Legittimo il licenziamento del dipendente per denuncia eccessiva e infondata contro l’azienda (Cass. n. 7499/2013)

Redazione 26/03/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 5 agosto 2009 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di N.P., responsabile meccanico di quinto livello del CCNL, volta ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento in tronco comminatogli dalla T. S.p.A.

La società, di gestione dell’inceneritore di Piacenza, aveva contestato al lavoratore plurime mancanze (mancate verifiche e loro indicazione nel quaderno, mancata compilazione schede, mancato controllo dei meccanici) ritenute idonee, anche in via separata ed autonoma, a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. Inoltre, in relazione all’esposto del 7/6/2004, inviato dal lavoratore alla direzione della T. ed il giorno successivo all’Ispesl, alla ASL di Piacenza, all’Ispettorato del Lavoro, all’Inail e al RINA, quale istituto di certificazione, la società aveva contestato al lavoratore la gravissima violazione degli obblighi di lealtà, fiducia, correttezza e buona fede con chiara volontà emulativa non tollerabile per avere utilizzato uno strumento, quello della denuncia, per finalità abusive e distorte con toni ed espressioni colorite in modo da screditare l’operato della società e suscitare un grave allarme. Con detto esposto il P. aveva denunciato che, in occasione di un guasto in una caldaia, non era stato avvisato sebbene egli fosse il responsabile, ed erano stati fatti intervenire due tecnici, nonostante avessero questi già svolto numerose ore di lavoro straordinario e fossero privi della qualifica necessaria; che pertanto tali lavori erano stati eseguiti non a regola d’arte in modo empirico e grossolano non rispettando i procedimenti di saldatura, di collaudo e con mezzi inadeguati ed improvvisati; che in precedenza erano state effettuate altre riparazioni sempre in modo empirico e superficiale; che, invece, sarebbe stato necessario operare nel rispetto delle normative vigenti per garantire sicurezza ai lavoratori e anche alla popolazione residente nelle zone limitrofe; che gli interventi erano stati disposti secondo le direttive dei superiori lasciando al P. solo compiti marginali e di nessuna importanza.

La Corte d’appello, ribadito il rigetto della prova per testi richiesta dal lavoratore e non ammessa dal Tribunale, ha ritenuto il licenziamento posto in essere nel rispetto del requisito dell’immediatezza atteso che le presunte mancanze si sarebbero verificate il 7 giugno 2004 ed il 16 giugno 2004 e la loro contestazione era avvenuta in data 5 luglio 2004.

La Corte territoriale ha, poi, osservato che l’esposto inviato dal lavoratore doveva essere riguardato alla luce dei limiti generalmente riconosciuti al diritto di critica. Ha rilevato che dalla prova testimoniale era stato accertato che l’Ispels, a seguito dell’esposto del lavoratore, aveva eseguito un’ispezione in data 22 giugno 2004 sulla caldaia con fermata dell’impianto; che all’esito del controllo non erano stati effettuati rilievi o sanzioni non sussistendo alcun pericolo né per la caldaia né per il personale; che la riparazione risultava eseguita correttamente e che nel mese di marzo erano già state pianificate riparazioni definitive, eseguite nel mese di luglio, delle due caldaie interessate dalle riparazioni provvisorie.

La Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’esposto era idoneo, anche per le espressioni usate, a screditare il datore di lavoro ed a lederne l’immagine; sotto il profilo della cosiddetta continenza formale era carente di misura, correttezza, ed obiettività trascendendo il mero intento informativo; mentre sotto il profilo della cosiddetta continenza sostanziale conteneva accuse risultate non fondate e frutto piuttosto della reazione di chi, ritenendosi professionalmente non considerato e non ricevendo l’auspicato supporto a livello sindacale, sperava nell’ eventuale sostegno degli istituti competenti.

Avverso detta sentenza propone ricorso in cassazione il P. formulando quattro motivi.

Si costituisce la società T. depositando controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art 378 cpc.

 

 

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 421 c.p.c. (art. 360 n 3 c.p.c.), nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, (art. 360 n 5 cpc).

Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di confermare il provvedimento del Tribunale di rigetto della richiesta prova per testi formulata dal ricorrente e l’ammissione, in modo contraddittorio, soltanto del teste ingegner P., tecnico dell’Ispesl nonché dell’ingegner M., responsabile della sicurezza e delle certificazioni della società. Lamenta inoltre che il giudice sebbene sollecitato non abbia inteso esercitare i poteri istruttori ufficiosi.

La censura è inammissibile oltre che infondata. Il ricorrente ha omesso di riportare i capitoli di prova, della cui mancata ammissione si duole, o almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in violazione del principio dell’autosufficienza, onde consentire al giudice di legittimità la verifica, sulla sola base di tale atto di impugnazione e senza necessità di inammissibili indagini integrative, della validità e della decisività delle disattese deduzioni istruttorie.

Deve, inoltre, rilevarsi che la Corte territoriale ha espressamente motivato la mancata ammissione dei mezzi istruttori sottolineando che la prova richiesta, oltre ad essere inerente a circostanze pacifiche o inconferenti, finiva con il richiedere ai testi un’inammissibile interpretazione soggettiva dei fatti. Le censure del ricorrente non hanno neppure riguardato in modo specifico i rilievi mossi dalla Corte d’Appello alle richieste istruttorie del lavoratore.

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione falsa e applicazione dell’articolo 7, comma 2 della legge n. 300 del 1970 (art. 360 n 1, 3 cpc).

Censura la sentenza in quanto ha ritenuto non violato il principio dell’immediatezza della contestazione. Rileva infatti che le mancanze si sarebbero verificate il 7 giugno 2004 ed il 16 giugno 2004 e che la contestazione era avvenuta il 5 luglio 2004 .

La censura è infondata .

Questa Corte ha più volte affermato che “nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito e della tempestività del recesso datoriale, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore, ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso; in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato” (cfr tra le altre, Cass. n.7889/96; Cass. n. 10618/02; Cass. n. 6228/04).

Nella fattispecie in esame il Collegio ha ritenuto che il lasso di tempo tra il verificarsi delle presunte mancanze (7/6/04 e 16/6/04) e la loro contestazione (5/7/04) non fosse lungo né irragionevole anche a fronte dell’esigenza di attendere e di valutare gli esiti dell’ispezione da parte dell’Ispesl.( avvenuta il 22/6/2004).

La Corte territoriale ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte avendo valutato il momento in cui la T. era venuta a conoscenza dei fatti poi contestati al lavoratore e della loro effettiva gravità.

3) Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2104 CC, dell’articolo 5 del dlgs n 626 del 1994, dell’articolo 12 del C.C.N.L. (art. 360 n 3 cpc).

Rileva che il Tribunale aveva valutato il comportamento del lavoratore nell’ambito del diritto di critica e aveva ritenuto che avesse travalicato i limiti generalmente riconosciuti della cosiddetta continenza formale e sostanziale.

Osserva, invece,che in base alla sua qualifica il P. era responsabile dei collaudi, delle verifiche, e dei controlli dei lavori di natura specialistica eseguiti, nonché della verifica del rispetto delle norme e dei parametri di funzionamento dell’impianto. L’esposto da lui inviato doveva essere considerato,pertanto, non già quale estrinsecazione del diritto di critica riconosciuto al lavoratore, ma quale preciso obbligo giuridico scaturente dal contratto di lavoro di denunciare una situazione di pericolo anche solo potenziale per l’incolumità dei lavoratori.

Le censure sono infondate . La Corte territoriale ha correttamente valutato il comportamento del lavoratore alla luce dei limiti generalmente riconosciuti al diritto di critica atteso che il P. ha manifestato il suo dissenso agli organi preposti ai controlli (all’Ispesl, alla ASL di Piacenza, all’Ispettorato del Lavoro , all’Inail e al RINA). Il lavoratore, infatti, non si è limitato a denunciare i fatti al datore di lavoro in adempimento degli obblighi su di lui gravanti in relazione alle mansioni svolte, ma ha portato a conoscenza il suo dissenso anche al di fuori del rapporto con la T..

La Corte d’appello, dopo aver rilevato che la facoltà di denuncia del lavoratore non è di per sé illegittima, ha osservato che , a seguito dell’esposto del lavoratore vi era stata un’ispezione da parte dell’Ispels con fermata dell’impianto ; che l’ispezione non aveva evidenziato alcun pericolo né per la caldaia, né per il personale né per la popolazione vicina; che la riparazione era stata fatta in modo adeguato e conforme . La Corte territoriale ha, pertanto, concluso(-con motivazione in fatto logica ed incensurabile in questa sede,che non ricorrevano i presupposti della continenza sostanziale e formale. In particolare la Corte territoriale ha sottolineato che la denuncia del ricorrente circa un modo di operare nell’azienda in contrasto con le prescrizioni imposte ed in grado di pregiudicare la sicurezza dei lavoratori e della popolazione era senz’altro idonea “anche per le espressioni adoperate (v. l’utilizzazione delle locuzioni mettendo una pezza come si faceva un tempo sugli strappi dei pantaloni e facendo un fritto misto, )…. a screditare il datore di lavoro ed a lederne l’immagine e, sotto il profilo della cd. continenza formale , era carente di misura, correttezza ed obiettività trascendendo il mero intento informativo, mentre, sotto il profilo della cd. continenza sostanziale, conteneva accuse risultate non fondate ..e frutto piuttosto della reazione di chi ritenendosi professionalmente non considerato .. .e non ricevendo l’auspicato supporto a livello sindacale ….spera nel sostegno degli istituti competenti…”

4) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 della Costituzione, dell’art. 1 dello statuto dei lavoratori, degli articoli 1175, 1375, 2105 CC (art. 360 n 3 cpc) nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo (art. 360 n 5 cpc).

Rileva che erroneamente la Corte d’Appello aveva affermato che l’ispezione dell’Ispels effettuata in data 22 giugno 2004 era stata conseguenza dell’esposto del lavoratore e denuncia che l’affermata infondatezza dell’esposto del lavoratore risultava sfornita di ogni prova. Eccepisce inoltre, che i fatti denunciati non giustificavano il licenziamento che poteva ritenersi legittimo solo allorché la forma della critica posta in essere dal lavoratore non fosse civile o improntata a leale chiarezza, ipotesi non sussistente nella fattispecie . Osserva che , comunque l’esposto era stato indirizzato anche all’azienda ed egli si era limitato a denunciare un fatto che aveva l’obbligo giuridico di denunciare. Anche tale censura risulta infondata.

La Corte d’Appello ha valutato il comportamento del P. con giudizio immune da vizi che, investendo una questione di merito, sfuggono al sindacato della Cassazione. Il ricorrente si limita a proporre una diversa valutazione dei fatti formulando in definitiva una richiesta di duplicazione del giudizio di merito, senza evidenziare contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata o lacune così gravi da risultare detta motivazione sostanzialmente incomprensibile o equivoca . Costituisce principio consolidato che “Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.” (Cass n. 2357 del 07/02/2004; n. 7846 del 4/4/2006; n. 20455 del 21/9/2006; n. 27197 del 16/12/2011).

La Corte territoriale ha valutato la gravità degli addebiti e la loro idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento con apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. In particolare ha affermato che all’esito dell’istruttoria risultava accertato che l’ispezione, con fermata dell’impianto, era seguita alla denuncia del P. e che l’esito della stessa era del tutto favorevole alla società con conseguente accertamento dell’infondatezza dei fatti denunciati dal lavoratore. Le argomentazioni della Corte appaiono condivisibili e plausibili con la conseguenza che anche tale motivo deve essere respinto.

La sentenza impugnata, pertanto, resiste a tutte le censure ad essa rivolte. Le spese processuali liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla contro ricorrente le spese processuali liquidate in € 50,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Redazione