Mancata trascrizione da parte del notaio del contratto di compravendita: nessun obbligo di risarcimento se il cliente non prova il danno (Cass. n. 19493/2013)

Redazione 23/08/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza resa pubblica il 25 marzo 2006, la Corte di appello di Milano rigettava il gravame interposto da G.N. avverso la decisione del Tribunale della medesima città, che lo aveva condannato a corrispondere alla Sagi s.r.l., a titolo di risarcimento del danno per responsabilità professionale, la somma di Euro 139.048,68, oltre interessi e rivalutazione, per non aver ancora provveduto, nel giugno 1995, nella sua qualità di notaio, alla richiesta di trascrizione dell’atto di vendita immobiliare, acquirente Sagi s.r.l., stipulato il (omissis).

1.1. – La Corte territoriale rigettava, anzitutto, l’eccezione di decadenza proposta dall’appellante in ordine alla produzione documentale effettuata dalla società attrice in primo grado all’udienza del 15 novembre 2002, giacchè trattavasi di documenti nuovi, venuti ad esistenza e formatisi successivamente al termine di cui all’art. 184 cod. proc. civ. fissato dal giudice istruttore, e sui quali si era stato instaurato il contraddittorio per aver lo stesso giudice, a seguito della produzione, rinviato la causa a successiva udienza. Peraltro, il giudice di appello osservava che la documentazione acquisita era nell’ottica di una riduzione della richiesta risarcitoria a suo tempo avanzata dalla Sagi s.r.l., giacchè riguardava il fatto che la società, nel tacitare la banca creditrice ipotecaria, aveva evitato l’espropriazione forzata dell’immobile ipotecato.

Quanto poi alla censura del G. sul mancato adeguato riscontro, tramite prove orali, del contenuto dei documenti acquisiti, il giudice del gravame rilevava che essi, da un lato, attestavano il pagamento (tramite assegno circolare per Euro 87.000,00 in data 27 settembre 2002) in favore della Intesa BCI a definizione del credito di detta banca per cui era stata iscritta ipoteca contro la società ******* sull’immobile venduto alla Sagi s.r.l. e in base alla quale era stata iniziata procedura di espropriazione immobiliare; dall’altro lato, attestavano il pagamento delle spese legali in favore dei difensori incaricati di definire la vertenza. In definitiva, si trattava di “assegni circolari emessi e comprovanti i pagamenti dedotti a voci di danno e lettere di legali attestanti di essere stati officiati per la definizione della vertenza”, la cui forza probatoria non necessitava di essere “validamente” integrata da “fonte probatoria orale”.

1.2. – La Corte territoriale riteneva, altresì, infondata la doglianza sulla mancata prova da parte della società attrice circa il pregiudizio lamentato, per non esser avvenuta l’espropriazione dell’immobile acquistato, giacchè il danno era consistito proprio negli esborsi che la Sagi s.r.l. aveva dovuto effettuare per scongiurare gli esiti della procedura espropriativa.

Così come veniva reputata priva di consistenza la censura sul mancato rispetto del limite di responsabilità, da ravvisarsi nell’ammontare dell’iscrizione ipotecaria, posto che questo era di lire 170.000.000, mentre la società attrice, per evitare l’espropriazione, aveva versato una somma minore e cioè Euro 87.000,00, pari a lire 168.455.490.

Del pari infondata, ad avviso della Corte territoriale, era poi l’ulteriore doglianza che investiva il presunto errore del giudice di prime cure sulla determinazione del danno da lucro cessante, posto che in ragione della attività di acquisto e vendita di immobili svolta dalla Sagi s.r.l., in base all’oggetto sociale, detto danno non era escluso dalla dedotta rivalutazione degli immobili dal 1995 al 2002, ma era da ritenersi sussistente proprio nella differenza (pari a lire 93.662.071) tra la somma di lire 370.000.000 oggetto della proposta di acquisto dell’immobile nel luglio 1995 da parte di tal V. ed il prezzo di acquisto dello stesso immobile di cui alla compravendita del febbraio 1992 per lire 276.337.929.

Non migliore sorte aveva la censura sull’asserito erroneo cumulo di interessi e rivalutazione, posto che la statuizione del primo giudice era da intendersi nel senso che, “liquidato l’ammontare del danno”, esso andava rivalutato secondo gli annuali indici Istat e “sulla somma via via rivalutata” applicati gli interessi.

1.3. – Infine, la Corte milanese respingeva anche la censura sulla mancata considerazione della colpa da ascriversi nella specie al Conservatore dei registri immobiliari competente alla trascrizione della vendita oggetto di causa, posto che la circostanza relativa al diniego opposto dal Conservatore medesimo alla prima richiesta di trascrizione (fatta dal G. in data 20 ottobre 1992), “giusto o errato che fosse”, doveva reputarsi “ininfluente ai fini della risoluzione della controversia”, dovendo invece attribuirsi rilievo soltanto al fatto che il notaio – “prontamente informato del diniego” (con restituzione della nota di trascrizione irregolare in data 23 ottobre 1992, unitamente all’assegno circolare che l’accompagnava) – “ha atteso quasi tre anni prima di procedere alla trascrizione dell’atto, determinando cosi il danno costituito dal fatto che in questo lasso di tempo è intervenuta la trascrizione pregiudizievole”.

2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.N. affidando le sorti dell’impugnazione a cinque motivi.

Resistono con controricorso la Sagi s.r.l. ed il Ministero dell’economia e delle finanze.

Non risulta intimata la Toro assicurazioni s.p.a., contumace nel grado di appello.

La causa, rimessa sul ruolo all’udienza dell’11 gennaio 2013 per consentire alla Sagi s.r.l. di nominare un nuovo difensore, a seguito della cancellazione dall’albo del precedente legale, è pervenuta all’udienza odierna.

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, la mancata nomina di altro difensore da parte della Sagi s.r.l., in luogo del precedente legale cancellatosi dall’albo a domanda, non ha reso necessario un ulteriore rinvio dell’udienza di trattazione della causa (oltre a quello già disposto in precedenza per consentire alla società di provvedere a detto incombente), in ragione della congruità del lasso temporale trascorso dalla comunicazione (in data 8 febbraio 2013) dell’ordinanza resa all’udienza dell’11 gennaio 2013, nonchè del fatto che trattasi, comunque, di evento volontario e non della morte dell’unico procuratore costituito.

2. – Ancora in via preliminare, la mancata evocazione nel presente giudizio della Toro Assicurazioni S.p.A., già contumace in appello, non comporta la necessità di integrare il contraddittorio nei suoi confronti, essendo già ampiamente spirato (alla data dell’udienza dell’11 gennaio 2013, in riferimento a sentenza resa pubblica il 25 marzo 2006) il termine per provvedervi ai sensi dell’art. 332 cod. proc. civ., venendo nella specie in rilievo un’ipotesi di scindibilità di cause (per essere stata la compagnia di assicurazione chiamata in causa a titolo di garanzia dal G., il quale – in sede di gravame – ha peraltro ritenuto che non fosse “erronea ed illegittima” la decisione di primo grado che rigettava la domanda di manleva; cfr. p. 6 del ricorso) ed occorrendo avere riguardo – per stabilire, per l’appunto, l’esaurimento del predetto termine – al momento in cui la causa è portata innanzi al giudice (Cass., 17 ottobre 2007, n. 21832).

3. – Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 153 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorrente osserva che “i documenti di terzi (scritture private non autenticate), prodotte da Sagi” presentavano una data di confezionamento successiva alla scadenza del termine perentorio di cui all’art. 184 cod. proc. civ., “ma, trattandosi di documenti formati al di fuori del processo e sottratti alla sfera di controllo delle altre parti, le indicazioni in essi riportate – in difetto di loro integrazione, attraverso la deduzione di adeguati riscontri di prova orale – non rivestivano alcun poter certificatorio circa la data della loro formazione”.

Rileva ancora il ricorrente che, con la documentazione prodotta, la società attrice aveva inteso supplire alla assoluta carenza di prova sul danno lamentato, là dove, inoltre, l’asserito pagamento di Euro 87.000,00 era stato eseguito in favore di Intesa BCI, quale titolare del credito ipotecario per effetto di “una non meglio precisata cessione ad opera di Cassa di risparmio di Parma e Piacenza” e non già perchè incorporante quest’ultima, quale circostanza da ritenersi “del tutto fantasiosa” anche in forza delle stesse allegazioni di parte attrice.

Il mezzo si conclude con il seguente quesito ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ.: “Dica la Suprema Corte se l’ammissibilità di produzioni documentali, dopo la scadenza dei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c. – consentita per i documenti venuti ad esistenza in epoca successiva a tale scadenza – sia, o meno, da riferire ai soli documenti provenienti dalle parti o da un pubblico ufficiale e non anche ai documenti, privi di data certa, provenienti da terzi estranei al processo”.

3.1. – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

Esso è inammissibile, anzitutto, là dove intende denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vizio di motivazione della sentenza impugnata senza corredare la censura del quesito c.d. “di fatto” (o altrimenti detto di “sintesi”) ex art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata resa pubblica nella vigenza di detta norma processuale), che – sulla scorta di un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le altre, Cass., 16 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., 18 novembre 2011, n. 24255) – è volto ad indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, cosi come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, a tal fine necessitando, segnatamente, la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo in equivoco, tale da rendere intelligibili le censure a prescindere dalla lettura dell’intero motivo.

Quanto poi all’ulteriore profilo di doglianza, là dove sembra far questione di error in procedendo, essa, come tale, non può trovare ingresso, giacchè la censura non è veicolata attraverso la necessaria e rituale specificazione del fatto processuale rilevante (Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077) e, dunque, nella specie, senza aver indicato puntualmente i documenti (nei rispettivi termini e contenuti) sui quali si è incentrato il giudizio della Corte territoriale.

E’, poi, infondata la censura che investe l’interpretazione data dalla Corte territoriale all’art. 184 cod. proc. civ. e l’applicazione della norma che ne è conseguita.

Essa, infatti, non si incentra sul dato temporale della produzione documentale, cosi da porlo in discussione rispetto alla maturazione, o meno, delle preclusioni stabilite dall’art. 184 cod. proc. civ. (nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 263 del 2005), ma ha riguardo alla tipologia intrinseca dei documenti prodotti, sotto il profilo della relativa provenienza, e cioè ad un elemento che, come tale, è estraneo alìambito di operatività funzionale dello stesso art. 184 cod. proc. civ., quale norma processuale che, per quanto rileva nella specie, si occupa di dettare una scansione dei tempi di produzione dei documenti, senza però porre limitazioni che investano presupposti non coerenti con detta funzione – come, per l’appunto, quello opinato dal ricorrente (per cui sarebbero producibili i soli documenti pubblici o confezionati dalle parti) – e che, invece, operano sul diverso piano della valutazione di ammissibilità intrinseca e di rilevanza della produzione documentale, che il giudice ha reputato esser stata effettuata nei termini di rito.

4. – Con il secondo mezzo è prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702 e 2729 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ci si duole che, nonostante le ripetute contestazioni, sia il giudice di primo grado, che quello di appello abbiano ritenuto idonei a supportare circostanze controverse – come quelle dell’asserita instaurazione di procedura espropriativa relativa all’immobile acquistato dalla Sagi s.r.l. e del pagamento in favore del creditore ipotecario – documenti provenienti da terzi, in assenza di ulteriori elementi probatori atti a suffragarne l’attendibilità e la credibilità. Invero, l’unico mezzo idoneo a comprovare l’esistenza di una procedura di espropriazione a carico dell’immobile “sarebbe stata la produzione del titolo esecutivo e del precetto che, a norma dell’art. 603 c.p.c., dovevano essere notificati anche al terzo proprietario Sagi”.

Viene formulato, quindi, il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se i documenti – scritture private non autenticate – formati da terzi estranei al processo, in presenza di contestazione da parte di colui contro il quale sono stati prodotti ed in assenza di ulteriori elementi idonei a suffragarne la credibilità ed attendibilità, possano essere, o meno, utilizzati dal Giudice del merito a fondamento della sua decisione”.

4.1. – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

E’ inammissibile quanto alla denuncia del vizio di motivazione, giacchè non assistito dal congruente quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., la cui formulazione – come già evidenziato in relazione allo scrutinio del motivo precedente – è necessaria anche per le censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con l’ulteriore precisazione che l’inammissibilità coinvolge anche la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., posto che la relativa lesione, in quanto norme attinenti alla materia della valutazione delle prove, è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione (Casa., 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass., 20 giugno 2006, n. 14267).

E’ invece infondato sotto il profilo della dedotta violazione di legge, posto che la Corte territoriale, in assenza di censure sulla veridicità formale dei documenti provenienti, in parte, da terzi, ed attribuendo peculiare forza probatoria a taluni di essi (segnatamente, assegno circolare – emesso su ordine di Sagi s.r.l. – e lettere di legali) nel contesto di una valutazione complessiva della vicenda alla sua cognizione (giungendo a reputare in atto la procedura di espropriazione dell’immobile oggetto dell’acquisto non trascritto di Sagi s.r.l.), non ha fatto mal governo del principio per cui, nella specie, si richiede un prudente apprezzamento del giudice, in concorso con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, che confortino l’attendibilità della produzione documentale (Cass., 27 luglio 2007, n. 14122). Con la precisazione, ancora, che i profili di doglianza che attengono alla motivazione che sorregge il convincimento raggiunto dal giudice del merito non possono qui essere ulteriormente scrutinati per la già acclarata inammissibilità della relativa denuncia.

5. – Con il terzo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702 e 2729 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ci si duole che la Corte territoriale, in base alla supposta dimostrazione dell’instaurazione di procedura espropriativa e del pagamento di Euro 87.000,00 al creditore ipotecario, abbia ritenuto provato il danno emergente in favore della Sagi s.r.l. e ciò nonostante le specifiche contestazioni al riguardo mosse da esso appellante sul fatto che il pregiudizio sarebbe potuto concretarsi soltanto in presenza di due condizioni, invero non realizzatesi, e cioè l’insolvenza dell’obbligata NOR.IMM. e l’espropriazione dell’immobile da parte del creditore ipotecario. Il giudice di appello non avrebbe motivato in relazione al fatto che “l’obbligazione generatrice dell’iscrizione non era di Sagi, ma unicamente di ******** – della quale non era stato dedotto alcuno stato di insolvenza – limitandosi ad affermare che la prova del danno… discendeva dai documenti formati da terzi estranei al processo, attestanti un pagamento di Euro 87.000,00 fatto per scongiurare una (indimostrata) espropriazione immobiliare”; ne avrebbe motivato sulla congruità di detto pagamento, atteso che “l’unico dato certo era la misura dell’iscrizione ipotecaria (lire 170.000.000), mentre era (ed è) sempre rimasta ignota la misura del credito, assistito dal titolo giudiziale che aveva consentita l’iscrizione stessa”.

All’esito del mezzo è formulato il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se un’iscrizione ipotecaria – efficace per l’acquirente in seguito a mancata tempestività della trascrizione di un contratto di compravendita – di per sè sola e, quindi, in assenza di ogni espropriazione, sia, o meno, fonte di danno concreto, attuale e patrimonialmente apprezzabile per l’acquirente stesso, il quale peraltro nulla abbia dedotto sulla capacità patrimoniale del debitore”.

5.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Anch’esso – come i precedenti – è inammissibile quanto alla denuncia del vizio di motivazione (che si estende alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.), giacchè non assistito dal congruente quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ..

Quanto alla dedotta violazione delle norme in materia di presunzioni, posto che non risulta censurata in modo specifico e congruente l’erroneità della sussunzione in riferimento ai caratteri della precisione, gravità e concordanza, occorre in ogni caso rilevare che la censura -come delineata nel quesito che l’assiste – non coglie appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale muove dalla premessa che la procedura di espropriazione forzata immobiliare era in fieri e che, proprio per evitare l’espropriazione dell’immobile ipotecato, la Sagi s.r.l. aveva provveduto a tacitare il creditore ipotecario, con ciò determinandosi il depauperamento del patrimonio della società.

Non, dunque, un danno emergente scaturito da una mera iscrizione ipotecaria, come ipotizzato dal ricorrente, il quale, in forza di siffatta prospettazione, non aderente al percorso argomentativo seguito dal giudice del merito, intende rimettere in discussione un accertamento di fatto già oggetto dei motivi in precedenza scrutinati e respinti (oltre che a riproporre un vizio motivazionale senza corredarlo dal relativo quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., come innanzi rilevato).

6. – Con il quarto mezzo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., nonchè motivazione omessa e insufficiente circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Sarebbe carente sul piano logico e giuridico il ragionamento della Corte di appello in ordine alla ritenuta sussistenza del danno patrimoniale patito dalla società attrice, avendo essa addotto che, “siccome l’oggetto sociale di Sagi era il commercio di beni immobili, per ciò stesso detta società aveva perso definitivamente un affare che le avrebbe fatto guadagnare Euro 48.372,42”. Il giudice del gravame non avrebbe infatti tenuto conto: a) che l’immobile era rimasto nel patrimonio della società; b) che il valore dell’immobile “aveva incorporato i normali incrementi derivanti dall’evoluzione dei prezzi, il cui andamento, per gli immobili, è notoriamente assai più accentuato”; c) che, pertanto, una volta sfumata la vendita al V., avrebbe la Sagi potuto in epoca successiva aver venduto il bene ad altro compratore “ad un prezzo, se non superiore, certamente non inferiore a quello convenuto con il predetto”; d) che, in ogni caso, in mancanza di prove di segno contrario il patrimonio di Sagi non aveva sofferto alcuna perdita”. Inoltre, nel fare riferimento all’attività commerciale della società Sagi, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto il fatto che l’immobile fosse stato posto in vendita tre anni dopo l’acquisto e ciò mal si conciliava “con un’impresa il cui oggetto sociale veniva identificato nel commercio di beni immobili”.

Viene, quindi, formulato il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se la mancata vendita di un bene immobile per l’impedimento derivante dalla presenza di un’iscrizione pregiudizievole – in assenza di prove circa la definitiva impossibilità di rivendere il bene allo stesso prezzo (una volta rimosso tale impedimento), ovvero circa la perdita di una occasione di vantaggioso investimento del prezzo non riscosso, ovvero circa la contingente necessità di disporre del correlativo numerario – possa concretare un danno da lucro cessante risarcibile ai sensi dell’art. 1227 c.c.” (rectius: 1223 cod. civ.).

6.1. – Il motivo – inammissibile quanto al denunciato vizio di motivazione (per essere anch’esso non assistito da congruente quesito ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.) – è fondato sotto il profilo della violazione di legge.

Dalla stessa sentenza impugnata risulta: che Sagi s.r.l. comprava l’immobile il 13 luglio 1992 da Nor.Imm. s.r.l. per lire 276.337.229 e che il notaio G. non trascriveva l’acquisto sino al 16 giugno 1995; che il 24 gennaio 1995 un creditore della Nor.Imm. s.r.l. iscriveva ipoteca sul bene immobile; che detta iscrizione ipotecaria rendeva impossibile a Sagi s.r.l. vendere il bene ad un terzo acquirente (sig. V.) nel giugno 1995 per lire 370 milioni; che Sagi s.r.l., per evitare l’espropriazione forzata, versava in favore del creditore ipotecario la somma di lire 168.455.490 in data 27 settembre 2002 e poi agiva in giudizio contro il notaio G. con atto di citazione notificato il 24 marzo 2004.

Di qui, l’affermata sussistenza di un danno da lucro cessante in capo alla Sagi s.r.l., pari alla differenza (lire 93.662.071 milioni) tra il prezzo di acquisto del bene dalla Nor.Imm. s.r.l. ed il prezzo della mancata vendita al V., giacchè la società, operatore commerciale nel settore delle compravendite immobiliari, non aveva potuto alienare il bene nè al V., nè successivamente, in ragione dell’iscrizione ipotecaria pregiudizievole.

La statuizione confligge, però, con il principio enunciato da questa Corte – al quale il Collegio intende dare continuità – in tema di pregiudizio risarcibile nell’ipotesi di responsabilità professionale del notaio relativamente alla trascrizione dell’immobile compravenduto, gravato da ipoteca e sottoposto a procedura esecutiva, secondo cui, nel caso “che l’immobile non venga espropriato in danno dell’acquirente, il mancato guadagno derivante a questo ultimo dall’impossibilità di realizzarne la vendita per la presenza del vincolo ipotecario, non giustifica di regola un risarcimento integrativo, non assumendo la mancata vendita carattere di definitività, si da determinare un corrispondente, definitivo depauperamento del patrimonio nel suo concreto valore, salvo il concorso di particolari fattori, quali ad es. il mancato impiego del numerario in attività vantaggiose, l’impossibilità di realizzare in futuro lo stesso prezzo per il quale si è ricevuta offerta per effetto del mutamento di valori immobiliari etc., dei quali incombe al danneggiato l’onere della prova” (Cass., 3 gennaio 1994, n. 6; nella stessa prospettiva, anche Cass., 13 settembre 2004, n. 18376 e Cass., 11 gennaio 2006, n. 264).

Invero, alla stregua dell’evidenziato principio di diritto, il giudice del merito avrebbe dovuto considerare non solo “la impossibilità di utilizzare lo stesso immobile per gli scopi di commercio istituzionalmente perseguiti” dalla società (che, cosi genericamente ed isolatamente intesa, non integra neppure la circostanza del mancato impiego del numerario in attività vantaggiose), ma, anche e soprattutto, la eventuale mancata vendita dell’immobile, in proprietà della Sagi s.r.l., ancora alla data di proposizione del giudizio (marzo 2004) e, in ogni caso, quale fosse in quel momento il valore di mercato dello stesso bene, del quale era risultata impossibile la vendita; circostanze, queste, la cui prova incombeva sulla società danneggiata.

In siffatti termini, il motivo merita accoglimento.

7. – Con il quinto mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2674 c.c., comma 2, artt. 1218, 1292 e 2055 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Sarebbe erronea la motivazione della Corte territoriale là dove ha escluso ogni efficienza causale alla condotta del Conservatore dei registri immobiliari, nonostante questo – in violazione dell’art. 2674 c.c., comma 2, – avesse rifiutato la trascrizione dovuta anche se irregolare, addebitando l’evento unicamente ad esso notaio per essere rimasto inerte per quasi tre anni malgrado fosse stato prontamente informato dal Conservatore stesso del rifiuto anzidetto.

Invero, tale ragionamento cozzerebbe con il principio della responsabilità solidale posto dall’art. 2055 cod. civ., per cui l’evento dannoso era imputabile a più persone in forza della efficienza causale delle rispettive condotte; nè sarebbe stata invocabile al riguardo la fattispecie di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, giacchè non eccepita dal debitore.

A chiusura del motivo è posto il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se il rifiuto del Conservatore di trascrivere un atto, in violazione della prescrizione dell’art. 2674 c.c., comma 2 – anche se portato tempestivamente a conoscenza del richiedente il quale sia rimasto inerte – possa, o meno, costituire causa di esonero da responsabilità per gli effetti dannosi della ritardata trascrizione”.

7.1. – Il motivo è inammissibile quanto al dedotto vizio di motivazione (per non conformarsi, anch’esso, in assenza di congruente quesito, alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ.) ed infondato per il resto.

A tale ultimo riguardo, è principio consolidato (tra le tante, Cass., 2 febbraio 2012, n. 2360) quello per cui “in tema di responsabilità civile, qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41 cod. pen. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l’esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consista in una omissione, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, non potendo esserne esclusa l’efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale”.

A siffatto principio è ispirata la decisione della Corte territoriale, la quale, con motivazione congrua, ha accertato l’esclusività della causa efficiente del danno nella condotta addebitabile al notaio, concretatasi nella perpetuata omissione della trascrizione per quasi tre anni e malgrado che fosse stato tempestivamente informato (appena tre giorni dopo la richiesta) del diniego di detta trascrizione, cosi da non potersi ritenere esaurito l’obbligo di diligenza professionale di attivarsi al riguardo.

8. – Vanno, dunque, rigettati il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, mentre deve trovare accoglimento, per quanto di ragione, il quarto motivo.

La sentenza deve, quindi, essere cassata in relazione motivo accolto e rinviata alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, la quale dovrà calibrare la delibazione sulla spettanza o meno del danno da lucro cessante in capo alla Sagi s.r.l. sul principio enunciato al paragrafo 6.1. che precede. Al giudice del rinvio spetterà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 giugno 2013.

Redazione