Maga che predice mali che solo lei può curare a fronte di cospicue elargizioni: è una truffatrice (Cass. pen. n. 42445/2012)

Redazione 31/10/12
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 15/12/2011, la Corte di appello di Catanzaro, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Castrovillari, in data 26/2/2009, che aveva condannato A.F. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro. 600,00 di multa per i reati di truffa e tentata estorsione in danno di tre differenti soggetti.
2. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputata in ordine ai reati a lei ascritti, ed equa la pena inflitta.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputata per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando cinque motivi di gravame.
3.1 Con il primo motivo deduce violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all’art. 420 ter cod. proc. pen.. Al riguardo si duole che illegittimamente la Corte d’appello, all’udienza del 15/12/2011, abbia respinto l’istanza di differimento dell’udienza per legittimo impedimento a comparire dell’imputata, disattendendo un certificato medico, attestante che l’A. era affetta da “faringo tracheite febbrile”.
3.2 Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 82 cod. proc. pen. dolendosi che la Corte d’appello abbia confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, sebbene la costituzione di parte civile dovesse considerarsi revocata per la mancata partecipazione al giudizio d’appello.
3.3 Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 640 cod. pen. e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che l’attività di chiromante, mago, occultista, guaritore o sensitivo deve ritenersi lecita per l’ordinamento giuridico poiché non esistono norme imperative che ne vietano l’esercizio. Assume che l’imputata ha agito in buona fede in quanto lei stessa credeva nell’arte magica e nell’efficacia delle pratiche e dei riti che proponeva, mentre le parti offese non presentavano caratteri di fragilità o di debolezza o di facile suggestionabilità, per cui il contratto stipulato fra le parti rientrava nell’autonomia negoziale. Si duole, inoltre, che la Corte d’appello abbia ritenuto irrilevanti le doglianze della difesa in ordine all’entità del danno subito dalle parti offese, eccependo che l’accertamento del danno costituisce elemento essenziale per integrare il reato di truffa. Eccepisce inoltre che la Corte territoriale, nel prendere atto che la persona offesa, P.P. , aveva versato all’imputata la somma di complessivi Euro 17.150,00 non ha tenuto conto del fatto che tali somme sono state utilizzate dal l’imputata per l’acquisto del materiale necessario per l’esecuzione dei riti magici e per il pagamento delle prestazioni rese da altri soggetti, fra cui “B. ” ed il “(omissis) “. In conclusione eccepisce che nei fatti contestati non ricorrono gli estremi del reato di truffa.
3.4 Con il quarto motivo eccepisce violazione di legge, in relazione agli artt. 56 – 629 e vizio della motivazione sul punto. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie non è ipotizzabile il reato di estorsione (tentata) per difetto dell’elemento oggettivo della violenza o minaccia, in quanto dalle intercettazioni telefoniche non emergono frasi minacciose o idonee ad incutere timore ed a coartare la volontà delle vittime.
3.5 Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 133 cod. pen. e vizio della motivazione sul punto, dolendosi del trattamento sanzionatorio ed eccependo che la pena finale avrebbe dovuto essere contenuta nei limiti della sospensione condizionale.

 

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione
2. Per quanto riguarda il primo motivo, la censura è infondata. Legittimamente la Corte ha ritenuto che il certificato medico prodotto dalla difesa non documentasse quell’assoluta impossibilità a comparire dell’imputata, richiesta dall’art. 420, 2 comma, cod. proc. pen. perché venga disposto il rinvio ad una nuova udienza. A questo riguardo questa Corte ha statuito che è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito non accolga una richiesta di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire, documentato da un certificato medico che si limiti ad attestare l’infermità (nella specie, faringo tracheite) con esiti febbrili e la prognosi, senza indicare il grado della febbre, essenziale alla valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 20811 del 12/05/2010 Ud. (dep. 03/06/2010 ) Rv. 247348).
3. Per quanto riguarda il secondo motivo con cui la ricorrente si duole che la Corte abbia confermato le statuizioni civili, pur non avendo le parti civili partecipato al giudizio d’appello, la censura è infondata. Com’è noto nel processo penale vige il principio c.d. di “immanenza” della costituzione di parte civile normativamente previsto dall’art. 76 c.p.p., comma 2, secondo cui la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo. Da questo principio deriva che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, che debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio (anche straordinari; per es. nel giudizio di revisione) anche se non impugnante e che non occorra per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione. Parimenti l’immanenza rimane ferma anche nel caso di mutamento delle posizioni soggettive (per es. morte o raggiungimento della maggiore età) o di vicende inerenti la procura alle liti o la difesa tecnica (per es. l’abbandono della difesa).
Corollario di questo principio generale è che l’immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita – previsti dell’art. 82 c.p.p., comma 2, nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell’azione davanti al giudice civile – non possono essere estesi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma indicata (in questo senso v., per quanto riguarda la mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di appello, Cass. sez. 5^, 8 febbraio 2006 n. 12959, ***, rv. 234536, in un caso in cui l’impugnazione era stata proposta dalla medesima parte civile; sez. VI, 6 maggio 2003 n. 25723, ********, rv. 225576; sez. I, 12 maggio 1998 n. 9731, ******, rv. 211323). Di conseguenza legittimamente la Corte d’appello ha confermato le statuizioni civili emesse in primo grado.
4. Sono inammissibili, per manifesta infondatezza, sono le censure sollevate con il terzo motivo in punto di requisiti della condotta punibile per il reato di truffa. Secondo la lezione di questa Corte, infatti, integra il reato di truffa aggravata, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario di gravi malattie e le induca in errore, procurandosi un ingiusto profitto con loro danno, facendo credere di poterle guarire o di poterle preservare con esorcismi o pratiche magiche o con la somministrazione e prescrizione di sostanze asseritamente terapeutiche (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1862 del 19/12/2005 Ud. (dep. 18/01/2006) Rv. 233361; Sez. 2, Sentenza n. 1910 del 20/12/2004 Ud. (dep. 21/01/2005) Rv. 230694). Nel caso di specie la condotta attribuita all’imputata è consistita proprio nell’ingenerare nelle tre persone offese la convinzione che gravi pericoli gravano su sé stesse o sulla loro famiglia; pericoli che potevano essere scongiurati solo con i rituali magici da essa praticati. In tal modo l’imputata ha indotto in errore le persone offese, procurandosi l’ingiusto profitto delle somme elargite dalle vittime, con pari danno per le stesse. Pertanto la condotta attribuita all’imputata integra gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di truffa.
5. Sono fondate, invece, le censure sollevate con il quarto motivo di ricorso, con il quale si contesta la sussistenza del requisito oggettivo della violenza o minaccia, con riferimento all’imputazione di tentata estorsione. In punto di diritto è necessario perimetrale i confini fra il reato di truffa, commesso ingenerando il timore di un pericolo immaginario ed il reato di estorsione, la cui condotta postula il ricorso a minacce, anche larvate, di pericoli non immaginari.
Al riguardo questa Corte ha statuito che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, allorquando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva del soggetto passivo: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta in modo che l’offeso non è coartato nella sua volontà, ma si determina alla prestazione costituente l’ingiusto profitto dell’agente perché tratto in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera dei reo o di altri, onde l’offeso è posto nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26272 del 21/05/2001 Ud. (dep. 27/06/2001) Rv. 219943; Sez. 2, Sentenza n. 21537 del 06/05/2008 Ud. (dep. 28/05/2008) Rv. 240108). Nel caso di specie le condotte minacciose attribuite all’imputata, non differiscono dalle condotte con le quali è stato ingenerato nelle persone offese il timore di mali immaginari, evitabili soltanto con il ricorso alle esose pratiche magiche praticate dall’imputata. Di conseguenza tali condotte non possono integrare il reato di estorsione, ma rimangono assorbite nei reati di truffa per i quali è stata accertata la penale responsabilità dell’imputata. Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata con riferimento ai reati di tentata estorsione perché i fatti sono assorbiti dalla truffa, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro per nuova determinazione della pena in ordine alle imputazioni di truffa, per le quali la condanna è passata in giudicato.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per i reati di estorsione tentata perche assorbiti nei reati di truffa, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro per nuova determinazione della pena, in ordine ai residui reati. Rigetta nel resto.

Redazione