Medici: danno da dequalificazione personale (Cass. n. 9860/2012)

Redazione 15/06/12
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Svolgimento del processo

All’esito del giudizio di merito seguito al provvedimento cautelare, col quale T.A., in qualità di medico dipendente della ASL di Viterbo incaricato dal 1996 della direzione del modulo per la psichiatria territoriale progressivamente ridimensionato, aveva chiesto in alternativa, stante il denunziato demansionamento, l’attribuzione dell’incarico di dirigente della psichiatria ospedaliera resosi vacante o l’ordine all’Asl di procedere alla selezione per l’attribuzione dello stesso, il giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo confermò la legittimità dell’ordinanza cautelare favorevole al ricorrente. Nel contempo il giudicante, preso atto del successivo provvedimento riorganizzativo della Asl, revocò l’ordinanza cautelare a decorrere dal 30/5/03 per la parte in cui aveva imposto all’azienda sanitaria di dare esecuzione all’originario bando di concorso; inoltre, condannò l’Asl convenuta al risarcimento del danno nella misura di Euro 25.000,00, oltre ad Euro 680,00 mensili dal gennaio del 2005 alla cessazione dell’accertato demansionamento, nonchè alle spese di lite.

A seguito dell’impugnazione di tale decisione da parte della Asl di Viterbo, sotto il duplice profilo della mancanza di prova del demansionamento e del difetto di allegazione e prova del danno, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 27/3 – 20/11/09, ha riformato parzialmente la decisione gravata rigettando solo la domanda di risarcimento del danno per demansionamento e compensando le spese del doppio grado di giudizio.

La Corte territoriale ha spiegato che oggetto dell’impugnazione era solo la questione del risarcimento per l’asserita dequalificazione professionale, ma che il T. non aveva adempiuto all’onere di allegazione degli elementi concreti che avevano determinato l’impoverimento della specifica capacità professionale ed il venir meno delle reali aspettative di miglioramento della carriera, nè aveva allegato in che modo ed in qual misura la lamentata dequalificazione aveva alterato le sue abitudini di vita ed i relativi assetti relazionali.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il T., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso l’ASL di Viterbo che propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, al cui accoglimento si oppone il ricorrente principale.

Entrambe le parti depositano memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo il T. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 2087, 2043 e 2103 c.c., sostenendo che la Corte d’appello di Roma, pur avendo dato per acquisito il demansionamento, ha escluso la risarcibilità del danno, ritenendolo non allegato. Al riguardo il ricorrente evidenzia, invece, di aver esposto e provato, con testi e documenti, tutte le circostanze integranti il danno ed ha aggiunto che in presenza della violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, quale la libera esplicazione della propria personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e la qualifica spettanti per legge o per contratto, il fatto ignoto del danno sussiste.

Il motivo è infondato e non sussiste la lamentata violazione delle suddette norme legge: – Invero, la Corte di merito ha applicato correttamente il principio di diritto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. n. 6572 del 24/3/2006) nel rilevare che era da accogliere la doglianza dell’azienda sanitaria appellante per la quale il giudice di primo grado era incorso in errore nell’affermare il principio dell’esistenza del danno risarcibile insito nella violazione dell’art. 2103 c.c., così trascurando il fatto che il lavoratore non aveva allegato elementi utili a sostegno della domanda risarcitoria, tali non potendo considerarsi le semplici circostanze inerenti il presunto ridimensionamento della struttura alla quale egli era in precedenza addetto.

Infatti, è bene ricordare che attraverso la suddetta pronunzia le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito, tra l’altro, che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.

Col secondo motivo il T. lamenta il vizio di motivazione nel fatto che la Corte territoriale non ha considerato che al demansionamento segue necessariamente il danno provato per presunzioni e che al riguardo la stessa non ha tenuto conto degli atti e dei documenti allegati, nè delle risultanze dell’istruttoria svolta, nonostante il danno fosse stato quantificato nell’aspetto del mancato guadagno. Il ricorrente ribadisce che si era trovato a dover dirigere una struttura semplice al pari di colleghi ai quali era stato in precedenza sovraordinato, finendo, in tal modo, per dirigere una piccola area del distretto dal lui precedentemente diretto e tutto ciò non per un suo demerito professionale.

Il motivo è infondato.

Invero, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del lamentato pregiudizio, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale, (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 19785 del 17/9/2010 e n. 29832 del 19/12/2008).

Appare, quindi, corretta e congruamente motivata la decisione impugnata nella parte in cui pone in evidenza che l’omessa allegazione di circostanze concrete, dalle quali poter desumere che la riduzione strutturale del servizio di Psichiatria territoriale e l’annessa riduzione qualitativa dell’incarico direttivo avessero deteriorato la specifica professionalità del lavoratore e ne avessero compromesso l’evoluzione di carriera, non consentiva di ritener dimostrato il preteso danno.

In effetti, non può non convenirsi col giudice d’appello sul fatto che anche le presunzioni di danno, vale a dire quelle che il ricorrente riconduce al fatto di essere stato addetto a dirigere una unità semplice alla pari di colleghi ai quali era in precedenza sovraordinato, necessitavano di allegazioni concrete sull’avvenuto impoverimento professionale e sulle aspettative di miglioramento della professionalità, oltre che sulla incidenza del fatto segnalato nelle abitudini di vita e dei rapporti di relazione.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.

Con un solo motivo di censura l’Azienda sanitaria viterbese propone ricorso incidentale per violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione agli artt. 339 e 342 c.p.c., oltre che per difetto e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dolendosi della omessa pronunzia del giudice d’appello in ordine ai motivi del gravame che avevano investito specificatamente, contestandola, la parte della sentenza di primo grado in cui era stata ritenuta sussistente una ipotesi di demansionamento in danno del T..

Il ricorso è ammissibile, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente principale.

La doglianza di omessa pronuncia da parte della Corte d’appello è chiara ed adeguatamente argomentata, nè la sua ammissibilità può essere infirmata dall’inutile ed erroneo richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne vizi di motivazione della sentenza impugnata, nella parte concernente la ricostruzione dei fatti.

Nè può dirsi che il rigetto del ricorso principale quanto alla sussistenza del danno da demansionamento cancelli l’interesse al ricorso incidentale, giacchè l’accertamento negativo della dequalificazione professionale può precludere al lavoratore, eventuali, ulteriori pretese.

Il ricorso è anche fondato.

invero, dalla lettura dei motivi d’appello trascritti nel presente ricorso incidentale emerge che la difesa dell’azienda sanitaria impugnò la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo, incolpando quest’ultimo di aver omesso in modo assoluto di indicare quali erano stati gli atti ed i documenti sui quali aveva fondato il proprio convincimento sulla sussistenza dei demansionamento lamentato dal lavoratore ed indicando, nel contempo, i documenti dai quali si sarebbe dovuto evincere il contrario di quanto ritenuto dal primo giudice.

Orbene, nonostante che il convincimento del primo giudice sul demansionamento del lavoratore abbia formato oggetto di critiche e di censure da parte dell’appellante azienda, il giudice di secondo grado ha omesso di adottare qualsiasi motivazione al riguardo, così come è dato desumere dalla lettura della stessa sentenza oggi impugnata, con la quale è stata affrontata e risolta la sola questione del risarcimento del danno che il lavoratore aveva chiesto per la lamentata dequalificazione professionale.

D’altra parte, la denunziata contraddittorietà della sentenza emerge pure dal fatto che è la stessa Corte d’appello ad affermare, dapprima, nella parte narrativa della sentenza, che l’Azienda sanitaria aveva proposto l’impugnazione sotto il duplice profilo della mancata prova del demansionamento e del difetto di allegazione e prova del danno risarcibile, e a spiegare, poco dopo, nella parte iniziale dei motivi della decisione, che al suo esame era stata devoluta unicamente la questione del risarcimento del danno per asserita dequalificazione professionale.

Il ricorso incidentale va, quindi, accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Ne consegue che il procedimento va rinviato per l’esame della questione dei demansionamento alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Redazione