Legittimo impedimento: non è invocabile per il decorso post operatorio (Cass. pen. n. 29009/2012)

Redazione 18/07/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 19 luglio 2011, ha confermato la sentenza del Tribunale di Camerino dell’11 novembre 2004, nei confronti di P.A. e B.F., rispettivamente quali amministratore unico e amministratore di fatto della IREPI s.r.l., dichiarata fallita il (omissis), condannati per diversi delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e il solo P. anche per irregolare tenuta delle scritture contabili.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati lamentando:

il P., a mezzo del proprio difensore:

a) l’intervenuta prescrizione dei reati;

b) una violazione di legge in merito al mancato accoglimento dell’istanza di rinvio di un’udienza in prime cure a cagione dell’impossibilità a presenziare per motivi di salute;

c) la mancata assunzione di una prova decisiva;

d) la carenza di motivazione in ordine all’affermazione della propria penale responsabilità.

Il B., personalmente:

a) la violazione di legge in ordine all’applicazione della normativa penale dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007;

b) la carenza di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità;

c) l’intervenuta prescrizione dei reati.

3. Risulta, inoltre, pervenuta comunicazione dell’avvocato P. F.A., nominato difensore d’ufficio del B., dell’avvenuta sua cancellazione dall’albo dei difensori d’ufficio.

Motivi della decisione

1. Deve premettersi come da comunicazione del difensore d’ufficio del ricorrente B., avvocato P.F.A., di essere stato cancellato dall’albo dei difensori d’ufficio non può impedire la celebrazione del presente giudizio.

Si osserva, in primo luogo, come sulla base della documentazione in atti non sembra essere stato ancora emesso il formale provvedimento di cancellazione e come, d’altra parte, l’istanza di cancellazione risulti inviata e ricevuta dal Consiglio Nazionale Forense il 24 febbraio 2012 e che, pertanto, all’atto della notifica del decreto di fissazione dell’udienza del 18 aprile 2012 avanti questa Sezione, avvenuta in pari data, sussistevano gli estremi di fatto e di diritto perchè il ricorrente fosse dotato del necessario difensore.

2. Quanto al merito effettivo i ricorsi non meritano accoglimento.

3. Quanto al secondo motivo del ricorso P. si osserva come, nel caso in cui l’imputato non si presenti al dibattimento, perchè si possa disporre il rinvio dell’udienza debba essere provato che l’impossibilità di comparire sia dipesa da caso fortuito, forza maggiore o da altro legittimo impedimento e che tale impossibilità sia assoluta.

Ne consegue che, qualora il legittimo impedimento addotto sia costituito da infermità, questa debba essere provata non soltanto nella sua effettiva esistenza, ma anche con riguardo all’efficacia impeditiva assoluta per l’imputato di presentarsi all’udienza.

Tale prova non può perciò dirsi raggiunta allorchè il certificato medico si limiti all’attestazione dell’infermità ed alla prognosi, senza nulla affermare in ordine alla determinazione dell’impossibilità fisica assoluta dell’imputato di comparire in Tribunale.

Impossibilità che rientra comunque nei poteri di valutazione del Giudice, il quale deve considerare, accanto alla natura dell’affezione, anche la prognosi, le cure e ogni altro elemento concreto idoneo alla verifica dell’assolutezza dell’impedimento (v. a partire da Cass. Sez. Un., 27 settembre 2005 n. 36635, Sez. V, 14 dicembre 2007 n. 5540 e Sez. VI, 26 febbraio 2008 n. 24398).

Correttamente, pertanto, nel caso di specie il Giudice ha rigettato l’istanza di rinvio dell’udienza ritenendo che il certificato medico prodotto dall’imputato, attestante l’avvenuta effettuazione di un precedente intervento chirurgico, non avesse fornito la prova dell’assoluta impossibilità dell’imputato di presentarsi all’udienza, avendo, semplicemente, prescritto un periodo di “riposo e cure”.

4. Quanto al quarto motivo del ricorso P. ed al secondo motivo del ricorso B., d’identico contenuto, non possono condividersi in quanto tendenti a dare dei fatti una ricostruzione contraria a quella ritenuta nell’impugnata sentenza e che in questa sede di legittimità non è consentito riesaminare e, d’altra parte, a riprodurre i motivi di appello, già contrastati dalla Corte territoriale con motivazione logica.

Invero, la Corte di Appello, proprio nel rispondere ai motivi dell’impugnazione del P., soprattutto in quanto l’impugnazione del B. appariva essere alquanto generica, ha logicamente motivato in merito all’affermazione della penale responsabilità degli imputati non solo sulla base della relazione del Curatore ma, altresì, della documentazione prodotta e dell’esperita perizia tecnico-contabile, per cui non si può chiedere a questa Corte di rileggere l’esperita attività istruttoria.

In particolare, relativamente al B., la ritenuta qualifica di amministratore di fatto è pienamente fondata ai fini dell’affermazione della penale responsabilità del ricorrente.

La giurisprudenza di questa Sezione della Corte (v. 11 gennaio 2008 n. 7203 e da ultimo 19 febbraio 2010 n. 19049) ha formulato una distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale, sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell’amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito “testa di legno”.

Ebbene, si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.

Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Ovviamente, per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicchè si è rilevato che l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40 c.p., comma 2.

In fatto, questa volta, i Giudici del merito hanno dato logicamente conto dell’attività posta in essere dall’imputato B. ai fini del compimento dell’attività distrattiva posta in essere e sulla base proprio della dianzi indicata attività probatoria.

Anche in questo caso, una diversa rilettura delle risultanze processuali non è, però, consentita a questa Corte di legittimità di fronte alla logica motivazione dei Giudici del merito.

5. Quanto al terzo motivo del ricorso P., con riferimento alla prova testimoniale richiesta dall’imputato ed ammessa dal Giudice di primo grado ma poi non espletata va detto come, ai sensi dell’art. 190 c.p.p., comma 3 e art. 495 c.p.p., comma 4, il Giudice abbia certamente il potere di revocare prove già ammesse quando le ritenga superflue e le parti abbiano il potere di rinunciarvi (v. Cass. Sez. V, 27 maggio 2008 n. 35986).

Nel primo caso il Giudice deve sentire le parti, mentre nel secondo è necessario il consenso anche dell’altra parte.

Orbene, va detto che la presenza delle parti in dibattimento non è una presenza meramente passiva, ma, con il nuovo processo, è una presenza particolarmente intensa specialmente nella fase dibattimentale, ove il contraddittorio delle parti ne esalta il ruolo.

Cosicchè le parti processuali presenti al dibattimento non possono interloquire soltanto quando siano specificamente interpellate dal Giudice su specifiche questioni ma debbono far valere gli interessi dedotti in giudizio con i poteri che il Codice loro concede.

Quindi, nel momento in cui il Giudice di primo grado abbia dichiarato chiusa la fase istruttoria, ritenendo evidentemente la istruttoria espletata completa e la causa matura per la decisione, ed abbia invitato le parti alla discussione ed a rassegnare le conclusioni, le parti interessate ben avrebbero potuto sollecitare l’assunzione dei testimoni non escussi, assunzione ancora possibile.

In effetti, l’invito alla discussione non è altro che il modo scelto dal Giudice di sentire le parti in ordine all’andamento ed allo sviluppo dell’istruttoria dibattimentale ed alla sua completezza nonchè alla discussione sulle prove raccolte e su quelle eventualmente non espletate. In tale momento le parti avrebbero potuto e dovuto far valere le proprie ragioni, anche in ordine alla presunta incompletezza della istruttoria dibattimentale, dal momento che al termine della discussione il Giudice può anche, melius re perpensa, non emettere sentenza, ma riprendere la istruttoria dibattimentale interrotta (v. anche Cass. Sez. IV, 3 febbraio 2004 n. 12589).

Nella specie, con assorbente considerazione, la revoca dei testi ammessi venne compiuta dal Tribunale prima di invitare i difensori degli imputati alla discussione e senza che questi affermassero alcunchè.

6. Quanto al primo motivo del ricorso B. deve osservarsi, sulla scorta di un arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 28 febbraio 2008 n. 19601), come il Giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ex artt. 216 e ss. non possa sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicchè le modifiche apportate all’art. 1 del R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

7. Quanto al primo motivo del ricorso P. e al terzo motivo del ricorso B. si osserva come gli ascritti reati non siano affatto prescritti perchè, applicando il vecchio termine prescrizionale di cui all’art. 157 c.p. (a cagione dell’epoca di commissione dei fatti e della decisione di prime cure ante novella L. n. 251 del 2005) e sommando gli ulteriori mesi otto e giorni 22 di sospensione (udienze 28 ottobre 2010-10 febbraio 2011-19 luglio 2011 con richieste di rinvio della difesa) si ottiene la definitiva scadenza al 22 maggio 2012 non ancora decorsa (30 agosto 1996-30 agosto 2011-22 maggio 2012).

8. I ricorsi devono, in conclusione, essere rigettati con la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione