Licenziamento: retroattiva la Riforma Fornero rispetto al Collegato Lavoro (Cass. n. 5406/2013)

Redazione 05/03/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 18 aprile 2007, la Corte d’appello di Roma dichiarava la nullità del contratto a tempo determinato stipulato tra D. G. e la società Poste Italiane in data 1° dicembre 1999 e motivato dalle esigenze eccezionali conseguenti i processi riorganizzativi di cui all’artt. 8 del c.c.n.l. di categoria del 1994, dichiarando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla suddetta data, condannando la società Poste al pagamento, a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (14 ottobre 2002), nei limiti di un triennio dalla cessazione di fatto del rapporto e quindi sino al 31 gennaio 2003.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso sia il G. con nove motivi, poi illustrati con memoria, sia la società Poste, con tre motivi di censura.
Entrambi gli intimati resistono con controricorso.

Motivi della decisione

I ricorsi avverso la medesima sentenza debbono riunirsi ex art. 335 c.p.c.
Applicandosi l’art. 333 cod. proc. civ. anche al ricorso per cassazione, deve rilevarsi che, essendo stato il ricorso della società Poste proposto successivamente alla notifica del ricorso avversario, esso deve qualificarsi ricorso incidentale (Cass. 8 marzo 2006 n. 4980).
1. Per ragioni di priorità logica, deve esaminarsi in primo luogo il ricorso della società Poste. Essa, con i primi due motivi, denuncia la violazione dell’art. 23 della L. n. 56/87; dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, nonché dei successivi accordi intervenuti in materia, in relazione agli artt. 1362 e segg. c.c. Denuncia inoltre una omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, lamentando in sostanza una erronea od insufficientemente motivata individuazione della volontà delle parti collettive di fissare alla data del 30 aprile 1998 il termine finale di efficacia della disciplina contrattuale delegata in base all’art. 23 L. n. 56/87.
Lamenta che la Corte di merito, in contrasto con le norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la delega contenuta nel citato art. 23, le parti sociali erano libere di individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicché le pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale, e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo determinato.
Lamenta inoltre che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino all’entrata in vigore del d.lgs n. 368 dei 2001, poteva essere imposto alle pattuizioni sindacali delegate.
2. I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.
La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto le pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato ex art. 23 L. n. 56 del 1987, soggette ai requisiti di cui all’art. 1 L. n. 230 del 1962, ma solo che esse avessero inteso prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi.
L’assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva ed in linea col consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis; Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n.1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), secondo cui dall’esame dei vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998.
3.- Il terzo motivo di censura, denunziante la violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c. e l’erronea condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla data dell’asserita messa in mora, risulta assorbito dall’accoglimento del ricorso avversario e dalle considerazioni ivi svolte.
4.- Con i nove motivi di censura il G. si duole, sotto vari profili, della limitazione della misura risarcitoria e/o retributiva, conseguente l’accertata nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro stipulato tra le parti, al triennio dalla cessazione di fatto del rapporto, e di fatto pari a 3,5 mensilità di retribuzione.
5. -Il ricorso è fondato nei sensi di cui alla presente motivazione.
Esso infatti investe direttamente le conseguenze economiche derivanti dall’accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ormai disciplinate dallo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010, dichiarato costituzionalmente legittimo da C. Cost. 11 novembre 2011 n. 303.
Tali norme stabiliscono che (comma 5): Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Comma 6: In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
Comma 7: Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’articolo 421 del codice di procedura civile.
L’art. 1, comma 13, della L. 28 giugno 2012 n. 92 ha poi stabilito che “La disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta
nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza dei termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Trattandosi di interpretazione autentica, anche tale norma è evidentemente retroattiva.
6.- Va dunque accolto il ricorso proposto dal G. rigettati i primi due motivi del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, il quale provvederà alla quantificazione del dovuto in base al citato ius superveniens, oltre che alla liquidazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale (contrassegnato dal NRG 10802/08) e rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale proposto dalla società Poste Italiane (contrassegnato dal NRG 11581/08) e dichiara assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2012

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