Malfunzionamento di un elettrodomestico: per richiedere il risarcimento danni va dimostrato il nesso di causalità (Cass. n. 18654/2013)

Redazione 06/08/13
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Svolgimento del processo

Con citazione dell’agosto 1996 E.B.M.J. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Verona la Candy Elettrodomestici s.r.l. per sentirla condannare al pagamento della somma di L. 643.343.000 a titolo risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti a un sinistro verificatosi in data (omissis) in (omissis), mentre dimorava nell’abitazione del cognato. A fondamento della propria domanda l’attrice asseriva di essere stata investita dalla fuoriuscita di una violenta fiammata da un forno ad incasso prodotto dalla società convenuta, che le aveva provocato ustioni all’emicostato dx, al cavo ascellare superiore, al braccio, alla mammella e alla regione sottomammaria dx; precisava che l’incidente – verificatosi mentre estraeva dal forno una vivanda introdotta all’incirca quindici minuti prima – era stato provocato dal mancato funzionamento della valvola di sicurezza dell’elettrodomestico, con conseguente fuoriuscita di gas combustibili in quantità tali da saturare il volume interno del forno e da provocare il processo infiammante, scatenato dall’apertura dello sportello.

La Candy Elettrodomestici contestava la propria responsabilità e la verosimiglianza dei fatti dedotti anche in considerazione della circostanza che le ustioni non avevano interessato il viso dell’attrice; chiedeva ed otteneva di chiamare in causa al fine di essere manlevata la ************************ di ******* O & ********* (di seguito, brevemente, ************************), produttrice del forno commercializzato con il marchio Candy.

Dal canto suo la ************************, nel costituirsi in giudizio, rilevava che i vizi lamentati non facevano riferimento a difetti di costruzione del forno e che eventuali responsabilità avrebbero dovuto far carico alla ditta Centomo Arredamenti, che aveva venduto e installato l’arredamento della cucina ovvero alla ditta Carraro Disma, che era intervenuta in precedenza per la segnalazione di un malfunzionamento della termocoppia regolante l’erogazione del gas ovvero ancora alla Sabaf s.p.a. costruttrice e fornitrice della termocoppia. Chiedeva, dunque, e otteneva di chiamare in causa i soggetti menzionati per essere manlevata.

Nel costituirsi in giudizio la ******************* contestava la propria responsabilità per essersi limitata rivendere mobili da altri prodotti, nella specie una cucina modello ******, prodotta dalla ditta Arrex-1 s.p.a. con forno già incassato; precisava inoltre di aver installato la cucina senza provvedere ad alcun allacciamento; chiedeva e otteneva di chiamare in garanzia la propria compagnia assicuratrice Allsecures Assicurazioni s.p.a. (ora Axa Assicurazioni s.p.a.).

Anche la ************* – contestata la propria responsabilità in relazione all’assistenza tecnica prestata in garanzia – chiedeva e otteneva di chiamare in garanzia la propria compagnia assicuratrice Allsecures Assicurazioni s.p.a.. Quest’ultima, nel costituirsi in giudizio, eccepiva l’inoperatività della polizza della Centomo Arredamenti, mentre nei riguardi della ************* evidenziava l’esistenza di uno scoperto del 10% e il limite del massimale.

Dal canto suo la Sabaf s.p.a. rilevava che gli accertamenti eseguiti nel contraddittorio delle parti non avevano evidenziato anomalie di funzionamento del forno e della termocoppa preposta a interrompere il flusso del gas in caso di mancata accensione dei fuochi; inoltre chiedeva e otteneva di chiamare in garanzia la Toro Assicurazioni s.p.a..

Quest’ultima, nel costituirsi in giudizio, si associava alle difese dell’assicurata.

La causa, istruita con l’interrogatorio libero dell’attrice e una c.t.u., era decisa con sentenza del 22.05.2001, con la quale il Tribunale di Verona rigettava la domanda, compensando le spese di lite.

La decisione era gravata da impugnazione in via principale della E. e in via incidentale della Axa Assicurazioni e della ******************* s.n.c.; resistevano le altre parti, mentre rimaneva contumace la *************.

La Corte di appello di Venezia dava ingresso a nuova attività istruttoria (rinnovo della c.t.u. in ordine alla funzionalità del forno, espletamento di una c.t.u. medicolegale, prova orale) e all’esito, con sentenza in data 26.03.2007, rigettava gli appelli proposti in via principale e incidentale; compensava le spese di lite, ponendo in via definitiva quelle di c.t.u. a carico della originaria attrice.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione E. M.J., svolgendo sei motivi (erroneamente numerati come cinque).

Ha resistito la Candy Elettrodomestici, depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a unico motivo.

Anche la ******************* s.n.c. ha depositato controricorso, svolgendo ricorso incidentale sulla regolazione delle spese, nonchè ricorso incidentale condizionato in considerazione della richiesta di decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., formulata dalla ricorrente principale.

Resistono con distinti controricorsi la ************************ s.a.s. e la Sabaf s.p.a..

Ha notificato controricorso anche la Axa Assicurazioni s.p.a..

Nessuna attività difensiva è stata svolta dalle altre parti intimate Toro Assicurazioni s.p.a. e *************.

E’ stata depositata memoria da parte della ricorrente.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente si da atto che i ricorsi, proposti in via principale e incidentale condizionata avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

Gli stessi ricorsi – avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009) – sono soggetti, in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla disciplina di cui agli artt. 360 c.p.c. e segg., come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006.

1.1. Sempre in via preliminare si osserva che – come evidenziato nella relazione orale – il controricorso della Axa Assicurazione è tardivo, perchè è stato inoltrato per la notifica in data 08.02.2008 oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c., decorrente dalla notifica del ricorso in data 01.10.2007. E’, comunque, legittima la partecipazione del difensore della detta parte alla discussione orale del ricorso (art. 379 c.p.c.).

2. L’esame dei ricorsi deve muovere da quello principale, perchè logicamente prioritario.

2.1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., e del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 1 e segg., (ora D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 114 e seg., c.d. Codice del Consumo) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di appello disapplicato la normativa di cui al D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 1 e segg., sul presupposto della ritenuta diversità tra l’azione originariamente proposta e l’azione derivante da detta normativa e, comunque, per avere erroneamente qualificato la domanda originaria come azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c.. Il motivo è corredato da due quesiti di diritto, con cui si chiede di affermare che il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, non ha introdotto un’azione risarcitoria strutturalmente diversa da quella ordinaria di cui all’art. 2043 c.c., e che, in ogni caso, la Corte di appello avrebbe dovuto applicare d’ufficio il D.P.R. n. 224 del 1988, per il solo fatto che la parte aveva chiesto nei confronti del produttore il risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso pur senza invocare esplicitamente detta normativa.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 112, 342, 113, 329 e 342 c.p.c., e art. 2909 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 4) per non avere la Corte di appello qualificato la domanda attorea, indipendentemente da una qualificazione del primo giudice e in assenza di uno specifico motivo di appello in ordine a tale qualificazione, come domanda di risarcimento danni ex D.P.R. 224/1988 e per non avere comunque ritenuto implicitamente e virtualmente svolta la domanda da parte dell’attrice. Il motivo è corredato da cinque quesiti di diritto: sul punto dell’erronea individuazione del giudicato sulla qualificazione della domanda; sull’erronea individuazione degli elementi di fatto rilevanti per la qualificazione dell’azione; sull’erroneo rilievo del mutamento della domanda, in dipendenza della diversa qualificazione giuridica della domanda; sull’inidoneità del mutamento della causa petendi a innovare il thema decidendum; sull’implicita deduzione della responsabilità ex D.P.R. n. 224 del 1988, da ritenersi “contenuta” nella domanda di risarcimento del danno originariamente proposta.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), rappresentato dalla preclusione derivante dal giudicato per una autonoma qualificazione della domanda attorea da parte della Corte di appello rispetto a quella effettuata dal Giudice di primo grado in assenza di uno specifico motivo di gravame;

la contraddizione emergerebbe dal fatto di avere comunque proceduto a detta qualificazione.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) rappresentato dalla qualificazione della domanda attorea come domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., pur avendo, poi, la Corte di appello esaminato la domanda anche sotto il versante del D.P.R. n. 224 del 1988.

3. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacchè esprimono, nella sostanza, un’unica censura: e cioè che i giudici di appello abbiano considerato domanda “nuova” – ritenendola come tale inammissibile, avuto riguardo all’originaria domanda riconducibile all’art. 2043 c.c. – la richiesta di applicazione della normativa di cui al d.P.R. 224 del 1988, ora recepita nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. da 114 a 127, (c.d. Codice del Consumo): richiesta, pacificamente formulata dall’odierna ricorrente, per la prima volta, nella comparsa conclusionale in appello, sul presupposto che, in esito alla seconda c.t.u. svolta in quel grado del giudizio, fossero emersi tutti gli elementi integrativi della responsabilità del produttore.

Al riguardo è assorbente, rispetto a ogni altra considerazione, il rilievo della carenza di interesse all’accoglimento dei motivi all’esame, atteso che la Corte di appello – pur muovendosi nella logica dell’inammissibilità della mutatio libelli – ha evidenziato che la mancata dimostrazione del difetto dell’utensile consentiva di escludere la configurabilità anche della non vagliata ipotesi di responsabilità ai sensi del D.P.R. n. 224 del 1988 (cfr. pag. 20 della sentenza). Tale argomentazione – lungi dal porsi in contraddizione con il principale rilievo di inammissibilità, come pretenderebbe parte ricorrente rappresenta la logica conseguenza delle argomentate conclusioni cui la Corte di appello è pervenuta in punto di assenza di prova della riferibilità causale dei danni subiti dall’attrice ad un difetto del prodotto.

Valga considerare che la speciale azione di cui al D.P.R. n. 224 cit., configura una forma di tutela residuale e speciale rispetto a quella accordata dall’art. 2043 c.c., la quale prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza della “difettosità” del prodotto, segnatamente richiedendo l’art. 8 del cit. D.P.R. che “il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno”.

E’ ben vero che il concetto di difetto assunto dal D.P.R. n. 224 del 1988, è riconducibile non solo al difetto di fabbricazione, ma anche alle ipotesi dell’assenza o carenza di istruzioni, risultando strettamente connesso al concetto di sicurezza, piuttosto che a quella di “vizio” del prodotto; senonchè, nel caso all’esame – esclusa la carenza informativa, in quanto neppure allegata dall’odierna ricorrente nel giudizio di merito – la diversa qualificazione della domanda non gioverebbe, comunque, a parte ricorrente, una volta che risulta esclusa (per quanto si andrà a dire di seguito) anche l’esistenza di un difetto di fabbricazione eziologicamente riconducibile all’evento dedotto in giudizio.

I suddetti motivi vanno, quindi, rigettati.

4. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2730 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello rigettato la domanda anche sotto il profilo dell’art. 2043 c.c., a cagione di un’errata interpretazione e concezione degli elementi costitutivi della fattispecie normativa e per avere considerato oggetto di confessione nei confronti di tutte le parti le dichiarazioni rese dal procuratore dell’attrice in citazione. Il motivo si conclude con tre quesiti di diritto: sulla possibilità, anche prima del D.P.R. n. 224 del 1988, di configurare, secondo i criteri che regolano la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., una responsabilità del costruttore per il danno subito da colui che si serve di una cosa in conseguenza di “un difetto della cosa medesima”; sulla possibilità del giudice del merito – una volta esclusa la responsabilità da parte di soggetti diversi in ordine “causazione del difetto del prodotto” – di individuare la responsabilità del costruttore ex art. 2043 c.c., in base a un ragionamento logico-presuntivo; nonchè sulla valenza confessoria delle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore ad litem, sottoscritti a margine o in calce anche dalla parti, unicamente nei confronti della parte nei cui confronti è proposta la domanda giudiziale (nella specie, la Candy Elettrodomestici s.r.l.).

4.1. Il motivo attinge al nucleo centrale delle argomentazioni della decisione impugnata, laddove la Corte di appello – dopo avere evidenziato che la consulenza tecnica espletata in primo grado, nell’immediatezza dei fatti, sul macchinario in questione, aveva escluso che l’incidente verificatosi fosse riconducibile a un qualche difetto del forno (in particolare: “il forno si presentava integro senza alcun segno di bruciature e di fuliggine, anche l’incasso era regolare fatta eccezione per una parziale occlusione dei fori di ventilazione sul fondo i cui effetti erano considerati tuttavia nella norma”; le prove di funzionalità, eseguite dal consulente, prima dell’invio in laboratorio del forno, non avevano evidenziato anomalie, giacchè anche in condizioni “estreme” di funzionamento non si era prodotta alcuna fiammata o scoppio; anche le ulteriori verifiche effettuate presso società autorizzata alla certificazione di prodotti e qualità avevano escluso tale possibilità) – ha evidenziato come il supplemento di istruttoria svolta nel secondo grado del giudizio non conducesse a conclusioni diverse, giacchè anche le prove eseguite dal c.t.u. Z., nominato in grado di appello, sul “vecchio forno” (identificato dalla Corte di appello in quello per cui è causa) non avevano dato risultati positivi. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto inconferente l’esperimento eseguito dal medesimo consulente su un forno diverso da quello per cui è causa e, per giunta, con modalità diverse da quelle riferite dall’attrice, segnatamente rimarcando: il valore confessorio della sequela di fatti, quale riferito nell’atto introduttivo del giudizio, sottoscritto dall’ E., con la conseguenza che “su quella ricostruzione dei fatti che deve essere ricercata la conferma sotto il profilo tecnico di una fuoriuscita della fiammata all’apertura del forno”; l’infondatezza dell’ipotesi formulata dal c.t.u. Z. (ma neppure adombrata dal procuratore di parte attrice nel primo grado del giudizio) in ordine ad una sostituzione del “vecchio forno”; l’assenza di testimoni oculari e, comunque, di “elementi significativi” nelle deposizioni assunte, idonei a dare corpo alla tesi attorea; inferendo da tutto ciò anche l’assenza di elementi per ricondurre la causa del sinistro ad un difettoso funzionamento della termocoppia o ad una carenza d’aria (cfr. pagine da 15 a 20 della sentenza).

4.2. Queste, in sintesi, le ragioni che hanno indotto la Corte di appello ad escludere che sia stata raggiunta la prova della responsabilità della convenuta e delle terze chiamate, si osserva che il motivo all’esame accorpa, come è reso evidente dai quesiti che lo corredano, due censure eterogenee, per un verso, contestando l’efficacia confessoria dell’esposizione dei fatti come riportata in citazione e, per altro verso, denunciando l’erronea applicazione da parte dei giudici a quibus in punto di responsabilità per danni da prodotto difettoso.

Orbene va, innanzitutto osservato che il motivo ignora che la ricostruzione del fatto nei termini descritti in citazione (radicalmente diversi da quelli ipotizzati dal c.t.u. Z. per inferirne che il danno lamentato dall’ E. potesse ricondursi ad una fiammata proveniente dal forno) è stata ritenuta indiscutibile dalla Corte di appello, non solo sulla base delle ammissioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, cui è stato ascritto valore confessorio, ma anche alla luce della conferma della medesima E. che l’aveva “ribadita in modo dettagliato… in sede di interrogatorio libero avanzato in prime cure”.

Peraltro il valore confessorio delle ammissioni del procuratore contenute nella citazione introduttiva (siccome sottoscritte anche dalla parte personalmente) non può intendersi circoscritto alla sola Candy Elettrodomestici, nei cui confronti venne indirizzato l’originario atto introduttivo – come pretenderebbe parte ricorrente – ma si estende anche agli altri chiamati in causa nei cui riguardi è stata estesa la stessa domanda (con esclusione, ovviamente, delle compagnie di assicurazione, ai cui rapporti è estranea l’odierna ricorrente).

Ciò posto e ribadito che la verifica della riconducibilità causale dei danni lamentati dall’attrice non può prescindere dalla sequenza dei fatti come descritti dalla attrice, tanto più che la stessa non offre alcuna plausibile spiegazione per il mutamento della originaria versione, il Collegio ritiene la censura di violazione di legge manifestamente infondata.

In particolare la circostanza – ripetutamente evidenziata da parte ricorrente, in specie con richiami al c.d. caso Saiwa che la giurisprudenza di questa Corte abbia ritenuto corretto il ricorso al criterio presuntivo per l’accertamento della colpa del produttore, ancor prima dell’attuazione nel nostro ordinamento della direttiva 85/374/CEE in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, non comporta che da tale prova possa, comunque, prescindersi, atteso che, ai fini di cui all’art. 2043 c.c., occorre la dimostrazione non solo del danno, ma anche del nesso causale che lega il pregiudizio al comportamento quantomeno colposo dell’agente.

Peraltro – una volta escluso sulla base di precise verifiche fattuali, come sopra riportate, “l’esistenza di possibilità reali per il formarsi di una miscela esplosiva che provocasse la fiammata” (pag. 18 della sentenza impugnata), non essendovi neppure elementi per ricondurre “la causa del sinistro ad un difettoso funzionamento della termocoppia o ad una carenza d’aria” (pag. 20 della stessa sentenza) – resta evidentemente escluso anche un comportamento colposo (tantomeno doloso) del produttore e/o del fornitore, causalmente riconducibile al sinistro.

Il motivo va, dunque, rigettato.

5. Con il sesto motivo di ricorso (erroneamente rubricato come quinto) si denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) – Parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia motivato il rigetto della domanda sotto il profilo dell’art. 2043 c.c., in modo del tutto insufficiente e contraddittorio; in particolare, agli effetti dell’art. 366 bis c.p.c., assume che le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente sono rappresentate dal fatto che “la contemporanea presenza di una negazione e di una affermazione della sussistenza dei difetti” non consente di individuare con chiarezza la giustificazione della decisione; mentre il fatto controverso, in relazione al quale la motivazione sarebbe contraddittoria, viene individuato nella “sussistenza dei difetti del forno per cui è causa”.

5.1. Anche il presente motivo – al limite dell’inammissibilità per l’inadeguatezza della “chiara indicazione”, equivocamente formulata sia in termini di insufficienza che di contraddittorietà della motivazione – non merita accoglimento.

La censura poggia all’evidenza su una surrettizia interpretazione dei contenuti della decisione impugnata, equivocando e confondendo “la negazione” del difetto, che è riferita dalla Corte di appello al c.d. “vecchio forno”, identificato con quello per cui è causa, con “l’affermazione” di inadeguatezza della struttura, che rappresenta un valutazione espressa dal c.t.u. Z. “valorizzando le prove ottenute su un diverso modello di forno definito nuovo”, non condivisa dalla Corte di appello, per essere stata formulata sulla base di dati completamente inattendibili e, cioè, in relazione a un forno diverso da quello per cui è causa e con riferimento ad una dinamica dei fatti diversa da quella descritta dall’attrice.

In conclusione il ricorso principale va rigettato.

6. Passando al ricorso incidentale della Candy, si rileva che con l’unico motivo la società denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (art. 360 c.p.c., n. 3), articolando quesito di diritto in ordine all’esigenza di motivazione dei “giusti motivi” della statuizione di compensazione nella formulazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, successiva alla L. n. 263 del 2005.

6.1. Il ricorso incidentale non è preceduto dalla sommaria esposizione del fatto.

Orbene è inammissibile il ricorso incidentale, contenuto in un controricorso, il quale si limiti ad un mero rinvio all’esposizione del fatto contenuta nel ricorso principale; eo magis quello il quale si limiti, come nel caso all’esame, a dare atto della proposizione in via principale dell’avverso ricorso. Invero, considerata l’autonomia del ricorso incidentale rispetto a quello principale, il combinato disposto dell’art. 371 c.p.c., comma 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, impone, come necessaria, la sussistenza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa alla cui mancanza è equiparata l’insufficienza della stessa (Cass. 20 giugno 2008, n. 16809).

Il ricorso incidentale della Candy va, dunque, dichiarato inammissibile.

7. Passando al ricorso incidentale della *******, si rileva che con l’unico motivo di ricorso la società denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè illogicità della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in punto di compensazione delle spese di lite. Il motivo si conclude con un quesito di diritto, sul punto della ritenuta genericità dell’espressione “complessità dell’indagine” adoperata dalla Corte di appello per giustificare la compensazione delle spese dei due gradi, chiedendosi a questa Corte di affermare il principio che “i giusti motivi” di cui all’art. 92 c.p.c., devono consistere in “motivi specifici, concretamente riscontrabili”.

7.1. Va premesso che la normativa di riferimento va individuata, avuto riguardo alla data della citazione introduttiva del giudizio, nell’art. 92 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche introdotte per i processi iniziati dopo il 1 marzo 2006 dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), e, quindi, anche alle ulteriori modifiche apportate, per i processi iniziati dopo il 4 luglio 2009, dalla L. 28 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11.

Ciò precisato, si osserva che sussiste violazione del principio della soccombenza, di cui all’articolo 91 cod. proc. civ. – denunciabile in sede di legittimità sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, – solo nell’ipotesi in cui le spese di causa siano state poste, da parte del giudice del merito, interamente (o, eventualmente, anche parzialmente) a carico della parte che risulti totalmente vittoriosa. Ne deriva, pertanto, che qualora il giudice d’appello, lungi dal porre – anche solo parzialmente – le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vincitrice, si sia limitato a disporre la compensazione delle spese stesse, la denunciata violazione di legge non sussiste (Cass. 9 dicembre 2003, n.18744). Invero la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della sussistenza di giusti motivi. Inoltre, sebbene il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), debba trovare un adeguato supporto motivazionale, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24531).

Nella specie la disposta compensazione delle spese processuali, espressione di un potere discrezionale dalla legge attribuito all’organo giudiziario procedente, è fornita di un adeguato supporto motivazionale (per avere la Corte territoriale ravvisato i giusti motivi di compensazione, in ragioni analoghe a quelle già evidenziate dal Tribunale “in relazione alla complessità dell’indagine”), risultando, pertanto, la relativa statuizione incensurabile. Peraltro il motivo, pur contenendo una duplice censura di violazione di legge e vizio motivazione, non contiene il necessario momento di sintesi (“la chiara indicazione”) richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorso incidentale della ******************* va, dunque, rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità, attesa la reciproca soccombenza, sono interamente compensate nei rapporti tra la ricorrente principale e le ricorrenti incidentali; per il resto seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, e di quanto precisato sub 1.1. sulla posizione dell’Axa Assicurazioni s.p.a..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e quello incidentale della ******************* s.n.c.; dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Candy Elettrodomestici s.r.l.; compensa interamente le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra la ricorrente principale e le suddette ricorrenti incidentali; condanna la ricorrente principale al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore della Sabaf s.p.a. in Euro 12.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), in favore della ************************ s.a.s. in Euro 12.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) e in favore della Axa Assicurazioni s.p.a. in Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre, per ognuna, accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013.

Redazione