pubblico servizio quale categoria residuale, da individuare in tutti i casi in cui l’attività era disciplinata, come nel caso in esame, da norme di diritto pubblico.
9. L.S.M. ha dedotto a sua volta:
I) – violazione della legge processuale, in quanto in un colloquio ambientale intercorso fra esso ricorrente e C.C. il G.I.P., che aveva emesso l’ordinanza cautelare nei suoi confronti, era stata da lui qualificato con epiteti sicuramente offensivi, si che lo stesso avrebbe dovuto sentire il dovere di astenersi, essendo stato fatto segno di commenti denigratori; inoltre le espressioni da lui usate erano da ritenere sfociate in un sentimento di grave inimicizia da parte del magistrato anzidetto nei suoi confronti, si che avrebbe avuto l’obbligo di astenersi, in quanto il giudice doveva essere sereno ed imparziale anche nella fase cautelare.
Era poi applicabile alla specie la norma di cui all’art. 11 cod. proc. pen., in quanto numerosi erano i magistrati del distretto di Napoli da ritenere quali eventuali persone offese dell’asserito millantato credito da lui posto in essere; d’altra parte non poteva essere demandato esclusivamente all’iniziativa del P.M. l’incardinamento del processo presso una sede giudiziaria invece che un’altra e neppure poteva ritenersi che l’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen. ricorresse solo nell’ipotesi di formale contestazione, nella specie non intervenuta;
II) – erronea applicazione della legge processuale e violazione del principio costituzionale del giudice precostituito per legge; invero il suo nominativo era stato iscritto nel registro degli indagati con un numero risalente al 2004, riguardante un procedimento a carico del clan camorristico ********. Era pertanto censurabile che il suo procedimento fosse stato assegnato all’ufficio 6^ del G.I.P., il cui magistrato addetto era stato peraltro da lui gratificato di apprezzamenti offensivi, non potendosi ritenere che un processo venisse veicolato verso un giudice piuttosto che verso un altro; e l’art. 335 cod. proc. pen., che regola la materia del registro degli indagati, doveva essere interpretato in modo da evitare ingiustificate trasmigrazioni di processi, in violazione dei criteri tabellari; invero non vi era alcun motivo per far confluire l’ipotesi accusatoria di corruzione, ipotizzata a suo carico, nell’ambito di un processo avente ad oggetto un reato associativo di stampo camorristico;
III) – violazione di legge con riferimento all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nei suoi confronti, atteso che, pur avendo la giurisprudenza di legittimità ammesso la possibilità di intercettare l’attività di un difensore in deroga alle garanzie di cui all’art. 103 cod. proc. pen., era pur sempre vero che la norma non prevedeva alcuna forma di eccezione o deroga alla prerogativa anzidetta; inoltre le intercettazioni a suo carico avevano avuto come termine temporale il 20 dicembre 2011, data in cui avrebbe dovuto aver luogo un’udienza innanzi alla Corte di Cassazione avente ad oggetto un ricorso proposto da sua nuora D.C.S. , in ordine al quale era stato ravvisato un suo intervento per influire su detto processo; pur essendo stato detto ricorso dichiarato inammissibile, era stata ottenuta una proroga delle intercettazioni con decreto del 25 gennaio 2012 per non meglio specificate ipotesi di reato; pertanto aveva avuto luogo un’attività intercettativa a strascico, con conseguente illegittimità di tutte le proroghe successive a quella disposta fino al 19 dicembre 2011, siccome disposte in assenza di alcun fondamento indiziario preesistente. Anche nei successivi decreti di proroga delle intercettazioni, emessi nel gennaio, aprile, maggio, giugno e luglio del 2012, era riscontrabile una motivazione laconica e di stile, riferita ai medesimi nominativi e sempre per le medesime ipotesi di reato, mentre non avrebbe potuto sfuggire al P.M. che nell’aprile del 2012 esso ricorrente non era più difensore di D.C.S. , il cui rapporto professionale aveva dato luogo alla prima richiesta captativa del 19 dicembre 2011; non era quindi consentito intercettare a cascata le conversazioni di un legale senza la presenza di un valido quadro indiziario che lo consentisse;
IV) – erronea applicazione di legge, con riferimento al delitto di tentato millantato credito del patrocinatore, contestatogli al capo D) della rubrica, atteso che, pur avendo egli fatto presente ai propri assistiti di conoscere alcuni magistrati della Corte di cassazione, non poteva parlarsi di millantato credito con riferimento ad un ricorso, che non si sapeva ancora a quale sezione sarebbe stato assegnato; inoltre non poteva costituire tentato millantato credito l’avere sconsigliato al proprio cliente una strategia processuale e cioè la via del patteggiamento, avendo il proprio cliente adottato al contrario tale ultima soluzione processuale, da lui vivamente sconsigliata;
V) – erronea applicazione di legge e carenza di motivazione circa la sussistenza del reato di cui al capo E) della rubrica (altro episodio di millantato credito del patrocinatore), atteso che non sussisteva un quadro così gravemente indiziario da far ritenere corretta la sussistenza del reato in esame, essendosi la motivazione attestata su di un’unica fonte indiziaria, costituita dalle dichiarazioni rese da V.C. , moglie di N.V. , per il quale egli aveva chiesto in Cassazione il riconoscimento della riduzione di pena operata dal giudice di merito in favore di altri coimputati, senza avere mai fatto riferimento a “maniglie in cassazione”, anche perché il ricorso da lui patrocinato in cassazione era stato rigettato;
VI)-erronea applicazione di legge per avere il Tribunale qualificato il reato di cui al capo F) della rubrica come appropriazione indebita aggravata, atteso che la copia della sentenza da lui indebitamente acquisita non poteva considerarsi come cosa di proprietà di un terzo, essendo la sentenza per sua natura una res publica;
VII)-violazione di legge per essere state ritenute a suo carico esigenze cautelari così rilevanti da giustificare il mantenimento della misura cautelare degli arresti domiciliari.
Invero non poteva escludersi l’applicazione in suo favore della sospensione condizionale della pena; non sussisteva poi la possibilità di reiterare i reati,
essendo stato gli sospeso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli in via cautelare, con provvedimento non impugnato e quindi definitivo ed avendo cancellato la propria posizione IVA; neppure poteva ritenersi sussistente il pericolo di inquinamento delle prove, essendo state concluse le indagini da parte del P.M. ed avendo già avuto la notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis cod. proc. pen..

Considerato in diritto

1. È fondato il primo motivo di ricorso proposto dal P.M. di Napoli, atteso che, effettivamente, nel reato contestato all’indagato al capo C) della rubrica (tentato millantato credito: artt. 56, 346 cod. pen.) oggetto della tutela penale è il prestigio della pubblica amministrazione e la condotta perseguita è costituita dall’essersi un soggetto vantato di potersi ingerire nella pubblica attività per inquinarne il regolare svolgimento (cfr. Cass. Sez. 6 n. 35340 del 23/4/2008, *****, Rv. 241246).
2.Va pertanto ritenuto che, conformemente a quanto ritenuto dal P.M. ricorrente, la sussistenza del reato in esame non può essere esclusa solo perché il tentativo di millanteria sarebbe stato posto in essere dall’indagato non al suo potenziale cliente, ma alla compagna del figlio, non potendo essere esclusa la sussistenza del reato in esame neppure se la millanteria fosse stata rivolta dall’indagato ad una terza persona all’insaputa del suo potenziale cliente.
3.S’impone pertanto l’annullamento dell’impugnata ordinanza sul punto, con rinvio degli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame, che tenga conto dei principi di diritto sopra indicati.
4. È invece infondato il secondo motivo di ricorso proposto dal P.M. di Napoli, con il quale il medesimo ha censurato il provvedimento impugnato per avere derubricato il reato ascritto all’indagato al capo F) della rubrica da corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319, 321 cod. pen.) ad appropriazione indebita aggravata; si ritiene invero di confermare sul punto l’ordinanza impugnata, per avere essa correttamente rilevato come il reato in questione presuppone che il pubblico dipendente, al quale il corruttore si rivolga, rivesta se non la qualifica di pubblico ufficiale, almeno quella di incaricato di un pubblico servizio; al contrario il commesso, al quale l’indagato si era rivolto per ottenere la copia di una sentenza, espleta normalmente mansioni meramente esecutive; né può ritenere che, nella specie, il medesimo abbia svolto mansioni diverse da quelle proprie del suo profilo professionale con l’acquiescenza, la tolleranza ovvero il consenso anche tacito dei suoi superiori (cfr. Cass. Sez. 6 n. 2745 del 19/12/2008, dep. 21/1/2009, P.G. in proc. *******, Rv. 242423).
5. È infondato il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta che alcuni dei magistrati che si erano occupati del procedimento a suo carico erano stati destinatari di commenti offensivi da lui pronunciati, come poteva desumersi dalle intercettazioni ambientali in atti e che, ciò nonostante, nessuno di essi avesse ritenuto di astenersi, mentre invece molti di essi erano da ritenere quali persone offese dai reati di millantato credito a lui ascritti, con conseguente applicabilità dell’art. 11 cod. proc. pen., concernente la modifica della competenza territoriale qualora p.o. fosse stato un magistrato. Ritiene il Collegio che, nella specie, avrebbe potuto ipotizzarsi al massimo un’ipotesi di astensione dei giudici che si erano occupati del ricorrente ex art. 36 cod. proc. pen.; ed il fatto che detti giudici non abbiano proceduto in tal senso non comporta alcuna invalidità degli atti da essi compiuti, tanto non essendo previsto da alcuna norma di legge ed essendo stato eventuale onere del ricorrente chiedere la loro ricusazione; il che, nella specie, non risulta essere avvenuto, si che il ricorrente non può dolersi nella presente sede della mancata astensione del giudice, essendo essa un atto di esclusiva competenza di quest’ultimo (cfr. Cass. Sez. 6 n. 11984 del 24/10/1997, ****** ed altri, Rv. 209493).
6. È infondato il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta in sostanza di essere stato inizialmente iscritto nel registro degli indagati per il delitto di partecipazione ad un clan camorristico e di avere visto poi trasmigrare la sua posizione verso altri magistrati, che si occupavano di reati di corruzione. Il ricorso è infondato al limite dell’inammissibilità, non avendo il ricorrente indicato quale concreto tipo di lesione ai suoi diritti di difesa abbia arrecato quanto sopra descritto, essendo evidente che nella fase dei primissimi atti preliminari non può parlarsi di violazione dei principi del giudice naturale precostituito per legge; d’altra parte è noto che, nella fase delle indagini preliminari, l’iscrizione nel registro degli indagati è un’operazione del tutto provvisoria e transitoria, che ben può assumere diverse evoluzioni, a seconda del procedere delle indagini, si che in tale fase va riconosciuta agli organi inquirenti ogni più ampia facoltà di diversamente modulare le ipotesi di accusa.
7. È infondato il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta che le intercettazioni ambientali siano state disposte e prorogate nei suoi confronti con provvedimenti autorizzativi inadeguati.
Va al contrario rilevato che il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine alla piena legittimità delle intercettazioni disposte nei confronti del ricorrente, pur essendo egli avvocato, avendo rilevato come si trattasse di intercettazioni svolte nei confronti del ricorrente non quale legale, ma in qualità di indagato.
Il provvedimento impugnato ha altresì rilevato come le autorizzazioni di proroga di tali intercettazioni ambientali nel tempo fossero avvenute sulla base di nuove risultanze indiziarie, che via via confortavano le ipotesi investigative formulate; ed appare del tutto generico quanto rappresentato sul punto dal ricorrente circa l’insussistenza di un valido quadro indiziario, tale da giustificare le proroghe intercettative chieste ed ottenute dagli organi procedenti.
8.E1 infondato il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza di validi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine al delitto di tentato millantato credito del patrocinatore, ascrittogli al capo D) della rubrica. Va al contrario rilevato che l’ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del delitto in esame, avendo fatto riferimento alle conversazioni intercettate avute dal ricorrente con la moglie del soggetto che avrebbe dovuto favorire, tale PICA Angelo, delle quali era evidente la valenza millantatoria, avendo il ricorrente nel corso di esse fatto più volte riferimento ad un giudice della Cassazione che avrebbe dovuto incontrare per segnalargli il caso del proprio assistito; ed è da ritenere che il millantato credito è da ritenere sussistente anche se ancora non era nota la sezione della Cassazione che avrebbe trattato l’eventuale ricorso da lui proposto ed anche se quest’ultimo non era stato in concreto neppure approntato.
9. È infondato il quinto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza a suo carico di validi indizi di colpevolezza in ordine al reato di millantato credito del patrocinatore, ascrittogli al capo E) della rubrica, con riferimento al mandato difensivo da lui assunto nei confronti di N.V. e N.R. .
Anche con riferimento a detto reato va invero ritenuto che il provvedimento impugnato, con motivazione immune da illogicità e contraddizioni, ha indicato i plurimi indizi posti a carico del ricorrente, consistiti in più conversazioni captate, nel corso delle quali il ricorrente, oltre a rassicurare i familiari dei propri assistiti circa i contatti che aveva col Presidente della Corte d’appello di Napoli per un sollecito accoglimento di un incidente di esecuzione da lui proposto, ha altresì chiesto una rilevante somma di danaro per attivare i suoi agganci in Cassazione.
10. Il sesto motivo di ricorso concerne il reato ascritto al ricorrente al capo F) della rubrica, inizialmente qualificato come corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, è stato derubricato dal Tribunale del riesame come appropriazione indebita aggravata, ed in ordine ad esso il medesimo Tribunale correttamente ritenuto che non sussistessero i limiti edittali richiesti per l’adozione di una misura coercitiva; pertanto, in ordine ad esso, non possono essere svolte argomentazioni nella presente sede cautelare.
11. È infondato il settimo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza di valide esigenze cautelari tali da giustificare la misura coercitiva degli arresti domiciliari applicatagli.
Premesso che la ritenuta gravità del quadro indiziario ravvisato a carico del ricorrente non può che riverberarsi anche sul piano delle esigenze cautelari, va rilevato che il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato circa la sussistenza di dette esigenze cautelari sia sotto l’aspetto del pericolo di inquinamento probatorio, desunto dalla evidente spregiudicatezza di cui l’indagato aveva dato prova, sia sotto l’aspetto del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, avendo fatto riferimento alla gravità dei reati ascrittigli ed alla serialità degli stessi; detti indici, valutati nel loro complesso, correttamente sono stati ritenuti pienamente idonei a fondare una prognosi di un serio pericolo di reiterazione criminosa.
L’ordinanza impugnata ha altresì condivisibilmente rilevato come non poteva essere ritenuto a favore del ricorrente né lo stato d’incensuratezza, né il fatto che egli non avesse interposto appello avverso il provvedimento con cui l’Ordine degli avvocati di Napoli lo aveva sospeso cautelarmente dall’esercizio della professione forense, trattandosi di provvedimento revocabile in qualsiasi momento.
12. Richiamato l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, riferito al reato sub C), il ricorso del P.M. di Napoli va rigettato nel resto.
Il ricorso proposto da L.S.M. va invece rigettato nel suo complesso, con sua condanna, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

In relazione al ricorso del P.M. annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo C) e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli; rigetta nel resto il ricorso del P.M.
Rigetta il ricorso di L.S.M. e lo condanna al pagamento delle spese processuali.

Redazione