Licenziabile il dipendente che crea un clima di tensione con i colleghi (Cass. n. 14575/2012)

Redazione 20/08/12
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Svolgimento del processo

C.P. impugnava avanti al Tribunale del lavoro di Roma il licenziamento disciplinare intimatole per giusta causa dal datore di lavoro ************ & ******* spa; si costituiva la società che ribadiva la gravità dei fatti contestati, tali da legittimare il disposto recesso. IL Tribunale di Roma con sentenza del 16.5.2008 rigettava il ricorso.

La Corte di appello di Roma con sentenza del 2.11.2009 rigettava l’appello della lavoratrice. La Corte territoriale riteneva provate le due contestazioni mosse alla C. di aver tenuto presso l’Ufficio italiano Brevetti e ****** di Roma (la ************ svolgeva attività concernente servizi in materia di proprietà intellettuale relativi anche a brevetti di invenzione, modelli industriali, marchi di impresa e di sorveglianza di tali prodotti, modelli e marchi), un comportamento scorretto ed imbarazzante, offensivo nei confronti di dirigenti ed impiegati dell’Ufficio e di aver omesso di riportare alla società segnalazioni da parte del detto Ufficio circa alcune imprecisioni nelle pratiche seguite dalla ************. Inoltre si addebitava alla C. di aver creato nell’ambito dell’Ufficio della società appellata gravi tensioni con altri colleghi di lavoro. Per la Corte le contestazioni erano tempestive perchè i comportamenti erano perdurati per mesi sino a raggiungere uno stato di intollerabilità e, come detto, gli addebiti avevano avuto piena conferma nella prova testimoniale espletata.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C. con tre motivi; resiste la ************.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega il difetto di motivazione in ordine alla valutazione dell’illegittimità del licenziamento, nonchè violazione e falsa applicazione di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro; intempestività del licenziamento e assenza di proporzionalità. Le contestazioni mosse alla ricorrente erano generiche ed inoltre tardive, ben nove mesi dopo i fatti contestati.

La sanzione irrogata inoltre era manifestamente sproporzionata rispetto ai fatti addebitati il motivo appare infondato e ripropone doglianze già esaminate dalla Corte di appello. Circa gli addebiti contestati, questi sono stati riassunti a pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata e sono relativi ad un complessivo comportamento non corretto tenuto dalla ricorrente nei rapporti con l’Ufficio Brevetti e ****** (UIBM) e segnatamente con il personale del detto Ufficio, che la C. frequentava regolarmente stante il tipo di servizi svolti per i suoi clienti dalla ************ & *******; sempre in relazione alla detta attività presso l’UIBM – si è inoltre addebitato alla C. di non aver riferito alla datrice di lavoro suggerimenti ed osservazioni del personale UIBM circa le carenze riscontrate negli atti predisposti dalla ************ &

*******, nonchè di aver tenuto un comportamento non collaborativo e talvolta offensivo nei confronti dei propri colleghi. Pertanto le contestazioni non appaiono affatto generiche e sono state peraltro ampiamente riscontrate alla luce della prova espletata che è stata in sentenza accuratamente esaminata con puntuale riferimento a quanto dichiarato dai testimoni, dipendenti dell’UEBM e del datore di lavoro ************ & ******* spa. Lo stesso UIBM ufficialmente aveva segnalato alla società intimata il comportamento tenuto dalla ricorrente. Posto che è risultato ampiamente provato un comportamento gravemente (e sistematicamente) scorretto della C. nell’attività svolta presso l’UIBM che – ha osservato la Corte territoriale – “ha messo a repentaglio l’immagine della società appellata proprio nell’ambiente in cui questa è destinata ad operare stabilmente in ragione de proprio oggetto sociale”; cui si è aggiunto un analogo comportamento poco collaborativo (e talvolta offensivo con i colleghi) presso la sede della datrice di lavoro tale da deteriorare il clima lavorativo, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti così come ricostruiti fossero idonei ad incrinare il rapporto fiduciario tra le parti. Si tratta di argomentazioni persuasive e condivisibili in quanto dalla attenta ricostruzione operata dai Giudici di appello emerge l’impossibilità di un perdurante affidamento da parte della società intimata sulla correttezza del comportamento della ricorrente sia presso la sede di lavoro sia presso Uffici pubblici ove la stessa doveva recarsi spesso “in nome e per conto” del datore di lavoro, rischiando di comprometterne il prestigio e l’immagine. Circa la tempestività della sanzione la Corte territoriale ha già osservato che i fatti si sono svolti per mesi e solo alla fine hanno raggiunto la soglia di inaccettabilità che ha condotto alla misura del licenziamento.

Peraltro emerge che la gravità dei fatti è stata ricostruita anche sulla base di segnalazioni pervenute dall’UIBM, che quindi la parte intimata ha dovuto vagliare attentamente e collegare al comportamento scorretto tenuto dalla C. nella stessa sede della ************. La motivazione appare su tutti i punti qui esaminati congrua e logicamente motivata; le censure sono in sostanza la mera riproposizione di doglianze già esaminate dai Giudici di merito e, sulla proporzionalità della sanzione, tendono anche ad una rivalutazione del fatto, inammissibile in questa sede.

Nel secondo motivo si deduce il difetto di motivazione sulla valutazione dell’illegittimità del licenziamento, nonchè la violazione e falsa applicazione di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi. Non erano stati esaminati con accuratezza i verbali di causa ed i documenti prodotti.

Il motivo appare infondato: come già detto la sentenza è congruamente ed accuratamente motivata con puntuali riferimenti a quanto dichiarato dai testi ed anche a documenti prodotti dalla C.; le censure sono del tutto generiche in quanto si opera un inammissibile, generico, richiamo a quante emergerebbe da verbali o dai documenti prodotti, senza un esame della motivazione in concreto adottata dalla Corte territoriale e senza offrire una ricostruzione degli atti e dei documenti, a dire della parte ricorrente, non valutati in sede di appello, in chiara violazione del principio di autosufficienza del ricorso in cassazione.

Con il terzo motivo si lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di pagamento delle indennità maturate in costanza ed alla cessazione del rapporto di lavoro. Si richiede il preavviso, nonchè le differenze per ESB per il 2001-2003 (elemento di retribuzione sostitutivo dell’omesso versamento del contributo destinato all’Ente bilaterale ai sensi dell’art. 21 CCNL) e lo scatto di anzianità dopo il compimento del triennio.

Il motivo è infondato: per il preavviso come riconosce parte ricorrente l’accoglimento di tale domanda dipende da quello concernente il licenziamento. Circa le chieste differenze retributive la Corte di appello ha omesso di pronunciare, ma il motivo di appello era del tutto generico in quanto non offriva una censura della motivazione di rigetto della domanda adottata dal Tribunale di prime cure. In presenza di un motivo di appello assolutamente generico la Corte territoriale non aveva il dovere di esaminare il merito (cass. n. 10356/2009; cass. n. 20046/2009); peraltro lo stesso motivo di ricorso è analogamente generico in quanto non consente di individuare a quale periodo si riferiscano i chiesti scatti di anzianità (non risulta nemmeno prodotto il CCNL richiamato al motivo e posto a fondamento delle richiesta di differenze per ESB).

Si deve quindi rigettare il ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari di avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.

Redazione