Locazione: si può sfrattare l’inquilino dopo la data che ha indicato di recesso (Cass. n. 18167/2012)

Redazione 23/10/12
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Cass. civ-. sez. III, 23 ottobre 2012, n. 18167 – pres. **********

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l. – Con sentenza in data l0 dicembre 2003 il Tribunale di Milano accolse l’opposizione proposta dalla C. F. S.r.l. al decreto ingiuntivo per canoni e spese di locazione intimatole dalla D. S.a.s. di ***** & C. stabilendo che il contratto di locazione era scaduto a seguito della disdetta della conduttrice e, revocato il decreto ingiuntivo, compenso l’ammontare del deposito cauzionale con quanto dovuto per l’occupazione dell’immobile nel mese di luglio 2001.
2. – Con sentenza in data 31 gennaio – 21 marzo 2007 la Corte d’Appello di Milano, respinse il gravame proposto da G. C. quale cessionario del credito della D.
La Corte territoriale osservò per quanto interessa: con raccomandata 1 dicembre 2000 la conduttrice aveva comunicato l’intenzione di recedere dal contratto e fin dal mese di aprile la locatrice era stata informata che il rilascio sarebbe avvenuto entro il l2 luglio 2001, tanto che già nei mesi di febbraio, aprile e giugno l’immobile era stato visitato da terzi interessati alla locazione accompagnati da personale dell’agenzia cui la proprietà, che nulla aveva contestato, aveva conferito mandato; in tal modo l’art. 27 legge 392/1998 era stato rispettato dalla conduttrice; correttamente era stata disposta la compensazione dei rispettivi crediti, considerato che l’obbligazione restitutoria del deposito discende dal rilascio.
3.- Avverso la suddetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati con successiva memoria.
La C. F. ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

1.1.- Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, comma 7 legge 27 luglio 1978, n. 392 attesa la ritenuta superfluitá della indicazione della data in cui il recesso deve avere esecuzione e l’affermata facoltà del conduttore di comunicarla anche successivamente all’invio della relativa comunicazione priva di tale indicazione.
In buona sostanza, il ricorrente, facendo leva anche sulla lettera della norma, assume che, ai fini della validità ed efficacia del recesso convenzionale, occorre che la relativa comunicazione specifichi la data in cui il recesso avrà esecuzione.
1.2. – Le argomentazioni addotte a sostegno della censura e il quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, applicabile alla specie ratione temporis, prescindono totalmente dalla motivazione con cui la Corte territoriale ha rigettato il corrispondente motivo di appello, per cui la censura risulta aspecifica.
Nella parte espositiva sono state sintetizzate le ragioni addotte a sostegno della decisione censurata. La Corte territoriale ha ritenuto che la norma sia stata
sostanzialmente rispettata poichè la locatrice era stata tempestivamente informata della volontà di recesso della controparte, non aveva eccepito la genericità della comunicazione e, anzi, aveva incaricato un’agenzia immobiliare di reperire altro conduttore, la conduttrice aveva successivamente indicato la data del rilascio nel 12 luglio 200l, la norma stabilisce un termine minimo di sei mesi, per cui il rilascio può avvenire anche oltre detto termine.
Con la censura in esame il ricorrente si limita a riproporre la propria tesi senza addurre argomentazioni idonee a contrastare quelle della sentenza.
D’altra parte questa stessa sezione ha gia avuto modo di precisare (Cass. Sez. III, n. 831 del 2007) che, in tema di locazione di immobili urbani, qualora le parti abbiano
previsto, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, la facoltà del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, l’avviso di recesso diretto dal conduttore al locatore, che indichi un termine inferiore a quello convenzionalmente stabilito dalle parti stesse o inferiore a quello minimo fissato dalla legge, conserva validità ed efficacia ma il termine di esecuzione deve essere ricondotto a quello convenzionalmente pattuito o a quello minimo semestrale fissato dalla legge.
Per regioni di completezze si rileva che il ritardato rilascio rispetto alle date indicate, può essere fatto valere sotto altri profili, ma non invalida il recesso.
2.1.- Il secondo motivo lamenta omessa e insufficiente motivazione in ordine e fatto controversi e decisivi per le decisione delle cause.
Al fine di sostenere le proprie tesi, il ricorrente riferisce le risultanze processuali per dimostrarne le concludenze a proprio favore.
2.2.- La censura è inammissibile poichè il vizio denunciato (motivazione omessa e insufficiente) è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalle sentenze stesse impugnate emerge la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulle scorte degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanze di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla nature e alla finalità del giudizio di cessazione; in ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 2272 del 2007).
La censura in esame mira, appunto, ad una valutazione diversa delle risultanze processuali ed è priva del momento di sintesi imposto dall’art. 366-bis c.p.c. e necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare in quali patti e per quali ragioni la motivazione della sentenza sia, rispettivamente, omessa e insufficiente.
3.- Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi €. 2.700,00, di cui €. 2.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Roma 27.9.20l2.

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