Licenziamento disciplinare: scatta la reintegra se manca il rispetto del termine a difesa (Cass. n. 12127/2012)

Redazione 16/07/12
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Svolgimento del processo

A.G. esponeva al Tribunale di Bergamo di essere dipendente della s.r.l. C. Legnami; di essere stato da questa licenziato con effetto immediato, con lettera del 12 luglio 2007, per “avere avuto un comportamento assolutamente non idoneo nei confronti dei suoi colleghi e soprattutto verso il datore di lavoro, insultandolo pesantemente davanti al personale”. Lamentava l’illegittimità del provvedimento per contrasto con l’art. 7 L. n. 300/70, non essendo stato preceduto da alcuna contestazione disciplinare, ed in ogni caso perché privo di giusta causa di giustificato motivo. Chiedeva pertanto la reintegra nel suo posto di lavoro, con le ulteriori conseguenze di cui all’art. 18 della legge menzionata.
Si costituiva la società convenuta deducendo che il licenziamento in questione non era disciplinare, e che comunque, in base al principio della rinnovabilità degli atti affetti da vizi formali, esso era stato reiterato con lettera del 14 maggio 2008.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 27 aprile 2009, rigettava le domande attoree.
Proponeva appello il G. lamentando che il primo giudice, ritenendo che fosse stato comunicato un secondo licenziamento, era incorso nel vizio di ultra petizione; che comunque la lettera del 14 maggio 2008 non conteneva alcun licenziamento; che in ogni caso il licenziamento era ingiustificato e sproporzionato.
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 22 dicembre 2009, dichiarava illegittimo il licenziamento ed ordinava la reintegra del G. nel suo posto di lavoro.
Osservava la Corte che il licenziamento del 12 luglio 2007 aveva senza dubbio natura disciplinare, e come tale doveva essere preceduto dalla contestazione degli addebiti, nella specie non avvenuta; che seppure era ammissibile la rinnovazione dell’atto affetto da vizi di forma, la lettera del 14 maggio 2008 non conteneva alcun licenziamento, ma solo la contestazione degli addebiti, riservando ad un momento successivo, all’esito delle eventuali giustificazioni, la decisione di risolvere il rapporto; che tale manifestazione di volontà non era mai intervenuta, sicché l’unico licenziamento intimato dalla società era quello del 12 luglio 2007, da ritenersi in contrasto con l’art. 7 L. n. 300/70. Ordinava pertanto la reintegrazione del G. nel suo posto di lavoro, con le conseguenze di cui all’art. 18 Stat. Lav.
Propone ricorso per cassazione la s.r.l. C. Legnami, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste il G. con controricorso.

 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300 del 1970, 1362 e seguenti c.c., 116 e 132 c.p.c.; oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Lamentava in particolare l’erronea interpretazione e valutazione della lettera di licenziamento del 12 luglio 2007, contenendo essa legittimamente sia la contestazione dell’addebito, sia il contestuale licenziamento.
Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto illegittimo il licenziamento per non essere stato concesso il termine minimo di cinque giorni a difesa, motivo mai sottoposto all’esame dei giudici di appello da parte del ricorrente. Denuncia anche la violazione dell’art. 7 L. n. 300 del 1970, nonché degli artt. 116 e 132 c.p.c., oltre ad omessa ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia, con riferimento all’interpretazione della lettera del 14 maggio 2008, che la Corte di merito erroneamente escluse contenesse un licenziamento, ma solo la rinnovazione della contestazione disciplinare.
3. I motivi, che per la loro stretta connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. Non v’è infatti dubbio che il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari dalla specifica disciplina del rapporto, debba essere (ontologicamente) considerato disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3, circa la contestazione dell’addebito ed il diritto di difesa ai sensi dell’art. 7 della L. n. 300/70 (ex multis, Cass. ord. n. 9422 del 2010; Cass. n. 17652 del 2007). La società ha sostenuto che ben poteva ritenersi legittima la contestuale contestazione degli addebiti e la manifestazione di recesso. La Corte d’appello, cui dunque la questione era stata devoluta, ha evidenziato che in tal caso è comunque necessario il rispetto del termine a difesa di cui al citato art. 7, comma 2, L. n. 300/70 (in conformità al pacifico orientamento di questa Corte: tra le tante, Cass. 23 giugno 2005 n. 13486; Cass. 4 luglio 2007 n. 15050; Cass. ord. 21 aprile 2010 n. 9422); che nella specie la lettera del 12 luglio 2007 conteneva, illegittimamente, la contestazione degli addebiti ed il coevo licenziamento. Quanto alla lettera del 14 maggio 2008, la Corte di merito ha congruamente motivato che essa conteneva solo la reiterazione, pur a distanza di quasi un anno, della contestazione disciplinare, rinviando tuttavia all’esito delle eventuali giustificazioni, la manifestazione di una volontà risolutoria, nella specie mai intervenuta. La ricorrente lamenta un errore di interpretazione della detta missiva, rimessa invece alla valutazione del giudice di merito, ed incensurabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente motivata, implicando valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. 9 settembre 2008 n. 22893; Cass. 1 febbraio 2007 n. 2217; Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538).
Nella specie la Corte di merito ha, in modo congruo ed immune da vizi logici, evidenziato che nella lettera in questione, dopo una serie di contestazioni disciplinari, la società invitava il dipendente “ad inviare giustificazioni scritte entro i termini previsti dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratore, con espresso avviso (che) in caso di mancata risposta o comunque di giustificazione inadeguata, si procederà all’immediato licenziamento”. Ha pertanto correttamente ritenuto che tale comunicazione non conteneva alcun licenziamento, ma solo la necessaria contestazione degli addebiti e la concessione del termine a difesa di cui all’art. 7 L. n. 300 del 1970, senza che a ciò sia seguito alcun licenziamento. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.

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