Legittimo il sequestro preventivo dell’appartamento dato in locazione ad immigrati clandestini ed il canone è sproporzionato (Cass. pen. n. 45033/2012)

Redazione 19/11/12
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 30 settembre 2011 il Tribunale di Firenze, deliberando ai sensi dell’art. 322 bis cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto da P.P. – imputata del reato di cui all’art. 12, comma 5 bis, d.lgs. n. 286 del 1998 per aver ceduto l’immobile di sua proprietà sito in Firenze, via di (omissis) a cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno in cambio di un canone di locazione assolutamente sproporzionato (Euro 3000,00 mensili) – avverso l’ordinanza del GIP del medesimo tribunale in data 7 novembre 2011, che aveva rigettato l’istanza di revoca del decreto di sequestro preventivo del suddetto immobile emesso il precedente 26 maggio 2011 avente ad oggetto e finalizzato alla confisca obbligatoria in caso di condanna e ad impedire la reiterazione di condotte analoghe.
1.1 A sostegno del provvedimento il Tribunale territoriale osservava:
– che ai fini del legittimo ricorso all’istituto del sequestro preventivo sussisteva nel caso di specie il fumus commissi delicti, dappoiché, in seguito all’intervento di polizia giudiziaria ed in base delle dichiarazioni delle persone informate dei fatti e della stessa formulazione del contratto di locazione, era stato rilevato: (a) che l’indagata aveva adibito l’alloggio non ammobiliato per cui è causa, (composto da cinque vani un cucinotto un piccolo bagno ed un WC nel sottotetto) ubicato in zona ritenuta dai giudici di appello lontana dal centro e difficilmente raggiungibile, a dormitorio di almeno dodici extracomunitari (i due conduttori nonché cinque ospiti per ognuno di essi, come espressamente stabilito con apposita clausola contrattuale, sostanzialmente diretta ad eludere le norme del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza che regolano l’attività di affittacamere); (b) che il canone previsto, attese le condizioni complessive dell’abitazione e di quelle degli occupanti, secondo le dichiarazioni di alcuni abitanti dello stabile, talora in numero di diciotto, era da ritenersi sproporzionato rispetto ai valori di mercato, contrariamente a quanto sostenuto nelle consulenze tecniche prodotte dalla difesa e dalle ricevute allegate all’istanza di revoca, secondo cui il canone effettivamente riscosso (pari ad Euro 1800,00 mensili) era inferiore a quello pattuito e corrispondente a quello di mercato, argomentando sul punto che le valutazioni dei consulenti apparivano palesemente incongrue anche in base a dati notori o di comune esperienza; (c) che ai fini della configurabilità del reato doveva farsi riferimento alla congruità canone pattuito e non già a quello inferiore, e comunque reputato eccessivo, asseritamente riscosso, in quanto, a prescindere dalla veridicità delle ricevute prodotte, la locataria avrebbe comunque potuto recuperare la differenza ovvero esigere dai conduttori il pagamento della maggior somma stabilita;
– che corretta si appalesava, pertanto, la contestazione di reato, unica valutazione possibile da parte dell’autorità giudiziaria adita a mente dell’art. 324 bis cod. proc. pen., secondo insegnamento di questo Corte di legittimità.
2. Ricorre avverso tale ordinanza P.P. , per il tramite del suo difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento giacché viziata, secondo prospettazione difensiva, da violazione di legge (art. 12, comma 5 bis D.Lgs. n. 286 del 1998 ed art. 13 legge Regione Toscana n. 96/1996) e vizio di motivazione relativamente alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
2.1 Denuncia, in particolare, la difesa ricorrente:
– che il requisito dell’ingiustizia del profitto, necessario per la configurabilità del delitto contestato e conseguentemente per il riconoscimento della legittimità della confisca immobiliare per cui è causa, è stato erroneamente e contraddittoriamente desunto dal giudice territoriale, senza sottoporre a congrua e logica valutazione gli elementi addotti con l’istanza di revoca, che offrivano la prova che il canone effettivamente versato doveva ritenersi equo, censurando al riguardo che i giudici di appello non avevano adeguatamente considerato che nel corso del procedimento, a seguito di perquisizione a sorpresa disposta dal PM risoltasi con esito favorevole alla difesa, erano stati acquisiti gli originali delle ricevute rilasciate ai conduttori, corrispondenti alle copie allegate, e che le valutazioni dei consulenti tecnici circa la congruità del corrispettivo versato erano state disattese con motivazione solo apparente;
– che illegittimamente i giudici di merito avevano ritenuto non necessario l’accertamento della sussistenza di un dolo specifico per stabilire la legittimità del sequestro, facendo riferimento ad un arresto di questa Corte (Sez. 1, n. 15298 del 04/04/2006 – dep. 03/05/2006, ******, Rv. 234212) anteriore all’entrata in vigore della legge n. 125/2008 che aveva modificato la norma incriminatrice asseritamente violata dalla P. ;
– che infondato era l’argomento svolto dai giudici di appello, secondo cui la P. avrebbe potuto sempre richiedere al conduttori la differenza tra canone pattuito e quello effettivamente versato, richiamando al riguardo principi di diritto enunciati dalle sezioni civili di questa Corte, secondo cui la condotta della P. integrava gli estremi di una rinuncia all’esercizio di un diritto di credito;
– che i giudici di appello avevano omesso di rispondere alla deduzione difensiva secondo cui in base alla normativa della Regione Toscana un alloggio di circa 180 mq come quello della ricorrente, ben poteva ospitare fino a 12 persone ed oltre;
– che del tutto incongruamente i giudici di appello avevano affermato che il contratto dovesse prevedere l’obbligo di comunicare alla proprietaria le generalità degli ospiti che dimoravano nell’appartamento, e ciò anche al fine di poter assolvere all’obbligatoria denuncia al commissariato di P.S. relativo alla cessione di fabbricato e ciò in quanto l’obbligo di comunicazione delle generalità degli ospiti grava per legge solo sul conduttore (ex legge n. 191 del 18 maggio 1978);
– che il richiamo alle inattendibili sommarie informazione rese da uno degli inquilini dello stabile relativamente al numero degli occupanti l’alloggio, infine, doveva ritenersi solo suggestivo ed irrilevante ai fini dell’astratta configurabilità del reato.

 

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di P.P. e inammissibile in quanto basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
1.1 Occorre premettere che anche nel giudizio di appello avverso il diniego di revoca del sequestro (nella specie preventivo) trova applicazione il principio secondo cui spetta al giudice del procedimento principale (di cognizione) valutare la fondatezza dell’ipotesi accusatoria, che è posta a base del provvedimento cautelare. In quello incidentale è giustificazione sufficiente il “fumus” della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato: la verifica della antigiuridicità va compiuta sul piano della astrattezza, nel senso che essa non può investire la sussistenza in concreto dell’ipotesi criminosa, ma deve essere limitata alla configurabilità del fatto come reato ed alla non palese difformità di questo rispetto al fatto stesso, così come concretamente accaduto, (in termini, Sez. 3, n. 1439 del 24/06/1993 – dep. 17/08/1993, ****, Rv. 194657).
Il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in tema di revoca dei provvedimenti di sequestro preventivo, in altri termini, è proponibile solo per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge, per altro, è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Cass. Sez. Un. 28 maggio 2003, Pellegrino, rv. 224611; Cass. Sez. 1, 9 novembre 2004, **********, rv. 230203; Cass. Sez. 6, 4.6.2003, n. 21250, P.M. in proc. *******, rv. 225578).
2. In tema di revoca del sequestro, l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va allora compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma vanno valutati così come esposti al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di inquadrare l’ipotesi formulata dall’accusa in quella tipica.
In altri termini il controllo del giudice non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata Ipotesi di reato (Cass., Sez. Un. 29 gennaio 1997, n. 00023, ***** ed altri, rv. 206657; Cass. Sez. 4, 12 dicembre 2001, n. 41388, ********, rv. 223196; Cass. Sez. 3, 4 novembre 2002, n. 36538, ********, rv. 223075).
1.2 Sulla base di questi principi giuridici l’ordinanza impugnata è esente dai vizi denunciati.
Il Tribunale di Firenze, con motivazione compiuta ed esente da vizi logici e giuridici, ha illustrato l’astratta configurabilità del reato contestato e la pertinenza ad essi del bene oggetto del sequestro, evidenziando che la cessione in locazione dell’immobile a cittadini stranieri era dato assolutamente pacifico e come la P. avesse predisposto il relativo contratto prevedendo delle clausole che non consentivano alla parte locatrice di avere contezza sulla effettiva regolarità della presenza in Italia dei numerosi occupanti l’alloggio.
Il provvedimento impugnato argomentava, con valutazioni logicamente coordinate, che tali affermazioni trovavano un oggettivo elemento di riscontro nelle dichiarazioni delle persone informate dei fatti – evidenzianti che l’appartamento veniva occupato da un numero di persone mai inferiore alle dodici unità – nonché nelle risultanze delle altre attività di indagine svolte, nell’ambito delle quali particolare rilevanza assumeva lo stesso contenuto del contratto di locazione.
Questo articolato contesto indiziario non è inficiato dalla documentazione difensiva (ricevute; consulenze tecniche di parte), la quale concerne dei dati di fatto (la corresponsione da parte dei locatari di un canone inferiore a quello pattuito; la congruità del canone di locazione che si assume effettivamente corrisposto) che anche a ragione del carattere autoreferenziale di tale documentazione (le ricevute prodotte devono ritenersi essere state predisposte dalla stessa parte locatrice; la consulenza tecnica, al di là della sua contestata attendibilità, presuppone che il minor canone indicato nelle ricevute sia quello effettivamente versato e non abbia invece carattere simulato) allo stato non risulta dotato di univoco significato, suscettibile di diversi sviluppi procedimentali e, in ogni caso, correlato soltanto ad uno dei molteplici elementi di indagine (l’elevato importo del canone pattuito) valorizzati per affermare la sussistenza del fumus commissi delicti, così come del tutto irrilevante si rivela il riferimento all’avvenuto rispetto dei parametri fissati dalla legge regionale relativamente al numero massimo di occupanti di un alloggio di dimensioni pari a quello assoggettato a sequestro, posto che la norma incriminatrice che si assume violata dalla P. punisce la cessione in locazione di un immobile ad uno straniero irregolare non già il superamento dei parametri di abitabilità.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’Impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1000,00 (mille) alla cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la corrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Redazione