Licenziamento: illegittimità del recesso del datore nei confronti del bancario che ha concesso mutui facili (Cass. n. 17257/2012)

Redazione 10/10/12
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a C.D. in data 1.8.2005 e condannato la BANCA alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, con le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Il licenziamento faceva seguito ad una contestazione disciplinare con la quale si addebitava al C., nella sua qualità di direttore responsabile di una filiale di (omissis), di aver deliberato la concessione di una serie di finanziamenti di credito fondiario nel periodo compreso tra il mese di gennaio 2003 e il mese di dicembre 2004 a favore di soggetti non aventi i requisiti di affidabilità bancaria per capacità di reddito o per la presenza di elementi pregiudizievoli a carico, contravvenendo a quanto previsto dalla normativa interna e, in alcuni casi, agendo al di fuori dell’ambito territoriale della filiale.

A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando che, in difetto di prova dell’esistenza di una situazione eccezionale del comparto mutui fondiari o di una peculiare situazione in cui avesse versato la filiale di (omissis), doveva escludersi che tra le attribuzioni del direttore della filiale rientrasse anche quella di ripercorrere pedissequamente l’operato di altri dipendenti, aventi la qualifica di gestore o di responsabile clienti privati, ai quali spettava il compito di verificare il rispetto delle procedure e che pure erano dotati di autonomo potere deliberativo.

Quanto alle varie irregolarità riscontrate nella concessione dei finanziamenti, la Corte d’appello ha rilevato che le anomalie della documentazione relativa alla situazione reddituale dei mutuatali – e che, secondo la lettera di contestazione degli addebiti, non erano state rilevate dal C. – non avevano trovato alcun riscontro obiettivo nella effettiva situazione reddituale dei clienti e che altre irregolarità avevano nella sostanza un rilievo piuttosto marginale – così quella relativa alla concessione di mutui in favore di soggetti non residenti o non operanti nell’area di competenza della filiale – o non erano comunque tali da giustificare la risoluzione del rapporto (così quelle relative alle modalità del prefinanziamento);

relativamente alla valutazione degli immobili sui quali era stata iscritta l’ipoteca, non era stata specificata, poi, la violazione di alcuna norma interna, nè era stato contestato che i periti nominati non fossero iscritti nell’elenco dei periti predisposto dalla BANCA.

Le differenze di valutazione, infine, potevano ben essere collegate alla utilizzazione di un diverso criterio di stima, che non poteva essere sindacato dal direttore della filiale, al quale neppure poteva far carico l’onere di comparare le valutazioni del perito con i listini della camera di commercio.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la BANCA affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso C.D., che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato fondato su un unico motivo.

La BANCA ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cpc.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex art.335 cpc, trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.

1. – Con il PRIMO motivo del ricorso principale si denuncia violazione dell’art. 12 preleggi in relazione agli artt. 2119, 2106 e 2104 cc, nonchè vizio di motivazione, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto il difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata dalla Banca rispetto all’effettiva gravità degli addebiti contestati al dipendente, osservando, in sostanza, che il giudice d’appello sarebbe pervenuto a tali conclusioni aderendo pedissequamente alla sentenza di primo grado e giustificando il proprio convincimento sulla base di considerazioni del tutto personali e nient’affatto pertinenti rispetto alle censure mosse alla sentenza di primo grado.

2. – Con il SECONDO motivo si denuncia violazione dell’art.132 cpc, nonchè vizio di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, individuato nella gravità degli addebiti mossi al lavoratore, anche in considerazione della posizione da lui ricoperta, e nel connesso venir meno del vincolo fiduciario.

3. – Con il ricorso incidentale condizionato si ripropone l’eccezione di tardività della contestazione, non esaminata dal giudice d’appello.

4. – Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente – cfr. ex plurimis Cass. 3865/2008, Cass. 19270/2006, Cass. 7543/2006, Cass. 13883/2004, Cass. 9299/2004, Cass. 4061/2004 – che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui all’art. 2119 cc, l’effettiva gravità del comportamento stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. 1095/2007, Cass. 13983/2000, Cass. 8139/2000, Cass. 6900/2000, Cass. 7834/98, Cass. 1604/98), con l’ulteriore precisazione secondo cui la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all’art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass. 16260/2004, Cass. 5103/98).

E’ stato altresì precisato (Cass. 25743/2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cc, sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 cc).

5. – Questa Corte, in una controversia avente ad oggetto la legittimità del licenziamento disciplinare di un funzionario di banca addetto al settore del credito agrario, al quale erano state mosse contestazioni di contenuto simile a quello di cui si tratta nella fattispecie in esame (cfr. Cass. n. 2013/2012), ha ribadito ancora una volta che spetta al giudice di tenere conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.

6. – Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore con la lettera del 27.6.2005 non fossero di gravità tale da integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento e da giustificare, quindi, l’applicazione della massima sanzione espulsiva, osservando che alcune delle mancanze oggetto della contestazione disciplinare (ed in particolare quelle che riguardavano l’omesso controllo sull’attività degli altri addetti alle operazioni di mutuo fondiario) non avevano trovato riscontro nel contenuto di specifiche prescrizioni aziendali, nè era emersa una situazione del comparto mutui fondiari tale da giustificare, per la sua eccezionalità, l’esercizio di poteri di controllo ancor più penetranti di quelli normalmente demandati al direttore della filiale.

Considerazioni analoghe potevano essere svolte relativamente ai criteri di valutazione degli immobili sui quali era stata iscritta ipoteca a garanzia del mutuo fondiario, mentre le anomalie della documentazione relativa alla situazione reddituale dei mutuatati non avevano trovato alcun riscontro obiettivo nella effettiva situazione reddituale dei clienti (nè la Banca aveva dimostrato che tale situazione fosse realmente diversa da quella rappresentata dalla suddetta documentazione).

Altre irregolarità – come quelle relative alla concessione di mutui in favore di soggetti non residenti o non operanti nell’area di competenza della filiale – avevano, in una valutazione globale dei fatti addebitati al lavoratore, un rilievo piuttosto marginale o non erano comunque tali da giustificare, di per sè, la risoluzione del rapporto (così quelle relative alle modalità del prefinanziamento).

7. – In definitiva, secondo il giudizio espresso dalla Corte territoriale, le mancanze ascritte al lavoratore, ricondotte alla loro effettiva consistenza, denotavano un “indubbio disordine nella attività di gestione delle pratiche di mutuo” e, in ultima analisi, una “inadeguatezza della attività del C. sotto il profilo del risultato”, ma non erano certamente tali da giustificare la sanzione del licenziamento, sanzione che, in una valutazione complessiva della condotta del lavoratore, appariva senz’altro sproporzionata rispetto al grado di responsabilità che esprimevano i fatti come realmente accertati.

8. – La valutazione operata dalla Corte territoriale è conforme ai principi enunciati da questa Corte (e sopra ricordati) in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento.

Il giudizio espresso dai giudici di appello non è stato, del resto, sottoposto a specifiche censure idonee ad evidenziare la non coerenza del predetto giudizio agli “standards” di valutazione esistenti nella realtà sociale, essendosi la ricorrente, in realtà, limitata a ripercorrere la valutazione di merito ed a contrapporre ad essa la propria diversa valutazione sulla base di argomentazioni che appaiono inerenti, peraltro, ad una valutazione in astratto dei singoli addebiti piuttosto che ad una concreta contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito.

Quanto all’apprezzamento circa la concreta ricorrenza degli elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento e in ordine alla proporzionalità o meno della sanzione, va ribadito che si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè la ricorrente non ha indicato in base a quali elementi dovrebbe ritenersi provata (e non soltanto allegata) o “pacificamente ammessa pure dalla controparte” l’esistenza della situazione di eccezionalità alla quale viene fatto riferimento nella lettera di contestazione degli addebiti (pag. 7) e sulla cui sussistenza la Corte di merito ha ritenuto, invece, che non fosse stato fornito “alcun riscontro concreto neppure in termini di mera allegazione”. Rispetto a tale valutazione di merito operata dalla Corte d’Appello, le censure espresse con il primo motivo rimangono, dunque, confinate ad una mera contrapposizione, inidonea, in quanto tale, a radicare un deducibile vizio di motivazione della sentenza impugnata.

9. – Anche le censure formulate con il secondo motivo devono ritenersi prive di fondamento. Va ribadito al riguardo che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cpc, n. 5, si configura soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, vizio che non è certamente riscontrabile allorchè – come verificatosi nel caso in esame – la decisione appaia comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria e il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte, poichè, diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. ex plurimis, sui principi sopra indicati, Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

10. – Per quanto riguarda, in particolare, la valutazione dei singoli addebiti, va ribadito quanto già considerato al precedente punto 8) circa la mancanza di qualsiasi indicazione concreta in ordine agli elementi in base ai quali dovrebbe ritenersi provata o pacificamente ammessa dalla controparte l’esistenza della situazione di eccezionalità del comparto mutui fondiari, alla quale viene fatto riferimento nella lettera di contestazione degli addebiti (pag. 7), dovendo considerarsi che, in via generale, una determinata situazione può definirsi “eccezionale” solo in relazione ad una situazione di “normalità” di cui devono essere specificamente indicate le condizioni e definiti i parametri.

Nè può sottacersi che, nel denunciare il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto di dover ridimensionare l’effettiva portata di alcune delle mancanze contestate al lavoratore (come quella relativa alla concessione di mutui a favore di soggetti non residenti o non operanti nell’area di competenza della filiale), la ricorrente avrebbe dovuto riportare nel ricorso i passi essenziali delle circolari o delle disposizioni aziendali alle quali ha fatto riferimento (da pag. 50 a pag. 52 del ricorso per cassazione) per dedurne il rilievo niente affatto marginale che avrebbero rivestito le dette mancanze.

11. – Per le ragioni già sopra indicate, non può ritenersi sussistente la violazione dell’art. 132 cpc, n.4, atteso che, affinchè sia integrato il vizio di mancanza della motivazione agli effetti della disposizione in esame, occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 20112/2009).

12. – E’ infondata anche l’ulteriore censura secondo cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, ai fini della decisione, di deposizioni testimoniali e di dichiarazioni rese dallo stesso C., che si assumono assolutamente antitetiche al convincimento espresso dal giudice d’appello.

Deve ribadirsi, al riguardo, che, come è stato più volte affermato da questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo esame, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.

Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art.360 cpc, n.5, ricorre, dunque, soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre tale vizio non si configura allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 16499/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 42/2009, Cass. n. 17477/2007, Cass. n. 15489/2007, Cass. n. 7065/2007, Cass. n. 1754/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 17145/2006, Cass. n. 12362/2006, Cass. n. 24589/2005, Cass. n. 16087/2003, Cass. n. 7058/2003, Cass. n. 5434/2003, Cass. n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).

13. – Nelle citate sentenze questa Corte ha già avuto modo di precisare che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. ex plurimis, Cass. n. 16499/2009 cit.).

E, per quanto riguarda specificamente la valutazione della prova testimoniale, ha affermato che la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42/2009 cit., cui adde Cass. n. 21412/2006, Cass. n. 4347/99, Cass. n. 3498/94).

14. – Nè, per concludere sul punto, può trascurarsi che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. ex plurimis Cass. n.14034/2005), circostanza questa che, considerato il percorso motivazionale della sentenza impugnata e il contenuto assolutamente marginale, rispetto a tale percorso, delle dichiarazioni che sono state riportate (peraltro, solo relativamente ad alcuni passi) nel ricorso per cassazione, non è dato riscontrare nella fattispecie in esame.

15.- In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato. Il ricorso incidentale, espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento della domanda di cassazione della sentenza impugnata, deve ritenersi assorbito nel rigetto del ricorso principale.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 4.000,00 per onorari, oltre ***, Cpa e spese generali.

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