Mandato di arresto europeo, richiesta di consegna, circostanza dell’esistenza di una possibile concorrente giurisdizione italiana, certezza (Cass. pen. n. 33799/2013)

Redazione 02/08/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Ancona dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo emesso il 18/04/2013 dal Giudice istruttore del Tribunale di prima istanza di Ypres (Belgio) nei confronti del cittadino italiano C. R., tratto in arresto in Italia con provvedimento poi convalidato il 06/05/2013, con l’applicazione di misura cautelare.

Rilevava la Corte di appello come il mandato di arresto europeo processuale fosse stato adottato per dare esecuzione al provvedimento con il quale quel Giudice belga aveva disposto l’Interrogatorio del C., indagato in quel paese in relazione al reato di truffa; come tale reato rientrasse nel novero di quelli per i quali la L. 22 aprile 2005, n. 69 (contenente le “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”) prevede la consegna, in quanto lo stesso aveva corrispondenza con l’analogo reato di truffa previsto dal codice penale italiano; e come non vi fossero ragioni per giustificare un rifiuto della consegna.

Aggiungeva la Corte marchigiana come, in ragione della cittadinanza italiana del C., la consegna dovesse essere subordinata alla condizione che, dopo il suo ascolto in Belgio, lo stesso avrebbe dovuto essere rinviato in Italia (implicitamente allo scopo di scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale eventualmente irrogata dall’autorità giudiziaria belga).

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C., con atto sottoscritto dal suo difensore avv. ******************, il quale ha dedotto i seguenti quattro motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. c), per avere la Corte di appello accolto la richiesta di consegna del C. benchè l’ordinamento processuale penale belga non preveda termini di durata della custodia cautelare.

2.2. Violazione di legge, in relazione alla citata Legge, art. 24, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna, senza aver concordato con l’autorità giudiziaria straniera le modalità della consegna condizionata.

2.3. Violazione di legge, in relazione alla citata Legge, art. 15, per avere la Corte distrettuale richiamato tale articolo senza aver disposto l’adozione di alcun provvedimento provvisorio in attesa della decisione.

2.4. Violazione di legge, in relazione alla citata Legge, art. 18, lett. p), per avere la Corte anconetana disposto la consegna del C. nonostante dalla documentazione trasmessa risulti che il contestato reato di truffa sia stato consumato in Italia e non in Belgio.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, sia pur nei limiti di seguito specificati.

3.1 Il primo motivo del ricorso è infondato.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, deve escludersi che ricorra l’ipotesi prevista dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. e), che impone il rifiuto della consegna qualora la legislazione dello Stato membro di emissione non fissi limiti massimi della carcerazione preventiva, in relazione ad un mandato di arresto emesso dall’autorità giudiziaria di altro Paese dell’Unione Europea, laddove l’ordinamento processuale di quello Stato preveda un limite massimo di custodia cautelare e la possibilità di eventuali proroghe del termine a cadenze periodiche, controllate da quello stesso giudice straniero (in questo senso Sez, U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235352; sostanzialmente conf., in seguito, Sez. 6, n. 26194 del 02/07/2010, *********, Rv. 247827; Sez. 6, n. 2971 del 17/01/2008, Mantu, Rv. 238360).

Di tale regula iuris la Corte di appello di Ancona ha fatto corretta applicazione, rilevando, con motivazione congrua ed esente da vizi di illogicità, come la consegna del C. e, dunque, l’applicazione della relativa misura limitativa della libertà personale, fossero “a tempo” in quanto esclusivamente finalizzate a consentire l’Interrogatorio in Belgio del prevenuto da parte dell’autorità giudiziaria di quel paese.

Nè conduce a differenti conclusioni la circostanza, segnalata dal ricorrente, che, nell’ordinamento processuale vigente in Belgio sia prevista la possibilità di una proroga del termine di durata della custodia cautelare in situazioni eccezionali, legate alla gravità del reato oggetto di contestazione ovvero alla complessità del procedimento. Ed invero, tale indicazione difensiva non contraddice affatto l’assunto iniziale, e cioè che è pienamente compatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento una disposizione che stabilisce che, nell’ambito di una determinata fase quale quella del giudizio di primo grado, il termine di durata della custodia cautelare possa essere eccezionalmente prorogato dal giudice sulla base di accertate condizioni predeterminate dalla legge.

Al contrario, è dirimente che quel sistema fissi, comunque, un termine massimo di durata della custodia cautelare: previsione, questa, la quale solo apparentemente contrasta con la disciplina dettata dal nostro codice di rito, che collega la efficacia della misura cautelare alla definizione dell’intero processo e, dunque, all’emissione di una sentenza di condanna irrevocabile, ma che, ai fini che qui interessa, non è di ostacolo alla operatività delle norme in materia di mandato di arresto europeo, tenuto conto che, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, per la operatività di tale istituto, sostitutivo in ambito UE di quello estradizionale, non è affatto richiesta una esatta “sovrapponente” dei sistemi processuali posti a confronto, essendo sufficiente che in quello dello Stato richiedente sono dettate regole di garanzia (quale, nella fattispecie, quelle che nella legislazione dello Stato membro di emissione del mandato, prevedono la individuazione di un termine di durata della misura cautelare connesso alla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado) sostanzialmente assimilabili a quelle fissate nel nostro impianto processuale penale a tutela dei diritti di libertà dell’Indagato (così Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235351; conf., su tale specifico punto, Sez. 6, n. 12665 del 19/03/2008, Vaicekauskaite, Rv. 239155; Sez. 6, n. 26194 del 02/07/2010, *********, cit.).

E’ appena il caso di aggiungere che la soluzione, che qui si è inteso privilegiare, non si pone in contrasto – a differenza di quanto prospettato dal ricorrente – con il dettato dell’art. 13 Cost., comma 5, nella parte in cui prevede che “la legge stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva”, atteso che a tale regola della carta fondamentale le Sezioni Unite, con la sentenza “Ramoci” innanzi considerata,) hanno inteso attribuire un carattere “cedevole” a fronte dell’obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall’ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali, di cui all’art. 117 Cost., finendo per proporre un’opzione interpretativa che i Giudici delle leggi hanno implicitamente manifestato di poter avallare (v. C. cost., ord. 109 del 2008).

Resta assorbito l’esame del collegato terzo motivo del ricorso.

3.2. Del tutto prima di pregio è la doglianza difensiva contenuta nel secondo motivo del ricorso, in quanto la L. n. 69 del 2005, art. 24 – di cui è stata lamentata la mancata applicazione da parte della Corte di appello di Ancona – prevede sì la possibilità che l’autorità giudiziaria Italiana concordi con quella straniera la consegna temporanea dell’interessato, stabilendo, però, che ciò possa avvenire esclusivamente quando sia necessario per consentire che la persona di cui è stata chiesta la consegna possa essere sottoposta ad un procedimento penale in Italia ovvero possa scontarvi la pena alla quale sia stata condannata per reato diverso da quello oggetto del mandato d’arresto: situazione, dunque, completamente diversa da quella concernente l’odierno ricorrente, il quale ha prospettato di poter essere sottoposto ad indagini in Italia e non anche di essere già indagato o imputato per lo stesso fatto di reato per il quale era stato emesso il mandato di arresto europeo.

3.3. Il quarto motivo del ricorso, è, invece, fondato.

E’ pacifico che la richiesta di consegna contenuta in un mandato di arresto europeo debba essere rifiutata, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. p) della più volte menzionata L. n. 69 del 2005, allorquando una parte della condotta criminosa si sia verificata nel territorio italiano (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 47133 del 18/12/2007, *************, Rv. 238159; Sez. 6, n. 46843 del 10/12/2007, ******, Rv. 238158): circostanza, quella della esistenza di una possibile concorrente giurisdizione italiana, che, per permettere il rifiuto della consegna, deve risultare con certezza, sulla base del quadro fattuale incontrovertibilmente desumibile dagli stessi elementi offerti dalla autorità di emissione o da quelli forniti in sede di sollecitazione integrativa ex L. n. 69 del 2005, art. 16 (così, ex plurimis, Sez. 6, n. 45669 del 29/12/2010, Llanaj, Rv. 248973; Sez. F, n. 34299 del 21/8/2008, Ratti, Rv. 240912; Sez. F, n. 34576 del 28/8/2008, Maloku, Rv. 240917).

Tale aspetto risulta trascurato nella motivazione della sentenza impugnata nella quale, a fronte della specifica doglianza difensiva (caratterizzata non da una generica allegazione, bensì da precisi riferimenti alla vicenda giudiziaria, in specie dal riferimento alla avvenuta consegna nella provincia di (omissis) della merce oggetto della presunta truffa), la risposta fornita dalla Corte di appello di Ancona appare stringata, concretizzata in una mera affermazione “di stile” contenuta nei righi finali di pag. 3 del provvedimento.

La sentenza gravata deve essere, dunque, annullata con rinvio ad altra Corte di appello che, nel nuovo giudizio, deve colmare tale lacuna motivazionale, chiarendo se sussistano i presupposti per il rifiuto della consegna previsto dalla citata Legge, art. 18, comma 1, lett. p), cioè se la consumazione del reato oggetto del mandato di arresto europeo possa considerarsi avvenuta in tutto o in parte nel territorio Italiano, ovvero se le relative condotte, sufficientemente precisate nei loro estremi oggettivi con riferimento a fonti specifiche di prova, siano idonee a fondare una notizia di reato che consenta all’autorità giudiziaria italiana l’immediato e contestuale esercizio dell’azione penale per gli stessi fatti per i quali procede il giudice estero (in senso conforme Sez. 6, n. 7580 del 25/2/2011, H., Rv. 249233).

Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Perugia.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 1 agosto 2013.

Redazione