Licenziamento illegittimo se la contestazione disciplinare dell’illecito avviene dopo 30 giorni dal fatto contestato (Cass. n. 6716/2013)

Redazione 18/03/13
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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di C.K., proposta nei confronti della società ******, di cui era dipendente, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatole per contraffazione del certificato medico prodotto a giustificazione di un assenza.

La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, poneva a base del decisum il rilevo fondante secondo il quale non era stato rispettato il termine di 30 giorni lavorativi, previsto con effetto decadenziale dal CCNL, tra la data delle giustificazioni e l’esercizio del potere disciplinare. Nè, secondo la Corte del merito, poteva applicarsi la deroga, prevista dalla contrattazione collettiva, a tale termine non essendo comprovato che si trattava di un caso particolarmente complesso. Non risultava, infatti, precisava la Corte distrettuale, alcuna particolare indagine svolta dall’azienda anche dopo le giustificazioni presentate dalla lavoratrice, così come non risultava provata l’allegata esigenza di richiedere un parere legale ad un consulente esterno e la necessità di confrontarsi con l’Autorità giudiziaria che stava indagando su fatti di causa. Nemmeno la complessità della struttura aziendale ed il numero dei dipendenti, secondo la Corte di appello, avuto riguardo al tipo di addebito, giustificava un prolungamento del termine.

Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria. La parte intimata deposita procura speciale.

Motivi della decisione

Con la prima censura la società ricorrente, deducendo nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 324 e 112 c.p.c. nonchè art. 2909 c.c., assume che la Corte di Appello, nonostante fosse stata sollevata specifica deduzione, non considera che non era stato impugnato dalla lavoratrice il capo della sentenza di primo grado con il quale era stata affermata la sussistenza dei presupposti concernenti l’operatività della proroga del termine stabilito dalla contrattazione collettiva entro il quale doveva essere esercitato il potere disciplinare. Sicchè, secondo la società, sul punto, che costituiva accertamento in grado di sorreggere autonomamente la decisione, si era formato il giudicato.

Con la seconda critica la società denuncia vizio di motivazione, violazione dell’art. 65 CCNL Federambiente in relazione agli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c. e nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 324 e 112 c.p.c., nonchè violazione dell’art. 2909 cc. Prospetta, al riguardo, che la Corte del merito:

1. non ha dato alcuna giustificazione della decisione di procedere ad un nuovo esame delle circostanze che giustificavano secondo essa società ed il Tribunale il superamento del termine di decadenza, malgrado non vi fosse alcuna contestazione sul punto da parte della lavoratrice nè in primo grado nè in appello; 2. non ha fornito alcuna motivazione sulla non ammissione dei mezzi istruttori ritualmente riproposti dall’AMA; 3. ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato; 4. non ha tenuto conto della regula iuris sancita dalla Cassazione in tema di tempestività del licenziamento – ed applicabile anche in relazione alla clausola del CCNL, – secondo la quale bisogna aver riguardo alle dimensioni ed alle articolazioni dell’azienda; 5. non ha tenuto conto che l’Amministratore delegato di nuova nomina doveva avere il tempo di “familiarizzare” con la realtà aziendale e le sue procedure.

Con il terzo motivo la società prospetta violazione dell’art. 65 CCNL Federambiente in relazione agli artt. 1362, 1363 e 1264 c.c. nonchè vizio di motivazione circa il numero dei giorni trascorsi tra la contestazione disciplinare ed il licenziamento.

Deduce in proposito che la Corte di Appello, con riferimento al computo del termine, contraddittoriamente prima ha affermato di dover tener conto dei giorni lavorativi dell’organo deputato ad erogare la sanzione e, poi, non ha considerato il periodo di ferie dell’Amministratore delegato incorrendo in tal modo anche nella erronea interpretazione del CCNL. Le censure, che in vanno tratte unitariamente per la loro stretta connessione logico-giuridica, sono infondate.

In primo luogo devesi rilevare che impugnato dalla lavoratrice il capo della sentenza concernente la ritenuta tempestività della intimazione del licenziamento, tale impugnazione ha necessariamente comportato la devoluzione di tutte le questioni relative a siffatta tematica. Correttamente, quindi, la Corte del merito ha valutato tutti gli aspetti del profilo devoluto non potendo non pronunciarsi anche sull’operatività della deroga, contrattualmente prevista, al termine entro il quale doveva essere esercitato il potere disciplinare. Nè sul punto, afferente la operatività della detta deroga, la motivazione della sentenza impugnata è carente o contraddittoria avendo i giudici di appello sottolineato la mancata dimostrazione che si trattava di un caso particolarmente complesso, non essendo risultata alcuna indagine svolta dall’azienda anche dopo le giustificazioni presentate dalla lavoratrice e non essendo provata l’allegata esigenza di richiedere un parere legale ad un consulente esterno e la necessità di confrontarsi con l’Autorità giudiziaria che stava indagando su fatti di causa. Nemmeno la complessità della struttura aziendale ed il numero dei dipendenti, secondo la Corte di appello, avuto riguardo al tipo di addebito, giustificava un prolungamento del termine.

Si tratta, all’evidenza, di una motivazione non solo formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, ma anche giuridicamente corretta perchè in linea con la regula iuris secondo cui il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. (per tutte Cfr. Cass. 20 giugno 2006 n. 14115 e Cass. 1 luglio 2010 n. 15649 dove è ribadito anche che la relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici).

Tanto da conto, inoltre, della non decisività dell’istanza istruttoria diretta a dimostrare le dimensioni della società, in quanto secondo la riportata motivazione della sentenza impugnata la complessità dell’azienda, nel caso di specie, non può di per sè costituire un’ elemento idoneo a giustificare una dilatazione rectius deroga – al termine fissato dalla contrattazione collettiva in via ordinaria, attesa la non complessità del caso nonchè la non dimostrata necessità di specifica indagine o esigenza di richiedere un parere legale ad un consulente esterno ovvero, ancora, necessità di confrontarsi con l’Autorità giudiziaria che stava indagando su fatti di causa.

Nè certamente è condivisibile la tesi sostenuta dalla AMA secondo la quale nel calcolo del termine non sarebbero computabili i giorni in cui l’Amministratore delegato era in ferie. La corretta interpretazione del CCNL, avuto riguardo al tenore letterale della clausola ed alla funzione di garanzia che assolve, difatti, non può che riferirsi ai giorni lavorativi dei lavoratori e non certo a quelli dell’Amministratore delegato.

Sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso, in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, tenuto conto della partecipazione all’orale discussione del difensore della parte intimata, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 1.500 per compensi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 gennaio 2013.

Redazione