Sul licenziamento disciplinare del dirigente con posizione apicale (Cass. n. 5962/2013)

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Massima

Nel licenziamento di un manager, per motivi disciplinari, non può essere richiamato il concetto di overruling.
Non si può concepire per il datore di lavoro il fatto di invocare, al fine di legittimare il licenziamento, l’irretroattività giurisprudenziale. 

 

1.     Premessa

Nella decisione in commento dell’11 marzo 2013 n. 5962 i giudici della Corte, nella sezione lavoro, hanno precisato che le garanzie procedimentali previste dallo statuto dei lavoratori, nello specifico all’articolo 7, commi 2 e 3, devono trovare applicazione anche nel caso si tratti di licenziamento di un dirigente con posizione apicale.

Nel licenziamento disciplinare del dirigente non può essere richiamato il concetto di overruling (1).

 

1.1.          La fattispecie

Nella fattispecie concreta una srl (in liquidazione) aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello che, confermando la decisione del tribunale, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento (in tronco) di un amministratore, con condanna del datore alla corresponsione della indennità di mancato preavviso, TFR residuo e indennità supplementare.

La Corte d’appello aveva evidenziato che la Corte di cassazione con la sentenza del 30 marzo 2007 n. 7880 (2) aveva esteso l’ambito applicato dal sopra citato articolo 7 L. 300/1970 a tutte le categorie di dirigenti; con ciò svuotando le disposizioni ex art. 10 L. 60471966.

Conseguenza di ciò la coincidenza del concetto di giustificatezza del licenziamento del dirigente con quello di giusta causa o giustificato motivo.

In sede di appello la Corte segue l’orientamento espresso in tale decisione, ponendosi in contrasto con le norme violate dalla sentenza delle sezioni unite precedenti alla citata decisione n. 7880/2007.

Nella decisione in commento si legge che “La Corte d’appello di Bologna, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la società appellante contesta che, nella specie, ricorra un licenziamento disciplinare, tuttavia non pare dubbio che il licenziamento di cui si tratta sia stato motivato dalla condotta colposa o comunque manchevole del dipendente e che, quindi, sia da qualificare come disciplinare, secondo la giurisprudenza di legittimità;

b) quanto alle censure che si appuntano sulla pretesa inapplicabilità al licenziamento dei dirigenti apicali – come il C., secondo la società – delle garanzie di cui all’art. 7 St. lav., si deve aderire all’orientamento espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 7880 del 2007 che, componendo un contrasto di giurisprudenza, ha concluso nel senso dell’applicabilità delle suindicate garanzie al licenziamento di qualsiasi tipo di dirigente, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata, fondata anche sui principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 427 del 1989;

c) nella menzionata sentenza le Sezioni unite hanno anche affermato l’identità degli effetti del licenziamento del dirigente non preceduto dalla procedura di contestazione rispetto a quello privo di giustificatezza;

d) a tali principi si è attenuto il giudice di primo grado ed essi sono da condividere;

e) pertanto, al C. sono dovuti sia l’indennità di mancato preavviso sia quella supplementare prevista dall’art. 19 CCNL, sia l’incremento del TFR derivante dal computo nella sua base dell’indennità di mancato preavviso;

f) per quel che riguarda le due domande riconvenzionali della società, si rileva che: per la prima, non è dato comprendere la ragione per la quale l’aliunde perceptum sarebbe deducibile dalle indennità di mancato preavviso e supplementare, che sono istituti contrattuali dovuti in caso di licenziamento ingiustificato e, come tali, non sopportano alcuna detrazione;

g) quanto alla seconda domanda di natura risarcitoria, va osservato che essa è stata proposta in modo generico e senza la produzione di prove idonee al suo accoglimento, in particolare per quel che riguarda la quantificazione dei “considerevoli danni” pretesi;

h) tale quantificazione viene evidentemente demandata ad una CTU, ma ciò è inammissibile, non essendo notoriamente la consulenza una fonte di prova, ma solo uno strumento di valutazione delle prove acquisite aliunde;

i) non vi è luogo di provvedere sulla spese, data la contumacia del C.”

Il ricorso della s.r.l. in liquidazione domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, C.A..

 

2. Conclusioni

Nella decisione in commento i giudici della Corte di Cassazione hanno evidenziato che in tema di licenziamento del dirigente la giusta causa non è necessaria; ma, in ogni caso, deve essere rispettato l’iter procedurale previsto dalla legge n. 300/1970, c.d. statuto dei lavoratori.

Considerata la peculiare connotazione del rapporto di lavoro del dirigente, non è, quindi, necessario che ricorra una giusta causa o un giustificato motivo ex L. 604/1966 (e succ. mod. e int.), in quanto rileva ogni motivo che sia idoneo a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

Come evidenziato sopra, in seguito alla sentenza della Cassazione del 2007 (n. 7880) tutti i dirigenti hanno diritto al rispetto delle garanzie previste dallo statuto dei lavoratori (art. 7). 

Per la Cassazione la sentenza della Corte d’Appello deve essere confermata; per i giudici di legittimità affinché un orientamento del giudice nomofilattico sia retroattivo (3) devono, cumulativamente, ricorrere, i seguenti presupposti, ovvero:

–         che si verta in materia di mutamento giurisprudenziale su una regola del processo;

–         che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere consolidato e granitico del precedente indirizzo (4);

–         che l’overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione oppure del diritto di difesa della parte.

La prima e la terza dei sopra citati presupposti non sono ricorrenti nella ipotesi di mutamento giurisprudenziale in riferimento alle garanzie procedimentali ex art. 7 L. 300/1970.

I giudici di legittimità intendono dar continuità all’indirizzo giurisprudenziale che conduce alla infondatezza delle corrispondenti censure della società srl in liquidazione.

 

3. Giurisprudenza

L’art. 22, comma 2° del CCNL dirigenti settore industria, pur prevedendo che, in caso di risoluzione ad iniziativa dell’azienda, quest’ultima sia tenuta ad specificarne contestualmente la motivazione, non prevede, quale automatica e diretta conseguenza [della mancata specificazione contestuale], la spettanza dell’indennità supplementare». Conseguentemente, alla luce dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ. «la richiesta valutazione della giustificatezza o meno del licenziamento presuppone che, pur in assenza di motivazione resa contestualmente, e a fortiori, ove la stessa sia stata insufficiente o generica, il collegio [arbitrale] possa riconoscere la sussistenza o meno delle ragioni giustificative del recesso datoriale» all’esito, dunque, dell’istruttoria. Ne discende pertanto che «il datore di lavoro è facoltizzato ad esplicitare la motivazione del licenziamento, ovvero ad integrarla, nell’ambito del giudizio arbitrale». Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2013, n. 3175.

 

Le garanzie procedimentali di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori si applicano nell’ipotesi di licenziamento disciplinare del dirigente a prescindere dalla specifica collocazione dello stesso nell’impresa e sia nel caso in cui il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del recesso siano poste comunque condotte suscettibili di far venir meno il vincolo fiduciario. Cass. civ., sez. lav., 1 febbraio 2012, n. 1424

 

Con la sentenza del 30 marzo 2007 n. 7880, le Sezioni Unite, componendo il contrasto giurisprudenziale formatosi in materia, avevano aderito alla tesi sostenuta da uno dei tre orientamenti giurisprudenziali fino a quel momento delineatisi, che sosteneva, appunto, la applicabilità a tutti i dirigenti delle garanzie dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratore, al contrario di quanto sostenuto dal filone, più risalente nel tempo, che escludeva in toto la categoria dei dirigenti dall’ambito di applicabilità dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (cfr. ad es. Cass. 11 febbraio 1989, n. 854 e Cass. 1 settembre 1987, n. 7169) e dall’orientamento intermedio che escludeva dall’ambito di applicabilità della norma in esame solo i dirigenti apicali, cioè quelli che operavano al vertice dell’impresa, in sostanza quali alter ego dell’imprenditore (cfr. ad es. Cass. Sezioni Unite del 29 maggio 1995, n. 6041).

 

La disciplina limitativa dei licenziamenti individuali non si applica alla figura del dirigente apicale, né, di conseguenza, si applicano le connesse garanzie procedurali previste dall’articolo 7 della legge 300/1970. La regola della licenziabilità ad nutum dei dirigenti, desumibile dall’articolo 10 della legge 604/1966, è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o a un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. Ne consegue che anche l’esclusione delle connesse garanzie procedimentali di cui allo Statuto dei lavoratori vale solo per i dirigenti apicali e non per la media e bassa dirigenza, che sia legalmente ascrivibile alla categoria del personale direttivo (cosiddetti pseudo dirigenti o dirigenti meramente convenzionali). Cass. civ., sez. lav., 8 novembre 2005, n. 21673.  In tal senso anche Cass. Civ. Sez. Lav., 9 agosto 2004, n. 15351.

 

  

Manuela Rinaldi  
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.

 

 

__________

(1) Con il termine Overruling si intende la sopravvenienza di un orientamento giurisprudenziale nuovo che va a sostituirsi ad uno precedente e consolidato; affinché si verifichi l’overruling occorre che la norma processuale sia oggetto di un mutamento esegetico, imprevedibile, di fronte ad un indirizzo di segno contrario che sia consolidato e granitico nel tempo.

(2) In base alle sentenze della Corte Cost. n. 204 del 1982 e n. 427 del 1989.

(3) Ovvero si possa parlare di overruling.

(4) Che, cioè, sia tale da indurre la parte ad un affidamento ragionevole su di esso.

Sentenza collegata

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