Legittimo il diniego della concessione in sanatoria se le opere non sono conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. Stato n. 3235/2013)

Redazione 11/06/13
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FATTO

1. L’odierno gravame invoca la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, n. 5220, pubblicata il 5 dicembre 2001 e per l’effetto, in accoglimento dei ricorsi di primo grado, l’annullamento:

a) dell’ordinanza del Comune di Benevento n. 396 del 12 maggio 1999 di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 13, l. n. 47/1985, presentata in data 28 aprile 1999 dall’odierno ricorrente;

b) di ogni altro atto preordinato connesso e consequenziale, ivi compresa la relazione del responsabile del procedimento ed il parere della Commissione edilizia richiamato nell’ordinanza sub I;

c) dell’ordinanza del Comune di Benevento n. 1133699 del 2 giugno 1999 di demolizione delle opere abusive ivi indicate e del ripristino dello stato dei luoghi;

d) di ogni altro atto preordinato connesso e consequenziale ivi compresa la relazione del responsabile del procedimento ed il parere della Commissione edilizia del 10 maggio 1999.

2. Il primo giudice respingeva le censure proposte dal ******* evidenziando:

a) l’assenza del lamentato difetto di motivazione del provvedimento di diniego di condono edilizio, rilevando a tal fine la sufficienza del richiamo alla relazione del responsabile del procedimento, al parere della Commissione edilizia ed all’incremento volumetrico determinato dalle opere in un’area satura del vigente P.R.G. del Comune di Benevento “che non trova riscontro nella ipotesi di adeguamento igienico-sanitario atteso che l’appartamento è già dotato di vano cucina e vano bagno”;

b) l’assenza della prospettata violazione dell’art. 13, l. n. 47/1985, del regolamento edilizio comunale, nonché delle prescrizioni dello strumento urbanisitico in quanto, in omaggio alla normativa statale, l’accertamento di conformità dell’opera eseguita in assenza di concessione edilizia deve essere effettuato alla stregua degli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati, mentre nella fattispecie tale circostanza non ricorre, perché non si è di fronte ad un mero adeguamento, ma ad un ampliamento volumetrico;

c) l’assenza della prospettata violazione degli artt. 7, 8 e 13, l. n. 47/1985, e degli artt. 53 e 67 del regolamento edilizio comunale, in quanto la trasformazione di un balcone in veranda con allocazione nella stessa di servizi igienici in aggiunta a quelli già esistenti costituisce un ambiente nuovo con aggravio di volumetria;

d) l’assenza del difetto di interesse pubblico alla rimozione dell’opera, che si evince immediatamente dal riferimento contenuto nell’ordine di demolizione all’illecito edilizio accertato, che ha natura giuridica di atto vincolato;

e) l’assenza della violazione degli artt. 7 e 8, l. n. 47/1985 e degli artt. 53 e 67 del regolamento edilizio comunale, in quanto gli intereventi in questione non possono rientrare nella nozione di manutenzione straordinaria;

f) l’inammissibilità della censura con la quale si sostiene la doverosità del provvedimento in sanatoria, perché spiegata avverso l’ordinanza di demolizione e l’infondatezza della stessa per quanto esposto supra sub b).

3. Con atto d’appello notificato il 3 maggio 2002 il ******* ha contestato le ragioni poste dal primo Giudice a fondamento della pronuncia gravata. In particolare ha opposto che:

a) il diniego di sanatoria è viziato per difetto di motivazione, in quanto non risultano indicate le norme poste a fondamento del provvedimento negativo adottato dall’amministrazione comunale;

b) erroneamente l’opera non è stata ritenuta conforme agli strumenti urbanistici vigenti al momento della sua realizzazione, al momento della richiesta della sanatoria ed al momento dell’adozione del diniego. Ed, infatti, l’opera è stata realizzata nel 1969 nella vigenza della l. n. 765/1967, che non prevedeva alcun limite in ordine ai fabbricati esistenti se non previsto a livello di piano, che, però, è intervenuto solo nel 1972. Ancora al tempo della presentazione della domanda come dell’adozione del diniego il P.R.G. vigente qualifica la zona come B3, prevedendo la possibilità di limitati incrementi di volumetria fino al 15%. Sempre in omaggio alla stessa disciplina di piano può essere considerato come adeguamento igienico-sanitario, perché è servito a realizzare la posa della vasca da bagno prima non presente;

c) l’intervento edilizio in questione per le sue ridotte dimensioni non era comunque soggetto a concessione ed in ossequio alla disciplina contenuta nel regolamento edilizio comunale la natura di risanamento igienico-sanitario dell’opera ne imponeva la doverosità; ancora le opere in questione rientravano tra quelle assentibili con mera d.i.a. secondo quanto disposto dall’art. 2, comma 60, l. n. 662/1996, con la conseguente necessità di sanzionarne la mancata richiesta con mera sanzione pecuniaria;

4) difetta un’adeguata motivazione dell’ordinanza di demolizione, che non può non essere di particolare spessore, quando intervenga a lunga distanza di tempo.

4. Con memoria depositata il 29 maggio 2002 si è costituito il Comune di Benevento che ha invocato la reiezione dell’appello.

5. Con memoria di discussione del 10 aprile 2013 l’odierno appellante ha reiterato le censure esposte nell’atto d’appello, arricchendole con riferimenti alla più recente giurisprudenza amministrativa in materia.

6. All’udienza del 14 maggio 2013 la causa è stata trattenuta in giudizio per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.

2. Preliminarmente il Collegio deve rilevare che in sede d’appello sono state proposte per la prima volta doglianze non esplicitate nei ricorsi di primo grado e che si pongono, quindi, in aperta violazione con il divieto dei nova in secondo grado posto dall’art. 104 comma 1, c.p.a. In particolare, all’interno del II motivo alla pagina 15 dell’atto di appello si introduce in modo non consentito un’ulteriore censura inerente la violazione delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Benevento adottate con delibera di C.C. n. 1266 del 17 luglio 1986, che non è mai stata paventata in primo grado. Si deduce, surrettiziamente, come vizio della sentenza, una censura che sarebbe eventualmente propria del diniego di sanatoria e che doveva essere prospettata entro i termini decadenziali contro quest’ultimo. Pertanto, della stessa non potrà tenersi conto in seconde cure.

3. Quanto alle residue censure le stesse appaiono tutte infondate. Ed infatti, corretta è la pronuncia gravata nella parte in cui esclude che il diniego di sanatoria sia inficiato da un difetto motivazionale. Appare evidente che l’onere motivazionale che grava in capo alla p.a. rinviene la sua giusta misura nell’esigenza che il destinatario del provvedimento sia messo in grado di percepire quali siano le ragioni che hanno portato al diniego dell’istanza proposta (Cons. St., Sez. II, 24 maggio 2006, n. 7681; Id. 5 febbraio 1997, n. 336). Pertanto, se non risulta sufficiente il generico richiamo alla norma di legge (Cons. St., Sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750), è consentito adoperare una motivazione che sia pure in modo sintetico ovvero attraverso un meccanismo motivazionale che utilizza il rinvio per relationem al contenuto di atti endoprocedimentali, come nella fattispecie, esterni le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza, così da consentire al privato di valutare l’opportunità di un’eventuale reazione giurisdizionale. Nel caso in esame, quindi, il rinvio alla relazione del responsabile del procedimento e della Commissione edilizia, unitamente alla contrarietà derivante dalla circostanza che l’opera sananda comportava un incremento volumetrico non consentito, anche perché non riconducibile nell’ambito dell’ipotesi di adeguamento igienico-sanitario, risulta soddisfare il precetto contenuto nell’art. 3, l. n. 241/1990.

4. In ordine alla seconda censura, appare condivisibile la premessa giuridica da cui parte, e rispetto alla quale non si registra alcuna difformità con la sentenza gravata, circa la necessità della conformità del manufatto oggetto di sanatoria con la disciplina urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, con quella vigente al momento della presentazione dell’istanza e con quella al tempo dell’adozione del provvedimento. Non condivisibile, è invece, la conclusione raggiunta dall’appellante circa il soddisfacimento della regola in esame da parte della richiesta dell’interessato. Infatti, la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo chiarito che ai sensi dell’art. 13 L. 28 febbraio 1985 n. 47, è legittimo il diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306; sez. IV, n. 6474 del 2006; sez. V, n. 1126 del 2009; sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914). Questa doppia conformità non si registra nel caso in esame, perché, come correttamente precisato dal Giudice di prime cure, l’incremento volumetrico realizzato con la trasformazione del balcone in veranda è estranea al concetto di adeguamento igienico-sanitario, che non risulta consentito, in mancanza di espressa disposizione, se non a parità di volumetria. Va evidenziato, infatti, come il regime previsto dal P..R.G. del Comune di Benevento al tempo della presentazione dell’istanza di sanatoria e dell’adozione del provvedimento di diniego, qualificava l’area su cui insiste l’immobile dell’appellante, come zona B3 all’interno della quale risultavano consentito interventi sull’esistente comportanti opere di ristrutturazione e di adeguamento igienico-sanitario, ossia interventi che concettualmente non possono caratterizzarsi per un aumento di volumetria dell’immobile sul quale vengono eseguiti (Cons. St., Sez. V, 15 aprile 2004, n. 2142).

5. Del tutto destituita di fondamento appare anche la paventata violazione degli artt. 7 e 8 l. n. 47/1985; degli artt. 53 e 67 del regolamento edilizio comunale; dell’art. 2, comma 60, l. n. 662/1996.

5.1. Esaminando partitamente le cennate censure si apprezza agevolmente che:

a) appare inconferente il richiamo alla differenza tra gli artt. 7 e 8, l. n 47/1985, perché la possibilità di invocare la seconda delle norme citate che dispone una sanzione pecuniaria piuttosto che la demolizione del manufatto, può applicarsi solo nell’ipotesi, non ricorrente nella fattispecie, in cui rispetto alla concessione edilizia assentita la difformità non sia essenziale. Ma ciò suppone la sussistenza di due condizioni che nel caso in esame non ricorrono. Ossia, da un lato, che in relazione alla concessione rilasciata il titolare della stessa realizzi un’opera che presenti difformità rispetto al progetto assentito; dall’altro, che la difformità si traduca in una variazione non essenziale. Nella controversia all’attenzione del Consiglio, infatti:

I) la realizzazione del manufatto abusivo è del tutto slegata temporalmente dalla realizzazione dell’abitazione;

II) la variazione non può dirsi non essenziale in ragione dell’aumento volumetrico realizzato (cfr.Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2007, n. 5942) e delle modifiche strutturali recata all’abitazione, considerato che un balcone viene eliminato per essere accorpato all’abitazione e muta destinazione divenendo superficie abitabile;

b) allo stesso modo non può desumersi la doverosità dell’intervento edilizio de quo dall’esame degli artt. 53 e 67 del regolamento edilizio comunale, giacché non può assimilarsi al risanamento igienico-edilizio l’ampliamento del bagno attraverso la chiusura del balcone per la posa ivi della vasca;

c) né può concludersi che l‘opera realizzata ricada nell’ambito di applicazione della disciplina di cui all’art. 2, comma 60, l. n. 662/1996, poiché l’aumento di volumetria non appare compatibile con la manutenzione straordinaria, il restauro o il risanamento conservativo.

6. Infine, quanto all’ultima delle censure in esame, incentrata sulla presunta illegittimità dell’ordine di demolizione per difetto di motivazione, appare sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questo Consiglio in merito alla natura vincolata dell’ordine di demolizione: “L’attività sanzionatoria della P.A. sull’attività edilizia abusiva è connotata dal carattere vincolato e non discrezionale . Infatti il giudizio di difformità dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo rilasciato , che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni , non è affatto connotato da discrezionalità tecnica , ma integra un mero accertamento di fatto . Pertanto , il giudice può verificare la correttezza di tale attività accertativa svolta dalla P.A. , non diversamente da quanto avviene allorché controlla l’esattezza di accertamenti tecnici condotti dalla P.A. in altri contesti” (Cons. St., Sez. IV, 17 maggio 2010, n. 3126), per escludere la sussistenza del supposto vizio motivazionale atteso che: “L’ordine di demolizione di opere edilizie abusive è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare” (Cons. St., Sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79). Del resto, un eventuale affidamento a favore dell’amministrato potrebbe solo sorgere all’indomani della conoscenza che l’amministrazione abbia dell’esistenza del manufatto, rispetto alla quale mantenga una colpevole inerzia e non come nel caso di specie dove l’intervento repressivo è stato disposoto dopo pochi giorni il diniego di sanatoria (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5523 del 2012; VI, n. 7129 del 2010).

7. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

8. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, anche tenendo conto ai sensi del comma 1 dell’art. 26 c.p.a. del mancato rispetto del principio di sinteticità.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, (Ricorso n. 3874/2002) lo rigetta.

Condanna ********* alla rifusione alle spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in 5.000,00 euro (cinquemila/00), oltre accessori, a favore del Comune di Benevento.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013

Redazione