Legittimo il licenziamento della segretaria a seguito della riduzione del carico di lavoro (Cass. n. 16979/2013)

Redazione 09/07/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 ottobre 2010, la Corte d’Appello di Salerno respingeva il gravame svolto da C.G. contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato dalla ********************* per giustificato motivo oggettivo.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– C.G., dipendente della ************** s.r.l. dal 21.1.2000, con mansioni di responsabile dell’area E.D.P. Sviluppo, addetto all’installazione di programmi e dispositivi hardware e alla relativa assistenza, esponeva che, a seguito della condotta persecutoria messa in atto da M.M., in data 29.6.2007 veniva licenziato; deduceva l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo, addotto a fondamento del recesso, per non essere stata dismessa l’area E.D.P. alla quale era addetto, ed attesa la possibilità di essere reimpiegato presso altre società del gruppo;

– instauratosi il contraddittorio, la società eccepiva la decadenza dall’impugnativa del licenziamento e la legittimità del licenziamento determinato dall’affidamento all’esterno del servizio già svolto dal lavoratore, con conseguente soppressione della relativa posizione; eccepiva, inoltre, che successivamente al licenziamento non erano stati assunti altri dipendenti;

– il primo giudice, accertata la soppressione della prestazione già attribuita al dipendente e l’impossibilità di reimpiegarlo, respingeva la domanda con sentenza appellata dal lavoratore.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva, per quanto qui rileva:

– sussistente il giustificato motivo oggettivo sotteso al provvedimento espulsivo, integrato dalla riorganizzazione del ciclo produttivo con soppressione della prestazione precedentemente svolta dal C., in conformità con l’inequivocabile tenore della comunicazione di licenziamento: “la società ha deliberato di sopprimere l’area EDP – Sviluppo ragion per cui è stata soppressa la sua posizione di lavoro”;

– pacifico, tra le parti, che l’esternalizzazione decisa dalla società aveva riguardato non solo la manutenzione informatica del c.d. remoto, ma anche la manutenzione più semplice, precedentemente affidata al C.;

– dimostrata l’impossibilità di un utile reimpiego del lavoratore ed assolto il relativo onere probatorio a carico della società, sicchè le emergenze istruttorie avevano confermato che, a seguito dell’esternalizzazione del servizio, la società non aveva utilizzato dipendenti propri in tale settore, continuando a fornire gli ulteriori servizi di contabilità a società esterne;

– quanto alla pretesa ricollocabilità del dipendente in altre società del gruppo, stante la sostanziale unicità del gruppo societario del quale la società faceva parte, non era risultato assolto, dal lavoratore, l’onere di allegazione e deduzione delle concrete opportunità di reimpiego in relazione alla propria qualifica; inoltre, era pacifico che le altre società alle quali la ************** s.r.l. forniva assistenza informatica non avevano figure professionali assimilabili a quella del C. che veniva inviato presso le stesse per servizi di assistenza informatica.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. La parte intimata ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo, deducendo violazione di legge (L. n. 604 del 1966, art. 2; art. 360, n. 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.; artt. 112 e 113 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, art. 345 c.p.c.) e vizio di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia rigettato l’impugnativa del licenziamento pur non essendo risultato provato il motivo del licenziamento e non abbia indicato atti e prove esaminate per qualificare la riorganizzazione e l’esternalizzazione.

6. L’articolato motivo non è meritevole di accoglimento.

7. La doglianza investe, invero, più profili, tra i quali l’erroneo apprezzamento, da parte della Corte territoriale, del motivo di recesso senza che la comunicazione di licenziamento risulti allegata al ricorso per cassazione, o risulti indicato ove prodotta nelle fasi di merito, e senza che la critica all’interpretazione data dai Giudice del gravame sia supportata dall’allegazione dei canoni interpretativi che si pretenderebbero violati.

8. Invero, secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., n. 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 3, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).

9. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SU, n. 22726/2011).

10. Il ricorrente non ha adempiuto a tali oneri, poichè non ha fornito nel ricorso la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento della comunicazione di licenziamento su cui si fonda il motivo che risulta, pertanto, per tale profilo, inammissibile.

11. Quanto al profilo di doglianza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, viene evocato un vizio della motivazione senza specificamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.

12. Il ricorrente si è limitato a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte nel giudizio di appello senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assume il vizio di carente motivazione e richiedendo, inammissibilmente, in questa sede di legittimità, un riesame del merito.

13. Inoltre, per i profili concernenti la violazione di legge, giova, al riguardo, rammentare come, secondo l’insegnamento di questa Corte di legittimità, il vizio di violazione di legge deve svolgersi nella deduzione di un’erronea ricognizione da parte del giudice del merito della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, in coerenza con la funzione di garanzia dell’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di legittimità, mentre l’allegazione di una presunta erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, si rivela estranea all’esatta interpretazione della legge e rientra nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso il vizio di motivazione (v., ex multis, Cass. 18375/2010).

14. Tanto precisato, deve osservarsi che nel mezzo d’impugnazione non risulta specificato sotto quale aspetto la ricognizione della fattispecie astratta, operata dalla Corte di merito, appaia incompatibile con i criteri di interpretazione legale, sì da rendere l’interpretazione offerta irriducibile al contenuto precettivo della norma.

15. Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’impossibilità d’impiego alternativo, il ricorrente si duole della statuizione della Corte territoriale in tema di ripartizione dell’onere probatorio in ordine al possibile reimpiego.

Lamenta che erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto rilevante che non vi siano state, dopo il licenziamento, nuove assunzioni e che non siano stati utilizzati altri dipendenti per lo svolgimento delle mansioni in precedenza assolte. Lamenta, ancora, che la Corte territoriale lo avrebbe onerato di provare il suo possibile reimpiego presso altra società del gruppo, trascurando la peculiare utilità della sua mansione alle dipendenze della ****, di sovraintendere i rapporti con fornitori di hardware e software ed, infine, che il servizio cui era addetto non era stato mai soppresso, ma assegnato a società diverse, ragione per cui egli avrebbe potuto ancora essere utilizzato per assolvere le mansioni di preposto alla gestione dei rapporti con ditte esterne fornitrici, illustrate nella lettera di assunzione.

16. Anche questo motivo non è meritevole di accoglimento.

17. Con statuizione immune da censure la Corte territoriale ha correttamente onerato il datore di lavoro, da un lato, della prova dell’impossibilità del ricollocamento del lavoratore, ed il lavoratore, dall’altro, dell’onere di provare la ricollocabilità in altre società del gruppo societario.

18. In particolare, l’iter argomentativo della statuizione impugnata, fondato, come già esposto nello storico di lite, sulla sostanziale unicità del gruppo societario del quale fa parte la ************** s.r.l. e sull’indimostrata ricollocabilità nelle restanti società del gruppo societario per non avere il lavoratore assolto, innanzitutto, all’onere di allegazione delle concrete opportunità di reimpiego in relazione alla propria qualifica, non è risultato adeguatamente censurato.

19. La critica svolta, al riguardo, dal lavoratore si è imperniata esclusivamente sull’evocata peculiare utilità delle mansioni assolte alle dipendenze della ****, di sovraintendere i rapporti con fornitori di hardware e software, senza scalfire la statuizione della Corte di merito con adeguate censure non implicanti un inammissibile riesame del merito in questa sede di legittimità.

20. Invero, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Dunque, il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo e, in riferimento al ricorso per Cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass. 359/2005).

21. Nel caso di specie, come già premesso, non sono state svolte specifiche argomentazioni critiche rispetto alle ragioni che la sentenza impugnata ha posto a fondamento delle decisive affermazioni relative all’infondatezza della domanda anche per i profili inerenti all’obbligo di repechage.

22. Ciò determina l’intangibilità, siccome non oggetto di idonea censura, della ratio decidendi che sostiene il decisum.

23. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2013.

Redazione