Motivi del licenziamento collettivo (Cass., n. 18094/2013)

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Massima

In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, della L. 223/1991, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione

 

1. Questione

Il lavoratore ha chiesto al giudice di primo grado che venisse accertata la nullità, l’inefficacia o l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società per riduzione di personale, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300/70.

Il Tribunale ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello della società, è stata confermata dalla Corte d’appello, che ha ritenuto, per quanto qui interessa, che, pur richiamando i criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223/91, la società, nella comunicazione di chiusura della procedura, avesse introdotto una rilevante deroga a tali criteri, dando “priorità assoluta” al possesso di uno specifico titolo di studio (laurea in giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio), e adottando così un criterio non previsto dalla legge e tale da consentire di prescindere del tutto dalla posizione in graduatoria e di determinare, appunto “in via di priorità assoluta”, i dipendenti da mantenere in servizio nell’ambito di una determinata categoria – la categoria D – del personale amministrativo, alla quale apparteneva pure l’appellato. Peraltro, secondo il giudice del merito, l’illegittimità del licenziamento derivava anche dalla incompletezza e dalla inadeguatezza delle indicazioni contenute nella comunicazione di avvio della procedura, sia in ordine alla impossibilità del ricorso a rimedi alternativi al licenziamento sia in ordine alla compiuta enunciazione delle ragioni che determinavano la situazione di eccedenza.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società, che è stato rigettato.

 

2. Licenziamento collettivo: ipotesi e normativa di riferimento

Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell’interpretazione della L. 223/1991, e successive modificazioni (Legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla più recente direttiva 1992/56):

a) come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell’operazione imprenditoriale di “riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l’altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora non sia siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell’art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un’impresa che ha ottenuto l’intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell’art. 4, comma 1);

b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. 223/1991 non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell’attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell’azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874; 21 ottobre 1999, n. 117940);

c) nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale “ingiustificata” non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento);

d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41, commi 2 e 3, Cost., che l’imprenditore sia vincolato non nell’an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, che realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal “nesso di causalità”, ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);

e) ai due livelli descritti, l’uno collettivo-procedurale, l’altro individuale-causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estraneo, come detto, la verifica dell’effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell’imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03; 13182/2003; 9134/2004; 10590/2005; 528/2008), ed il sistema sanzionatorio di cui all’art. 5, cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall’accordo sindacale (annullamento del licenziamento).

 


Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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