Licenziamento collettivo (Cass. n. 12728/2013)

Redazione 23/05/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 25/2/2008 la Corte d’Appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta dagli ex dipendenti dell’Associazione Italiana Assistenza Spastici (AIAS), licenziati collettivamente in data 10/4/1996 e collocati in mobilità, volta ad ottenere la condanna della Azienda USL n. (omissis) di Messina al risarcimento del danno da loro subito a seguito dell’inadempimento agli accordi del 5/2/96 e del 10/4/96 con i quali l’Azienda si era impegnata ad avviare un progetto di lavori socialmente utili con tutto il personale (317 unità) posto in mobilità dall’AIAS. La Corte territoriale ha affermato che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto l’accordo del 10/4/96,concluso tra i rappresentanti di ASL, INPS, Ufficio Provinciale del Lavoro, CGIL, CISL e UIL, alcuni lavoratori ed assistiti, quale contratto a favore di terzo ed il successivo accordo del 10/4/97, come teso a consentire un frazionamento dell’esecuzione dell’impegno assunto con il precedente accordo in vista del suo completo adempimento,e non già quale revoca di detto precedente impegno.

Secondo la Corte territoriale, invece, l’accordo del 10/4/96, così come quello successivo, costituiva contratto collettivo con conseguente possibilità di modifica in peius; che, infatti, nel successivo accordo del 10/4/97 era stato previsto l’utile collocamento soltanto di 105 dei 317 lavoratori in un progetto di lavori socialmente utili,con la previsione di una successiva verifica circa la possibilità di sviluppare un ulteriore progetto di utilizzazione dei restanti lavoratori.

La Corte ha osservato che con l’accordo del 1997 era stato superato l’accordo precedente sul presupposto dell’impossibilità di adempimento totale da parte dell’Azienda, del quale prendevano atto le organizzazioni sindacali.

Secondo la Corte inoltre non si sarebbe giunto, comunque,ad una conclusione favorevole ai lavoratori anche considerando l’accordo come contratto a favore di terzo. Ha osservato,infatti, che i lavoratori in mobilità non si trovavano nell’immediata possibilità di dichiarare di voler beneficiare dell’avviamento al progetto di lavoro socialmente utile in quanto quest’ultimo non era stato ancora attivato dalla Asl, fatto avvenuto soltanto in data 28 maggio 97 e quindi anche successivamente all’accordo del 97; che fino a quell’epoca non sussisteva alcuna possibilità di profittare degli accordi,ma solo una mera aspettativa e che, comunque, era di ostacolo alla configurazione di contratto a favore di terzo anche la mancata individuazione specifica dei beneficiari. Avverso la sentenza propongono ricorso in Cassazione i lavoratori formulando 15 motivi.

Si costituisce l’azienda Asl n. (omissis) Messina depositando controricorso con ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il 1, 2, 3, 4, 5 e 12 motivo i ricorrenti censurano la sentenza in relazione alla natura giuridica dell’accordo del 10/4/96 (art. 360, nn. 3 e 5).

In particolare con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 1411 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Censurano la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ritiene che il contratto a favore di terzo e il contratto collettivo siano due istituti incompatibili. Osservano che non è di ostacolo alla configurazione del contratto a favore di terzi la circostanza che l’interesse immediato è quello della salvaguardia dei livelli occupazionali, mentre l’interesse dei singoli lavoratori all’assunzione costituisce solo un interesse mediato. Con il secondo motivo censurano la decisione della Corte che ritiene ostativo alla natura di contratto in favore di terzo la qualità di associazioni sindacali dei soggetti stipulanti l’accordo, nonchè la mancata individuazione specifica dei beneficiari.

Con il terzo motivo denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e seguenti. Censurano la sentenza che nell’interpretare il contratto non ha tenuto conto in via prioritaria del significato letterale delle parole di cui all’art. 1362 c.c., dalle quali risultava che la Asl avrebbe gestito l’attività riabilitativa con un programma di pubblica utilità assorbendo tutto il personale messo in mobilità. La Asl non era il datore di lavoro e pertanto il contratto non poteva interpretarsi in altro modo se non come contratto in favore di terzi.

Con il quarto motivo denunciano omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo costituito dal fatto che la Corte non tiene in alcun conto che l’Azienda sanitaria non era il datore di lavoro dei ricorrenti; se fossero stati accordi collettivi non si spiegherebbe l’assunzione di obblighi da parte di un soggetto terzo.

Con il quinto motivo denunciano omessa insufficiente contraddittoria motivazione costituita dall’erronea affermazione del giudice d’appello secondo il quale,pur volendo considerare gli accordi come contratti a favore di terzo,i beneficiari della stipulazione erano indeterminati. La Corte infatti erroneamente formula tale affermazione con riferimento all’accordo del 10 aprile 1997, che in violazione dell’accordo precedente aveva determinato soltanto in 105 i lavoratori beneficiari, mentre l’indeterminatezza dei beneficiari doveva essere valutata in relazione all’accordo del 1996. Con il dodicesimo motivo denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1411 c.c.. Osservano che trattandosi di contratti in favore di terzo, anche se contratti collettivi, avrebbero potuto essere modificati secondo la procedura di cui all’art. 1411 c.c., comma 2.

Rilevano, tuttavia, che l’accordo del 1997 non era stato sottoscritto da tutti i soggetti che avevano partecipato al precedente accordo del 1996 con la conseguenza che, la mancanza di identità soggettiva fra i stipulanti dei due accordi, impediva qualsiasi revoca o modifica dell’accordo precedente.

Il 6, 7, 8 e 9 motivo attengono alla possibilità o meno di revoca dell’accordo del 1996 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano violazione falsa applicazione dell’art. 2077 c.c., censurano la sentenza nella parte in cui la Corte afferma la legittimità di una riforma in peius senza considerare il limite dei diritti quesiti sorti con l’accordo del 10 aprile 1996.

Con il settimo motivo denunciano omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo costituito dalla mancata considerazione che con l’accordo del 96 nasceva un diritto individuale nel patrimonio di ogni lavoratore non modificabile e che sul punto mancava ogni motivazione nella sentenza impugnata.

Con l’ottavo motivo denunciano omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo costituito dalla mancata considerazione quale fatto determinante che l’accordo del 10 aprile 97 avveniva quando i lavoratori erano stati licenziati e quindi le organizzazioni sindacali non li rappresentavano più atteso che il mandato di rappresentanza sindacale cessa con il licenziamento e la cessazione del rapporto di lavoro.

Con il nono motivo denunciano violazione falsa applicazione dell’art. 39 Cost.. Osservano che le organizzazioni sindacali,quali associazioni non riconosciute, possono stipulare contratti collettivi vincolanti per i lavoratori solo in virtù del mandato rappresentativo che questi abbiano loro conferito con l’iscrizione all’associazione. Con l’accordo del 97 era cessata l’attività lavorativa e pertanto le organizzazioni sindacali non avrebbero potuto modificare l’accordo precedente senza il consenso dei beneficiari.

I motivi n. 10, 11 attengono alla natura dell’accordo del 10/4/97.

Con il decimo motivo i ricorrenti denunciano omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio costituito dall’affermazione del giudice d’appello secondo il quale l’accordo del 10 aprile 97 non costituiva parziale attuazione del precedente accordo del 96 ma superamento e sostituzione di esso, interpretando erroneamente le dichiarazioni rese dalle organizzazioni sindacali in giudizio dalle quali emergeva evidente la circostanza che gli impegni assunti dall’azienda erano stati ribaditi anche nel successivo accordo del 97 il quale costituiva solo parziale attuazione del primo.

Con l’undicesimo motivo denunciano omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo costituito dalle erronea affermazione del giudice d’appello secondo la quale entrambi gli accordi erano stati sottoscritti da rappresentanti sindacali Cgil-Cisl-Uil. Osservano che l’accordo del 96 era stato sottoscritto dai rappresentanti delle confederazioni sindacali di settore e che l’accordo del 97 invece era stato sottoscritto solo dai rappresentanti della Cgil e della Uil mentre non erano presenti quelli della Cisl. Tale errore della Corte non era irrilevante in quanto mancava il consenso di una delle organizzazioni sindacali e che pertanto l’accordo del 1997 non poteva configurarsi come revoca della precedente stipulazione.

Con il tredicesimo motivo denunciano omessa,insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) costituito dalle erronea affermazione del giudice secondo il quale,pur volendo considerare gli accordi come contratti a favore di terzo, i lavoratori non potevano profittare della stipulazione in loro favore poichè prima dell’avvio del progetto di pubblica utilità essi erano solo titolari di una mera aspettativa.

Osservano che la Corte d’Appello confonde le modalità di attuazione dell’obbligo assunto dall’azienda,con l’obbligo stesso di assorbire tutto il personale in mobilità dell’AIAS mentre l’accordo del 1997 costituiva solo una parziale attuazione di detto obbligo.

Con il quattordicesimo motivo denunciano violazione e o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Osservano che erroneamente la Corte nella motivazione della sentenza aveva affermato che ricorrevano giusti motivi per compensare interamente le spese del presente giudizio e nel dispositivo dichiarava compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Rilevano che la Corte aveva violato il giudicato in quanto in appello l’Azienda sanitaria non aveva impugnato il capo relativo alla condanna alle spese che,pertanto, era passato in giudicato.

Rilevano, altresì, che nel giudizio di appello avevano proposto appello incidentale ritenuto assorbito dalla Corte. L’auspicata cassazione della sentenza della Corte d’Appello avrebbe dovuto comportare l’esame da parte del giudice di rinvio dell’appello incidentale attinente l’adempimento in forma specifica dell’obbligo dell’azienda di assumere i lavoratori e la determinazione delle somme dovute.

Le censure, congiuntamente esaminate stante la loro connessione, sono infondate. I ricorrenti fondano il loro diritto ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti dell’Azienda sanitaria sulla base della scrittura del 10/4/1996,sottoscritta presso la Prefettura di Messina,dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, dall’Azienda sanitaria, dal rappresentante dell’AIAS, dell’Ufficio Provinciale del lavoro e dal rappresentante del Tribunale dei diritti del malato e oltre che da un gruppo di dipendente dell’AIAS e di assistiti. Dall’esame dello stesso, in particolare dal tenore letterale della clausola n. 4, essi desumono l’assunzione da parte dell’Azienda sanitaria dell’obbligo di “assorbire” tutto il personale messo in mobilità dell’ALAS attraverso la gestione dell’attività riabilitativa di portatori di handicap con un programma di pubblica utilità. I ricorrenti interpretano la scrittura e giungono a qualificarla quale contratto a favore di terzo nel quale terzi beneficiari sono tutti i 317 ex dipendenti dell’AIAS posti in mobilità,i quali vengono ad acquisire il diritto ad essere assorbiti, o in mancanza ad ottenere il risarcimento del danno, avendo, attraverso le organizzazioni sindacali, manifestato la volontà di “volerne profittare” ex art. 1411 c.c.. L’esame delle scritture sottoscritte presso la sede della Prefettura di Messina e la loro complessiva interpretazione consente di escludere la fondatezza dell’interpretazione proposta dai ricorrenti dovendosi, invece,riconoscere la correttezza delle conclusioni assunte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima ha esaminato, al fine di pervenire ad una corretta ricostruzione dell’effettiva volontà delle parti, le tre scritture. In particolare ha rilevato che “l’accordo del 10/4/96 venne preceduto, in data 5/2/1996, da una sorta di dichiarazione di intenti con il quale si stabilì tra l’altro che nell’ipotesi in cui l’Aias fosse stata posta in liquidazione, l’Azienda sanitaria avrebbe verificato le condizioni per avviare un progetto di lavori socialmente utili,di durata non superiore ad un anno, per poter garantire l’assistenza agli aventi diritto. Per l’attuazione del progetto l’Azienda si sarebbe avvalsa del personale posto in mobilità dall’AIAS”.

Il successivo accordo del 10 aprile 1996, valutata l’irreversibilità della crisi AIAS, aveva previsto con la clausola n. 4, posta dai ricorrenti a fondamento del loro diritto al risarcimento del danno, l’impegno dell’ASL a gestire “l’attività riabilitativa con un programma di pubblica utilità assorbendo tutto il personale messo in mobilità e integrando le remunerazioni a quelle previste dalle leggi per il personale messo in mobilità”.

Infine, in data 10 aprile 1997, si concordò “sul progetto predisposto dall’ASL n. (OMISSIS) relativo all’utilizzo di 105 degli ex lavoratori AIAS attualmente in mobilità e nei limiti in cui verrà corrisposta la relativa indennità e per il numero delle ore corrispondenti, in relazione alle tipologie professionali individuate dalla stessa azienda sanitaria…”. Tale ultimo accordo prevedeva, inoltre, di procedere “ad una verifica circa la possibilità oggettiva di sviluppare un ulteriore progetto di utilizzazione dei restanti lavoratori ex AIAS con il concorso dei sindaci della provincia su proposta delle Organizzazioni sindacali”. Il progetto, che coinvolgeva 107 lavoratori ex AIAS, venne successivamente, in data 28/5/97, approvato per un periodo di 12 mesi.

Ciò premesso deve, in primo luogo, richiamarsi quanto più volte ribadito da questa Corte secondo la quale “nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro – la quale spesso è articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale ecc.), regola una materia vasta e complessa in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, e utilizza il linguaggio delle cosiddette relazioni industriali, non necessariamente coincidente con quello comune – la volontà comune delle parti non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al significato letterale delle parole, tenuto conto anche del carattere vincolante che non di rado hanno all’interno dell’azienda l’uso e la prassi, assumendo invece un rilievo preminente il criterio dettato dall’art. 1363 c.c., dell’interpretazione complessiva delle clausole (cfr in tal senso Cass. n 11834/2009, Cass. n 15393/2006, Cass. n 6264/2006) nonchè l’utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che di detta specificità tenga conto.

Nella fattispecie in esame, da un lato,deve considerarsi che la stessa interpretazione letterale del contratto del 10/4/1996 porta a ritenere che si fosse in presenza – come ha correttamente affermato il giudice d’appello – non di un contratto collettivo normativo destinato ad incidere anche nei confronti di terzi, ma bensì obbligatorio o con funzione compositiva di conflitti giuridici da realizzarsi con l’impegno della ASL a gestire l’attività riabilitativa con un programma di pubblica utilità assorbendo tutto il personale messo in mobilità ed integrando la remunerazione prevista per il personale in mobilità. Dall’altro lato detta qualifica del contratto trova conforto in un’interpretazione logico- sistematica del suddetto contratto del 10/4/1996, esaminato congiuntamente al precedente accordo del 5/2/1996 ed a quello successivo del 10/4/1997, con il quale si è poi concordato l’utilizzo di 105 (dei 317) lavoratori dell’AIAS che erano in mobilità (e nei limiti in cui sarebbe stata corrisposta la relativa indennità in relazione alle ore corrispondenti) per un progetto di lavoro socialmente utile.

Ed invero non può dubitarsi che proprio in sede di interpretazione dei contratti collettivi sia spesso necessario fare ricorso alla stregua del disposto dell’art. 1362 c.c., comma 2, all’esame del comportamento sia antecedente al contratto stesso che successivo (suscettibile di concretizzarsi in una nuova e distinta pattuizione).

Nella fattispecie tale interpretazione logico-sistematica trova conforto nella stessa condotta delle organizzazioni sindacali che hanno acconsentito di condizionare la fruibilità di lavori socialmente utili da parte dei restanti lavoratori ex AIAS ad un verifica circa la possibilità oggettiva di sviluppare un ulteriore progetto con il concorso dei sindaci dei comuni della Provincia su proposta delle Organizzazioni sindacali,nonchè ad una valutazione da parte del Prefetto circa la realizzabilità delle proposte con l’impegno, in caso positivo, a convocare i sindaci (cfr accordo del 10/4/1997). Tale condizione esclude, come correttamente affermato dalla Corte d’Appello, la fondatezza dell’assunto dei ricorrenti secondo cui l’accordo del 1997 era limitato a consentire un frazionamento dell’esecuzione del precedente impegno di assorbimento di tutti lavoratori, impegno rimasto ancora pienamente efficace. La sentenza impugnata sottolinea che nell’accordo del 1997 non si parla più di impegno, ma solo di possibilità di verifica di sistemazione dei lavoratori non occupati, peraltro, con la collaborazione dei rappresentanti degli enti locali, e ciò a seguito dell’accertata impossibilità di collocare tutti i dipendenti.

Dall’interpretazione qui accolta degli accordi in questione consegue la non configurabilità del contratto collettivo del 10/4/1996 come contratto a favore di terzo dal momento che il terzo lavoratore può rivendicare unicamente un’aspettativa di fatto perchè un suo diritto può maturarsi solo a seguito dell’approvazione da parte della Pubblica Amministrazione del progetto di pubblica utilità e nei limiti delle esigenze che emergono dal progetto.

Deve, altresì, rilevarsi anche l’infondatezza del quattordicesimo motivo con il quale i ricorrenti censurano la sentenza per aver disposto la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio pur in assenza di impugnazione da parte dell’Azienda sanitaria del capo della decisione del Tribunale relativo alla liquidazione delle spese processuali. La riforma della sentenza del Tribunale, infatti, impone al giudice d’appello di procedere anche d’ufficio ad una revisione della regolamentazione delle spese processuali in relazione all’esito complessivo della lite (cfr Cass. n. 18837/2010).

Infine, il quindicesimo motivo del ricorso principale con il quale i ricorrenti ripropongono gli argomenti oggetto dell’appello incidentale relativi all’adempimento in forma specifica dell’obbligo dell’Azienda sanitaria di assumere i lavoratori nonchè la determinazione delle somme dovute, resta assorbito dal rigetto di tutti gli altri motivi.

Per le considerazioni che precedono il ricorso principale va respinto e ciò anche con riferimento ai sig. I.C. e I. V., che hanno depositato documentazione attestante la loro qualità di eredi di P.G., nonchè con riferimento a C.R., C.G. e P.C., eredi di Ca.Gi., già presenti nel giudizio davanti alla Corte d’Appello, essendo indicati nell’intestazione della sentenza impugnata.

Con ricorso incidentale l’Azienda sanitaria denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c.. Lamenta che la Corte d’Appello ha dichiarato compensate le spese del doppio grado di giudizio nonostante che i ricorrenti principali fossero risultati soccombenti per ben due volte. Non si ravvisa la violazione della norma denunciata ben potendo le spese processuali dei giudizi di merito essere compensate avuto riguardo alla complessità della materia. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta.

Condanna i ricorrenti a pagare alla controricorrente le spese processuali liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2013.

Redazione