Legittimo il provvedimento di sequestro su supporti informatici anche se il destinatario non è direttamente coinvolto nella frode fiscale (Cass. pen. n. 38060/2013)

Redazione 17/09/13
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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 14/1/2013, ha deciso sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di B. A. (in proprio e quale presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l. “S.F.O. Servizi”) avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal P.M. presso quel Tribunale in data 12/12/2012 avente ad oggetto (anche) supporti e materiale informatico di proprietà della s.r.l. “S.F.O. Servizi”, società detenuta integralmente dalla s.r.l. “Severgnini Family Office”, in relazione al delitto di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p., ipotizzato nei confronti di G.M.G. per avere compiuto attività dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del risparmio fiscale conseguente alla condotta di evasione delle imposte D.Lgs. n. 74 del 2000, ex artt. 3 e 4, utilizzando danaro proveniente da atti di trasferimento formalmente denominati “donazioni” ricevute da un trust cogestito dalla Severgnini Family Office s.r.l. finalizzati a redistribuire profitti del gruppo di società facenti capo al G. senza sottoporli alla tassazione ordinaria. Parte della disponibilità finanziaria conseguita con tale espediente era stata investita nell’acquisto, presso una galleria d’arte che esponeva a Parigi, di un dipinto di ************* del valore di quasi 4 milioni e mezzo di Euro, facendo altresì figurare come acquirente fittizio una società con sede in Miami amministrata da sua moglie.

Il B. aveva proposto il gravame incidentale quale terzo interessato alla restituzione dei beni ed il Tribunale – previa riqualificazione giuridica dei fatti contestati al G., che ha ricondotto alle fattispecie delittuose di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 3 e 4, – ha dichiarato “la inammissibilità dell’impugnazione relativamente alla documentazione informatica acquisita dalla polizia giudiziaria previa esclusiva estrazione di copia dal server e dai PC detenuti negli uffici della S.F.O. Servizi s.r.l.” ed ha confermato il provvedimento impugnato “per gli altri beni sequestrati al B.”.

B.A. ha proposto ricorso per cassazione tramite il proprio difensore.

a) Con un primo motivo ha eccepito violazione di legge “con riferimento alla ritenuta carenza di interesse ad impugnare il sequestro di tutti i documenti informatici”.

Viene prospettato in ricorso che il Tribunale ha ritenuto la carenza di interesse ad impugnare il sequestro di tutti i documenti in formato elettronico alla stregua del fatto che non vi sarebbe stata una materiale asportazione di tali documenti, bensì esclusivamente la copiatura degli stessi, i cui originali sarebbero rimasti tuttora in possesso della società. Tale argomentazione, però, non sarebbe corrispondente alla realtà perchè la Guardia di Finanza, in occasione dell’effettuata perquisizione, aveva Sottoposto a sequestro “n. 1 hard disk Lacie”, rinvenuto presso l’ufficio del B..

Il supporto anzidetto, mai restituito, era stato sequestrato integralmente ed in relazione ad esso i militari operanti non si erano limitati alla mera estrazione di copie.

b) Con un secondo motivo di gravame è stata eccepita la “totale assenza di motivazione in relazione al tema della non pertinenza della documentazione informatica sottoposta a sequestro”: non sarebbe stata operata, infatti, alcuna preventiva selezione dei documenti registrati sui supporti informatici, omettendosi così la doverosa verifica della loro attinenza alle contestazioni mosse nel provvedimento con cui era stato disposto il sequestro.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

1. Quanto alla prima doglianza deve rilevarsi che il Tribunale ha dichiarato la inammissibilità dell’impugnazione “relativamente alla documentazione informatica acquisita dalla polizia giudiziaria previa esclusiva estrazione di copia dal server e dai PC detenuti negli uffici della S.F.O. Servizi s.r.l.”, mentre ha confermato il provvedimento del P.M. “per gli altri beni sequestrati al B.”.

Non risulta che il ricorrente abbia chiesto espressamente la restituzione dell’hard disk Lacie dianzi specificato dando contezza dell’estraneità di quanto in esso registrato ai fatti oggetto di indagini e, qualora risultasse dimostrato che il contenuto di detto supporto informatico riguardi vicende e soggetti assolutamente diversi da quelli coinvolti nella vicenda per cui si procede, l’interesse alla restituzione (come rilevato dal Tribunale) potrà essere fatto valere con apposita istanza rivolta all’autorità giudiziaria procedente.

2. Infondato è pure il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la carenza assoluta di motivazione quanto alla pertinenza dei documenti informatici acquisiti ai reati allo stato contestati e quanto alle esigenze probatorie.

Va anzitutto chiarito che, come costantemente affermato da questa Corte, con riguardo alle misure cautelari reali, il ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p., è consentito unicamente per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, in quanto integranti il vizio di violazione di legge, e non anche per mero vizio logico della stessa (ex plurimis, sulla scia di Sez. Unite, n. 25932 del 29/5/2008, ******, vedi, Sez. 5^, n. 35532 del 25/6/2010, ********; Sez. 6^, n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. *******).

Nella specie, invece, nessuna motivazione apparente può dirsi sussistente già solo per il fatto che il Tribunale ha specificamente confutato, con riferimento a fatti concreti, l’analoga censura mossa con l’istanza di riesame.

I giudici hanno, sul punto, chiarito, infatti, che l’indagato G.M.G. è stato destinatario di tre distinti atti di donazione di ingenti importi di denaro tutti eseguiti dal “The G.M.G. trust”, costituito in Milano presso lo studio **********, ove il trust ha mantenuto il domicilio fiscale anche dopo il trasferimento della sede legale a New York.

S.A.G. risulta essere consigliere di amministrazione della “Giuliani Group” s.p.a. e (quantomeno fino al dicembre 2011) della s.p.a. “********”. La “Severgnini Family Office” s.r.l. risulta gestire uno dei trust facenti capo all’indagato G. e detenere integralmente il capitale della s.r.l. “S.F.O. Servizi”. In una situazione siffatta non può attribuirsi carattere meramente esplorativo al decreto di sequestro, che invece risulta adottato nell’ambito dell’iniziale ipotesi di reato da cui ha preso avvio l’indagine in relazione a condotte illecite delle quali è stata ampiamente illustrata dal Tribunale l’esistenza del fumus.

Da qui la logica conclusione circa la rilevanza del materiale sequestrato a fini probatori, trattandosi di supporti informatici in uso ad un soggetto comunque coinvolto, attraverso l’attività complessiva del S. e dell’organizzazione societaria a quegli facente capo, nella gestione di un trust utilizzato a fini di frode fiscale, la cui analisi può dunque certamente servire per acquisire ulteriori elementi probatori sulle ipotesi di reato per cui si procede.

Tanto basta, quindi, per ritenere del tutto infondata la doglianza del ricorrente, incentrata, appunto, sulla violazione di legge per mancanza di motivazione.

Infatti – come già rilevato da questa Sezione con la sentenza n. 24561/2012 – “se è pur vero che è illegittima l’adozione della misura cautelare reale a fini meramente esplorativi onde acquisire la notitia criminis in ordine ad un eventuale illecito non ancora individuato nella sua qualificazione giuridica e nella sua specificità fattuale, è altrettanto innegabile che il sequestro probatorio è, dal codice di rito penale, ricompreso tra i mezzi di ricerca della prova di cui al titolo 3 del libro III, sicchè, proprio in ragione della fisiologica proiezione del mezzo in vista della acquisizione di elementi probatori, onde per qualificare come esplorativo il mezzo, è necessario che lo scandaglio probatorio insito nel mezzo stesso abbia a riguardare fondali fattuali non emersi in precedenza”.

Nella specie, invece, il Tribunale ha evidenziato che quei “fondali” già risultavano in forza degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza. La preesistenza di tali elementi, nitidamente emergenti dal provvedimento impugnato, è, dunque, tale da escludere che ci si trovi in presenza di un sequestro dettato da fini meramente esplorativi essendo, invece, significativa del fatto che la finalità perseguita dal P.M. si è in realtà del tutto fisiologicamente risolta nell’attività di ricerca della prova in relazione a dati fattuali già emergenti in atti.

Deve rilevarsi, al riguardo, che il sequestro probatorio è legittimo non solo quando la condotta ipotizzata è riconducile ad una precisa fattispecie criminosa, ma anche quando tale riconducibilità è discutibile sotto il profilo giuridico, sia nel senso della possibile esclusione della condotta dall’area dell’illecito penale, sia nell’ipotesi di configurabilità, sempre in astratto, di fattispecie criminosa diversa da quella indicata nel decreto di sequestro. Il mezzo di ricerca della prova de quo, che costituisce lo strumento più idoneo ad accertare la fondatezza della notitia criminis attraverso l’acquisizione del corpo del reato e delle cose ad esso attinenti, può infatti rendersi necessario per stabilire gli esatti termini della condotta denunciata o ipotizzata, al fine non solo della configurabilità o meno di un reato, ma anche dell’inquadramento di tale condotta in una o in un’altra figura criminosa, in una fase del procedimento, quale quella delle indagini preliminari, caratterizzata dalla fluidità dell’imputazione, sia sotto il profilo fattuale che sotto il profilo giuridico (vedi Cass., Sez. 2^, n. 4306 del 17/10/1995, *******).

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2013.

Redazione