Lottizzazione abusiva (Cass. pen., n. 37383/2013)

Redazione 12/09/13
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RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Genova, con sentenza del 12.4.2012 ha riformato la decisione in data 30.11.2010 del Tribunale di Savona – Sezione Distaccata di Albenga, appellata dagli imputati D.G. e V..S. e dal Pubblico Ministero nei loro confronti, nonché dagli imputati B..C. e B.G. , dichiarando non doversi procedere nei confronti del D. e del S. per il reato di cui al capo b) dell’imputazione (delitto di cui agli artt. 81, commi 1 e 2, 483, 56, 48 e 479 cod. pen.), per i fatti in data 25.11.2003 e 24.3.2004, perché estinti per prescrizione, assolvendoli dal medesimo reato, contestato come commesso il 19.12.2005, per insussistenza del fatto e dichiarando tutti gli imputati colpevoli del reato contestato al capo a) dell’imputazione (violazione degli artt. 110 cod. pen. e 44, lett. c) d.P.R. 380/01).

La riformata decisione di primo grado aveva, invece, riconosciuto il D. ed il S. responsabili dei reati contestati al capo b) della rubrica ed assolto per insussistenza del fatto tutti gli imputati dal reato contestato al capo a).

Di tale ultima imputazione – concernente un intervento di lottizzazione abusiva, eseguito in comune di Alassio, attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare con destinazione d’uso ad attività alberghiera e insegna “(omissis)” ed esecuzione di opere finalizzate alla realizzazione di 23 appartamenti indipendenti e 3 attività commerciali indipendenti, 1 locale ad uso magazzino e 1 tettoia in luogo delle 62 camere di albergo preesistenti e con modifica dell’originaria destinazione d’uso in quella residenziale – il D. veniva chiamato a rispondere nella sua qualità di legale rappresentante della “Lira s.r.l.”, committente dei lavori e proprietaria dell’immobile, il B. quale direttore dei lavori, il C. quale assuntore dei lavori ed il S. quale tecnico incaricato del frazionamento catastale.

Avverso tale pronuncia il D. ed il S. propongono separati ricorsi per cassazione, mentre il B. ed il C. presentano ricorso congiuntamente.

2. G..D. deduce, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge, rilevando che la pretesa condotta lottizzatoria non si sarebbe perfezionata, in quanto l’attività di trasformazione del complesso immobiliare per la realizzazione di unità residenziali autonome sarebbe stata soltanto iniziata, senza neppure raggiungere il minimo livello di definizione necessario per il conseguimento del condono edilizio, come sostenuto dalla pubblica accusa nell’ipotizzare il falso di cui al capo b) della rubrica.

Non essendo ipotizzabile, con riferimento alla fattispecie contravvenzionale, il tentativo, che l’art. 56 cod. pen. riserva ai soli delitti, osserva che, ricorrendone i presupposti, sarebbe semmai configurabile un abuso edilizio ordinario, sanzionato meno gravemente.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, affermando che le condotte poste in essere non sarebbero comunque idonee a concretare la lottizzazione abusiva, in quanto l’intervento di trasformazione dell’immobile ad uso residenziale non sarebbe assoggettato a strumentazione attuativa e ricadrebbe in area urbana già totalmente edificata ed avente, nel piano urbanistico, destinazione residenziale.

Aggiunge che la Corte territoriale non avrebbe comunque specificato in base a quali elementi potrebbe, nella fattispecie, affermarsi che il cambio di destinazione d’uso dell’immobile abbia comportato la necessità di incrementare le opere di urbanizzazione.

Rileva, inoltre, che la destinazione residenziale della zona ove insiste l’immobile renderebbe evidente l’assenza di incidenza sul carico urbanistico per la trasformazione della struttura alberghiera valorizzato nell’impugnata decisione e che, in ogni caso, una tale eventualità potrebbe configurare la lottizzazione abusiva soltanto nel caso in cui la condotta contestata richieda con certezza la previa approvazione di un piano di lottizzazione, la cui obbligatorietà, per espressa previsione della legge regionale, deve in Liguria essere sancita dai piani urbanistici comunali.

Assume inoltre, in via subordinata, come l’intervento edilizio in esame non fosse comunque tale da configurare un rilevante aumento del carico insediativo, così da integrare la fattispecie del reato lottizzatorio e ciò in considerazione della destinazione residenziale della zona ove insiste il manufatto.

Tali circostanze sarebbero state ignorate dalla Corte territoriale, la quale avrebbe posto in evidenza la sola necessità di opere di urbanizzazione essenzialmente consistenti nella realizzazione di adeguate zone di parcheggio, circostanza che il ricorrente qualifica quale mera congettura, fondata sull’assunto che l’albergo comporterebbe condizioni di tutto esaurito solo transitorie, diversamente dalle residenze private, che implicano la stabile presenza di nuclei familiari, situazione peraltro non sempre rinvenibile nel caso di condomini adibiti a seconde case in località turistiche, quale è Alassio.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta la carenza di motivazione in relazione agli aspetti segnalati nel precedente motivo, che la Corte del merito non avrebbe considerato, senza peraltro confutare le ragioni poste a sostegno della sentenza del primo giudice, rispetto alla quale i giudici del gravame si sarebbero limitati a rilevare l’allontanamento dall’orientamento espresso da una parte rilevante della giurisprudenza di legittimità ed amministrativa, senza tuttavia indicare le ragioni per le quali una simile scelta dovesse essere censurata.

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena da parte della Corte territoriale, diversamente da quanto effettuato dal primo giudice, che le aveva invece concesse nel condannare l’imputato per il reato contestato al capo b).

6. B..C. e G..B. formulano i primi tre motivi di ricorso in termini perfettamente coincidenti a quelli posti a sostegno del ricorso presentato nell’interesse del D. e, quanto al quarto motivo di ricorso, lamentano anch’essi il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.

7. V..S. deduce, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge rilevando, con argomentazioni non dissimili da quelle prospettate dagli altri ricorrenti, che il reato di lottizzazione abusiva non potrebbe dirsi perfezionato in quanto la condotta posta in essere non avrebbe ancora comportato una sostanziale trasformazione dell’immobile; che la lottizzazione non sarebbe neppure ipotizzabile in ragione della destinazione urbanistica dell’area ove insiste la struttura alberghiera, della sua integrale urbanizzazione, nonché della non soggezione a piano urbanistico attuativo e della irrilevanza del conseguente aumento del carico insediativo.

Aggiunge che la Corte territoriale avrebbe comunque errato nel ritenerlo concorrente nel reato,essendosi egli limitato, quale geometra, ad avanzare richiesta di variazione catastale agli uffici competenti, attività funzionale esclusivamente ad integrare la domanda di condono e riguardante, peraltro, opere non ultimate, cosicché dovevano essere individuate solo le unità immobiliari destinate all’uso residenziale, senza il dettaglio delle opere interne e senza specifica planimetria, attraverso un elaborato indicante gli accessi alle aree prive di suddivisione.

Osserva, poi, che si tratterebbe comunque di condotta successiva all’esecuzione degli interventi abusivi e che, in ogni caso, la Corte del merito non avrebbe considerato la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

8. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione con deduzioni fondate sui medesimi argomenti illustrati dagli altri ricorrenti e concernenti la mancata indicazione delle ragioni per i quali la sentenza di primo grado sarebbe censurabile per essersi discostata da uno specifico orientamento giurisprudenziale, aggiungendo, tuttavia, che la sentenza impugnata non presenterebbe alcuno specifico riferimento alla sua persona, tanto con riferimento alla rilevanza della sua partecipazione ai fatti, quanto ad una sua consapevole adesione all’altrui disegno criminoso.

Tale lacuna motivazionale viene stigmatizzata anche in relazione alla declaratoria di estinzione del reato di falso di cui al capo b) della rubrica per prescrizione, essendosi la Corte del merito limitata ad affermare l’insussistenza di circostanze valutabili ai sensi dell’art. 129 cod. pen..

9. Con un terzo motivo di ricorso lamenta anch’egli, come gli altri ricorrenti, la mancata concessione delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

10. Va in primo luogo rilevata l’infondatezza del primo motivo prospettato in tutti i ricorsi e concernente la questione riguardante il perfezionamento o meno della lottizzazione abusiva in considerazione dello stato delle opere all’atto dell’accertamento.

Deve ricordarsi, a tale proposito, che, in linea generale, la consumazione del reato urbanistico ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e che tale attività, per assumere rilevanza, deve avere, indipendentemente dal tipo ed entità delle opere, un’oggettiva destinazione alla realizzazione di un manufatto, sempreché le opere intraprese, di qualsiasi tipo esse siano e quale che sia lo loro entità, manifestino oggettivamente un’effettiva volontà di realizzare un manufatto.

Sempre in linea generale, con riferimento specifico alla lottizzazione abusiva, va osservato che le diverse modalità con le quali essa può essere attuata inquadrano la contravvenzione in esame come reato a forma libera, permanente e progressivo nell’evento, del quale è inoltre pacifica la natura di reato di pericolo, cosicché la sua lesività non può ritenersi confinata nella sola trasformazione effettiva del territorio ma deve, al contrario, essere riferita alla potenzialità di tale trasformazione intesa come il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata.

La condotta posta in essere assume pertanto rilevanza penale con il compimento di qualsiasi atto che, obiettivamente valutato, risulti funzionalmente diretto alla illegittima lottizzazione.

11. Nel caso in esame tale condotta, che, nella sua materialità, non è oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti, risulta descritta nell’imputazione, ove può rilevarsi che, all’atto dell’accertamento del reato, risultavano eseguiti, nel periodo compreso tra il 10.4.2003 ed il 4.11.2003, “lavori interni di redistribuzione degli spazi, tra cui demolizioni solai, diminuzione servizi igienici, demolizione e spostamento scale e corridoi, individuazione dei locali da destinare a camera o cucina, o altri usi residenziali in ogni singolo appartamento in corso di creazione”.

Tali attività, alle quali vanno aggiunte quelle successive, finalizzate alla esecuzione di ulteriori opere per il medesimo fine ed al conseguimento del condono edilizio mediante false attestazioni e frazionamento catastale, rendono del tutto evidente come la pianificata compromissione delle scelte di destinazione e di uso del territorio da parte degli imputati si trovasse in uno stato avanzato di esecuzione, senza possibilità di equivoci sulle finalità perseguite.

12. Non assume alcun rilievo, a tale proposito, il richiamo alla disciplina del “condono edilizio”, effettuato dai ricorrenti per sottolineare la asserita irrilevanza penale della condotta.

Invero deve farsi riferimento all’art. 31, comma 2 della legge 47U985, il quale stabilisce che, ai soli fini delle disposizioni sul condono, “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.

Lo stato di avanzamento degli interventi accertato nella fattispecie, non corrispondendo alla descrizione appena ricordata entro il limite temporale previsto dalla legge 326/2003 per il conseguimento della sanatoria (31 marzo 2003), consentiva dunque di escludere la condonabilità delle opere, ma non aveva alcun rilievo rispetto alla individuazione del momento consumativo della lottizzazione abusiva.

13. Parimenti irrilevanti, per le ragioni sopra indicate, risultano anche i riferimenti alle ipotesi del tentativo, rispetto alle quali questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi decidendo su analoga censura ed osservando, testualmente, che “poiché il Legislatore ha inteso anticipare la tutela del bene protetto formulando una norma costruita sul modello legale del tentativo, la deduzione difensiva, sulla inapplicabilità di tale istituto alle contravvenzioni, non merita accoglimento” (Sez. Ili n. 27289, 10 luglio 2012, menzionata anche in ricorso).

14. Quanto alle censure prospettate con il secondo motivo di ricorso da D. , C. e B. ed, ancora, nel primo motivo di ricorso dal S. , occorre preliminarmente rilevare che esse attengono a questioni già affrontate da questa Corte nella fase cautelare del presente procedimento penale, con la conseguente formulazione di principi che il Collegio condivide e dai quali non ritiene di doversi discostare.

Da tali principi, che i ricorrenti, pur diffusamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte, semplicemente ignorano, come già rilevato dai giudici del gravame, non può dunque prescindersi, in quanto essi sottraggono rilievo a molte delle questioni prospettate nei motivi di ricorso.

È dunque necessario richiamare quanto in precedenza affermato.

15. Con una prima decisione (Sez. III n. 24096, 13 giugno 2008) premessa una ricostruzione della vicenda processuale e richiamati alcuni principi già affermati in tema di lottizzazione abusiva e di modifica di destinazione d’uso degli immobili, si è affermato che va ritenuto inammissibile il mutamento della destinazione d’uso di un immobile determinante l’alterazione del complessivo assetto del territorio messo a punto con gli strumenti urbanistici, in considerazione del fatto che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni e con l’assegnazione ad ogni singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di servizi. Si aggiungeva, richiamando anche la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato, che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che, nell’ambito delle stesse categorie, possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico – contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria.

Venivano successivamente prese in esame la legislazione della Regione Liguria in materia di destinazione d’uso e le prescrizioni del piano urbanistico comunale del Comune di Alassio che meritano di essere nuovamente richiamate. In particolare, la legge regionale 7 aprile 1995, n. 25, stabilisce, nell’art. 7 che “ai fini della determinazione del contributo (concessorio), gli immobili oggetto di concessione edilizia sono assegnati a una o più delle seguenti categorie funzionali:

a) residenza;

b) ospitalità ricettività alberghiera, all’aria aperta, nonché extralberghiera ai sensi della vigente legislazione in materia;

c) distribuzione al dettaglio;

d) uffici;

e) edifici per l’industria, l’artigianato, la movimentazione e la distribuzione all’ingrosso di merci;

f) autorimesse, rimessaggi, depositi e simili;

g) servizi di uso privato”.

16. Si faceva così rilevare la netta distinzione, nella disposizione riprodotta, tra la categoria funzionale residenziale e quella turistico – alberghiera.

Quanto alle prescrizioni del piano urbanistico comunale del Comune di Alassio, si ricordava che le Norme di attuazione del PUC (approvato con D.P.G.R. n. 81 del 22 maggio 2001) prevedono, all’art. 6, che “Le tipologie funzionali delle destinazioni d’uso, su cui si basa la verifica delle eventuali trasformazioni comportanti modifica di destinazione d’uso sono le seguenti:

RP) Residenza;

RT) Casa per vacanze;

TA) Albergo;

TV) Residenza turistico alberghiera;

TC) Aziende ricettive all’aria aperta;

CO) Commercio;

UD) Uffici e direzionalità;

AI) Artigianato piccola industria depositi;

RA) Destinazione agricola e casa rurale;

PL) Plessi polifunzionali di servizi pubblici o privati;

AU) Autorimesse private o miste”.

17. L’art. 26, comma 3, stabilisce che “le trasformazioni alberghiere sono consentite soltanto con il regime della concessione edilizia convenzionata” e che solo in presenza di determinate circostanze “le trasformazioni alberghiere sono assimilate, sotto il profilo degli oneri di concessione, agli interventi di nuova costruzione. Il progetto di trasformazione dovrà avere i seguenti ulteriori requisiti:

– divieto di incremento di volume e di SLA, anche per motivi tecnologici e igienico-edilizi.

– non più del 80% della SLA totale esistente potrà avere destinazione di casa per vacanze o residenziale (RP).

– possibilità di destinare a uso abitativo con progetti di trasformazione più del 80% della SLA totale esistente solo se venga inserita una quota di edilizia convenzionata destinata alla prima casa, non superiore al 20% del totale della SLA così come risultante dal progetto di trasformazione.

– in caso di destinazione residenziale RP, la tipologia dell’alloggio, per almeno 1/2 del numero degli alloggi, dovrà avere una superficie utile netta superiore ai 60 mq. Non sono comunque ammessi alloggi di superficie inferiore a mq. 38

– le destinazioni accessorie ammesse sono quelle previste per la zona urbanistica di appartenenza”.

18. Veniva poi richiamata la precedente giurisprudenza in tema di mutamento della destinazione d’uso alberghiera e lottizzazione abusiva (nell’ordine: Sez. III n. 6396, 15 febbraio 2007; n. 20661, 4 aprile 2004; n. 10889, 21 marzo 2005; n. 6990, 24 febbraio 2006; 13687, 2 aprile 2007) ricordando come dovesse ormai ritenersi superato un precedente e risalente difforme indirizzo (Sez. III n. 6094, 8 maggio 1991) ed affermando i seguenti principi che vale la pena riprodurre testualmente:

– “può configurare il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d’uso di un complesso alberghiero, realizzata attraverso la vendita di singole unità immobiliari a privati, allorché (indipendentemente dal regime proprietario della struttura) non sussiste una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del contratto di albergo, atteso che in tale ipotesi le singole unità perdono la loro originaria destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale”;

– “si ha lottizzazione abusiva allorquando il frazionamento anzidetto si ponga in contrasto con specifiche previsioni dello strumento urbanistico generale, come ad esempio nel caso in cui detto strumento, nella zona in cui è stato costruito l’albergo, non preveda utilizzabilità diversa da quella turistico-alberghiera”.

– “nel caso in cui lo strumento urbanistico generale consenta una utilizzabilità anche residenziale può configurarsi lottizzazione abusiva sia allorquando il complesso alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni derogatorie (ad esempio a divieti di edificabilità, limitazioni plano-volumetriche, distanze etc.) non estensibili ad immobili residenziali sia allorquando la destinazione d’uso residenziale comporti un incremento degli standard richiesti per l’edificazione alberghiera (con riferimento anche ai parcheggi privati di cui alla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies) e tali standard aggiuntivi non risultino reperibili ovvero reperiti in concreto”

19. Tenuto conto della fattispecie in esame veniva ulteriormente affermato che:

– “il problema della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva -allorquando il bene suddiviso consista non in un terreno inedificato, bensì in un immobile già regolarmente edificato – deve essere affrontato anche alla stregua della legislazione urbanistica regionale in materia di classificazione delle categorie funzionali della destinazione d’uso e correlato precipuamente alle previsioni della pianificazione comunale, alle quali deve essere raffrontata, in termini di compatibilità, la effettuata trasformazione del territorio”;

– “può integrare il reato di lottizzazione abusiva, il mutamento della destinazione d’uso di un immobile che alteri il complessivo assetto del territorio messo a punto attraverso gli strumenti urbanistici, dovendosi considerare, quanto alla individuazione di siffatta alterazione, che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l’assegnazione ad ogni singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di servizi. L’assetto territoriale, pertanto, può essere alterato anche allorché significativamente si incida sulle dotazioni degli standard di zona”.

La richiamata decisione determinava l’annullamento con rinvio dell’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame e la conseguente pronuncia veniva fatta oggetto di ulteriore ricorso per cassazione che la Quarta Sezione Penale di questa Corte rigettava (Sez. IV n. 2382, 11 dicembre 2008).

Anche le successive pronunce di questa Corte hanno confermato i principi dianzi richiamati (v. Sez. III n. 17865, 29 aprile 2009; Sez. III n. 27289, 10 luglio 2012, cit.)

20. Quanto prospettato nelle richiamate decisioni rende evidente la infondatezza del motivo in trattazione.

Come emerge dall’esame della richiamata legislazione regionale e dello strumento urbanistico, la modifica della destinazione d’uso è stata effettuata tra categorie non omogenee che, come si è già detto, vengono tenute nettamente distinte.

A nulla rileva, dunque, la destinazione residenziale dell’area ove insiste il manufatto trasformato e la sua pregressa urbanizzazione, né il contenuto della sentenza 27289/12, che viene richiamata nei ricorsi, si discosta dai suddetti principi che, anzi, ampiamente richiama.

In quella decisione, riguardante un caso analogo a quello in esame, veniva censurato l’operato dei giudici del merito, i quali, pur evidenziando “un principio in astratto plausibile”, non avevano “verificato, nel concreto se le opere di urbanizzazione già esistenti e disponibili fossero sufficienti, in un rapporto di proporzionalità, non solo a soddisfare i bisogni degli abitanti già insediati, ma anche di quelli da insediare”.

Si riteneva dunque mancante un accertamento in fatto che, nel presente procedimento, contrariamente a quanto rilevato dai ricorrenti, è stato effettuato.

21. Infatti, la Corte territoriale ha affermato che la realizzazione dell’intervento edilizio presuppone ulteriori opere di urbanizzazione, in quanto la sua consistenza, per numero di appartamenti ed esercizi commerciali ricavati, pone, quanto meno, il problema di adeguate zone di parcheggio, insistendo il manufatto su una strada di una zona centrale stretta e congestionata e non essendo stata prevista la costruzione anche di garage ed ha operato tale valutazione confrontando le esigenze di una struttura alberghiera, che può presentare situazioni di tutto esaurito soltanto in alcuni periodi dell’anno e quelle di un condominio occupato stabilmente da nuclei familiari e di tre esercizi commerciali.

Tale verifica, effettuata secondo criteri di coerenza e logica, attiene esclusivamente al merito e non può essere sindacata in questa sede di legittimità.

La valutazione risulta, peraltro conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte.

22. Va infatti ricordato quanto specificato sulla nozione di carico urbanistico richiamando i contenuti di una recente pronuncia (Sez. III n. 36104, 5 ottobre 2011 cui si è successivamente conformata Sez. III n. 6599, 17 febbraio 2012).

In tale occasione si è infatti ricordato come le Sezioni Unite (SS. UU. n. 12878, 20 marzo 2003) abbiano chiarito che la nozione di carico urbanistico “…deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2.4.1968 n. 1444 che richiedono l’inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell’esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 L N. 47/1985 e art. 4 comma 7 L. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell’immobile; e) nell’esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 L. n. 47/1985 e art. 4 L 493/1993)”.

Si rammentava anche che, in diverse pronunce, vengono indicate ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto dell’articolo 41-sexies Legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dalle leggi 122/89 e 246/05, che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. III n. 28479, 10 luglio 2009); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. III n. 22866, 13 giugno 2007); l’ulteriore domanda di strutture ed opere collettive e le prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (Sez. III n. 34142, 23 settembre 2005).

Veniva conseguentemente affermato il principio secondo il quale l’incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico deve essere considerata con riferimento all’aspetto strutturale e funzionale dell’opera ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione della originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o alla effettiva utilizzazione tale da determinare un mutamento dell’insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 1444/68.

23. Dunque l’accertamento effettuato dai giudici del gravame appare congruo e caratterizzato da elementi di concretezza e non fondato su mere congetture come ipotizzato in ricorso, ben potendosi ricavare il dato obiettivo dell’incidenza sul carico insediativo mediante il confronto tra la situazione antecedente all’intervento edilizio e quella determinata dalla realizzazione dello stesso attraverso la verifica dell’ulteriore necessità di strutture ed opere collettive in base ad una stima da effettuarsi, come si è detto, tenendo conto della consistenza dell’immobile e della sua successiva destinazione.

24. Quanto al terzo motivo di ricorso di D. , C. e B. va rilevato che le ragioni dianzi esposte evidenziano l’insussistenza della lamentata lacuna motivazionale.

La Corte del merito si è infatti confrontata tanto con gli atti di impugnazione che con la pronuncia del giudice di prime cure, richiamando le censure mosse dal Pubblico Ministero con l’atto di appello in precedenza diffusamente illustrate. Peraltro, la illustrazione delle ragioni poste a sostegno della decisione ed i richiami alla giurisprudenza di questa Corte costituiscono sufficiente confutazione delle considerazioni del primo giudice, che riguarda non già la valutazione degli elementi di prova quanto, più semplicemente, la riconducibilità della condotta materialmente posta in essere dagli imputati, che non è oggetto di contestazione, alla fattispecie astratta della lottizzazione abusiva.

25. Altrettanto deve dirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso del S. .

Va ricordato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha specificato che il reato di lottizzazione abusiva nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell’illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo (così, testualmente, Sez. III n. 25968, 7 ottobre 2010. V. anche Sez. III n. 48924, 21 dicembre 2009,; Sez. III n. 39078, 8 ottobre 2009; Sez. III n. 36844, 22 settembre 2009; Sez. III n. 17865, 29 aprile 2009, tutte richiamate nella medesima decisione).

26. Alla luce di tale principio, che il Collegio pienamente condivide, va osservato che la condotta posta in essere dall’imputato risulta dettagliatamente descritta nell’imputazione ed il suo concretizzarsi non è stato oggetto di censura, essendosi il ricorrente limitato ad evidenziare come la stessa, essendo intervenuta dopo la trasformazione dell’edificio, non assumerebbe rilievo penale.

Va tuttavia osservato che la predisposizione, da parte di soggetto professionalmente qualificato, di un frazionamento catastale con il quale si dichiara falsamente l’avvenuta realizzazione di 30 unità immobiliari autonome e la sua presentazione nei competenti uffici comunali ad integrazione della documentazione predisposta (anch’essa corredata da dichiarazioni false) per l’ottenimento del condono evidenzia la fattiva partecipazione all’intento lottizzatorio al pari degli altri concorrenti, all’attività dei quali egli fornisce un consistente e concreto contributo causale.

Quanto alla declaratoria di prescrizione dei reati, si ricorda che, in presenza di una causa di estinzione del reato quale è la prescrizione, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione e, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento (SS.UU. n. 35490, 15 settembre 2009).

27. Per ciò che riguarda, infine, il quarto motivo di ricorso da D. , C. e B. ed il terzo motivo di ricorso dal S. , deve rilevarsi che la Corte territoriale ha specificamente indicato le ragioni poste a sostegno del diniego delle attenuanti generiche, indicandole nell’assenza di positivi elementi di valutazione e nella obiettiva gravità della condotta, che ha differenziato da quella considerata dal primo giudice con riferimento ai diversi reati.

Peraltro il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. II n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. VI n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. VI n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. VI n. 7707, 4 dicembre 2003).

28. Per quanto riguarda, invece, la sospensione condizionale della pena, deve rilevarsi che la stessa, effettivamente, era stata concessa dal primo giudice al D. ed al S. . Risulta, inoltre, dalla illustrazione delle conclusioni delle parti nella decisione di primo grado che, all’esito del quale il C. ed il B. vennero assolti, che i loro difensori richiesero il beneficio.

Sul punto la Corte territoriale non si è pronunciata in alcun modo.

Ritiene il Collegio che, in presenza di un beneficio già riconosciuto dal primo giudice al D. ed al S. , seppure con riferimento ad altro reato, la Corte del merito avrebbe dovuto comunque giustificare una diversa valutazione indicando le ragioni per le quali le condizioni di concedibilità della sospensione si ritengono venute meno, mentre, per ciò che riguarda il C. ed il B. deve riconoscersi l’applicabilità del principio espresso dalla giurisprudenza decisamente prevalente, secondo il quale, nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, su impugnazione del Pubblico Ministero, riformi la sentenza assolutoria di primo grado pronunciando condanna dell’imputato, deve motivare, pur in assenza di specifiche deduzioni di parte (che, nella fattispecie, non mancano) circa l’eventuale, omessa, concessione della sospensione condizionale della pena o di altri analoghi benefici (Sez. VI n. 14758, 28 marzo 2013, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti conformi).

Ciò comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla concessione del beneficio richiesto e non concesso dalla Corte del merito, con l’ulteriore precisazione che il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto della concedibilità della sospensione condizionale della pena nei confronti di tutti gli imputati con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.

Rigetta nel resto i ricorsi.

Redazione