Maltrattamenti di animali: ammenda di 7000 euro per avere ucciso il gatto del vicino (Cass. pen., n. 44422/2013)

Redazione 04/11/13
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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21/12/2011 il Tribunale di Genova ha condannato l’imputato alla pena di 7.000,00 euro di ammenda perché colpevole dei reati previsti dagli artt. 517 e 544, comma 3, cod. pen., commessi il 21/6/2008 mediante l’esplosioni di alcuni colpi di arma ad aria complessi nei confronti di gatti stazionanti nel giardino di una vicina, condotta da cui è derivata la morte di un animale.
2. Avverso tale decisione l’avv. *************** propone ricorso nell’interesse del sig. R. R., in sintesi lamentando:
a. Errata applicazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. con riferimento sia alla contestazione iniziale sia alla modifica di contestazione in corso di giudizio, in quanto i fatti accertati dal Tribunale si riferiscono ad epoca diversa da quella contestata e sono stati valutati sulla base di testimonianze riferite ad epoche diverse e ad episodi non specificamente contestati in un arco di tempo da febbraio a giugno 2008;
b. Vizio motivazionale ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. per essere stata dedotta la responsabilità dell’imputato per i fatti in contestazione esclusivamente da asserite condotte anteriori non in relazione coi fatti contestati;
c. Errata applicazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per avere il Tribunale ignorato che l’art. 544-ter cod. pen. punisce le condotte di maltrattamento solo se poste in essere “per crudeltà o senza necessità”;
d. Vizio motivazionale ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. per essere stata contestata e ritenuta una circostanza aggravante che si collega a pluralità di episodi non contestata ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ. cod. pen.;
e. Vizio motivazionale ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il contenuto dei motivi di ricorso impone alla Corte di ricordare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, ******* (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 7289 del 2003, ********, rv 226074).
Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge n.46 dei 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello”.
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dall’art. 8, comma primo, lett. b) della legge 20 febbraio 2006, n. 46, l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, P.G. in proc. ********* (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, ******** (rv 237207). Appare, dunque, del tutto in convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez. 6, n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
Ciò non significa, ovviamente, che la presenza di manifesta illogicità della motivazione, rilevante ai sensi della citata dell’e) dell’art. 606 c.p.p., non debba essere riconosciuta allorquando a fronte di plurime ipotesi ricostruttive dei fatti i giudici di merito non abbiano dato conto in modo coerente e corretto sul piano logico delle ragioni per cui l’ipotesi accolta abbia forza sufficiente da escludere la solidità delle ipotesi alternative sottoposte al loro giudizio.
2. L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di concludere per la palese infondatezza dei motivi di ricorso. A fronte della chiara e non manifestamente illogica motivazione resa dai giudici di merito in ordine a tutti gli elementi essenziali della fattispecie, il ricorrente sollecita questa Corte a un nuovo esame dei materiale probatorio.
3. Ora, la Corte ritiene che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il Tribunale non abbia fatto cattivo uso dei criteri valutativi fissati dall’art. 192 cod. proc. pen. La ricostruzione certa di condotte anteriori (ultimo capoverso di pagina 3 della motivazione) e la smentita data alla tesi difensiva dell’imputato circa l’uso della carabina esclusivamente per effettuare tiri verso un bersaglio posto nel proprio giardino (terzo capoverso di pagina 4) costituiscono premesse logiche della ricostruzione del nesso di casualità (quinto e settimo capoverso di pagina 4). II percorso argomentativo cosi sintetizzato non si presta a letture critiche né sul piano dell’esame dei singoli elementi di prova né sul piano dell’argomentazione logica, certamente immune da palese illogicità.
4. Quanto alle censure mosse alla motivazione in ordine alla ritenuta circostanza aggravante, la Corte ne ravvisa la manifesta infondatezza. Non solo il Tribunale ha esplicitato la valutazione di non necessità della condotta, anche volendosi porre nell’ottica di una reazione dell’imputato a situazione di fastidio, ma ha complessivamente ricostruito il fatto nella prospettiva di una ripetizione di condotte aggressive che hanno in ultimo condotto alla morte di un animale. La circostanza che la pluralità di episodi non sia contestata in modo specifico discende dalla impossibilità di fissare le date delle condotte anteriori e non impedisce che tale elemento venga accertato e ricostruito al fine di collocare nel giusto contesto l’episodio del 21/6/2008, escluderne la occasionalità e valutare l’elemento soggettivo addebitato all’imputato. Del resto, il capo di imputazione non lascia dubbi nella sua formulazione circa la pluralità di condotte di reato e circa il fatto che il 21/6/2008 costituisca la data di “accertamento” del reato così come contestato. Nessuna violazione, infine, del rapporto fra contestazione e decisione neppure sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, posto che il giudicante non ha applicato alcun aumento di pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
5. In ultimo, il ricorrente lamenta vizio motivazionale con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Anche tale censura è manifestamente infondata. A fronte della pluralità delle condotte e dell’uso di arma, circostanze valutate negativamente, il giudicante ha ritenuto di applicare la sola pena pecuniaria in relazione al fatto che un solo animale risulta vittima del reato, cosi effettuando un complessivo bilanciamento degli elementi ritenuti rilevanti. Non ritenendo di scendere sotto la pena minima edittale, e, anzi, valutando opportuno infliggere una pena di poso superiore in relazione alle modalità della condotta sopra ricordate, il giudicante ha offerto una motivazione che escluda l’esistenza i ragioni per l’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen.
6. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 516 c.p.p., ai pagamento delle spese dei presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/9/2013

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