Legittimo il contratto a termine anche nell’ipotesi di sostituzione per scorrimento (Cass. n. 6787/2013)

Redazione 19/03/13
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Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice del lavoro di Milano, B.C. agiva per l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato con la Fondazione Istituto Sacra Famiglia a far tempo dall’11.2.2002 e per l’accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, mai validamente interrotto, con condanna della Fondazione al pagamento delle retribuzioni perdute dal primo atto di messa in mora (24.10.2003) alla effettiva riammissione in servizio.

Il contratto a tempo determinato recava la seguente causale: “in sostituzione di L.G., dipendente a tempo indeterminato, assente dal servizio in quanto incaricata temporaneamente in qualifica superiore e contemporaneamente trasferita presso altra struttura dell’ente”. La ricorrente aveva contestato che il caso potesse ricondursi alla fattispecie di cui all’art. 19 c.c.n.l. di settore, dato che la sostituzione aveva riguardato una dipendente spostata ma non assente, mentre altra dipendente, Ba.El., la cui assenza per maternità secondo l’assunto della datrice di lavoro aveva determinato lo scorrimento della L., non era menzionata nel contratto.

In primo grado la domanda veniva respinta e l’appello proposto dalla lavoratrice era rigettato dalla Corte di appello di Milano con sentenza depositata il 30 ottobre 2007. Osservava la Corte di merito che l’art. 19 lettera J) del c.c.n.l. personale non medico ********* consentiva l’assunzione a termine del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto e, se era vero che la sostituzione indicata formalmente nel contratto si riferiva ad una dipendente che era restata in servizio venendo solo spostata a mansioni superiori, la causale era risultata collegata ad una effettiva assenza di altra dipendente per maternità. L’esigenza di sostituire la Ba. aveva determinato lo spostamento della L., le cui mansioni erano così state assegnate alla B.. Osservava che, secondo giurisprudenza costante, nel caso di assunzioni a termine ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. B, per la sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, è possibile lo scorrimento, anche a catena. Nel caso specifico, in un primo momento alla B. venne comunicata la cessazione del rapporto al 6.12.2002, data coincidente con quella in cui sarebbe dovuto avvenire il rientro in servizio della Ba.;

successivamente però, slittato il rientro della Ba. al 4 febbraio successivo, con impiego provvisorio al riordino degli archivi (in relazione alle disposizioni a tutela della maternità), la B. venne mantenuta fino al definitivo rientro della dipendente sostituita nell’attività lavorativa espletata prima della maternità. Pertanto, il solo fatto che nel contratto fosse indicata la lavoratrice spostata per scorrimento piuttosto che quella all’origine dell’esigenza sostitutiva non poteva inficiare la legittimità dell’apposizione del termine, effettivamente collegato all’esigenza sostitutiva di una lavoratrice assente con diritto alla conservazione del posto.

Avverso tale sentenza ora ricorre per cassazione B.C., con due motivi che si concludono con quesiti multipli.

Resiste con controricorso la Fondazione Istituto Sacra Famiglia.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 19, lett. j) c.c.n.l. per il personale non medico AIOP del 27.6.2000, art. 1362 c.c. e segg., L. n. 230 del 1962, art. 1, lett. b), e L. n. 56 del 1987, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè error in procedendo per ultrapetizione (art. 112 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il contratto individuale recava un’unica causale, costituita dalla necessità di sostituire la lavoratrice L.G., indicata come “assente dal servizio”; l’assunzione era posta in relazione alla “durata dell’incarico della titolare”. Il contratto, stipulato successivamente al 24.10.2001 con richiamo delle ipotesi di cui al c.c.n.l. vigente – individuate in esecuzione del disposto di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, applicabile in via transitoria in forza del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, comma 1, -, rinviava dunque alla fattispecie di cui all’art. 19 lett. j) c.c.n.l.. Il giudice di appello aveva violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) poichè non si era pronunciato sull’eccezione di nullità del termine sollevata dalla ricorrente per violazione dell’anzidetta clausola contrattuale, riferibile unicamente ad ipotesi di sostituzione di lavoratori effettivamente assenti dal lavoro. Omettendo di pronunciare su tale tema, aveva ritenuto la validità del contratto affrontando una questione diversa, costituita dalla verifica della legittimità dell’assunzione per esigenze sostitutive in ipotesi di scorrimento. In tal modo non aveva esaminato l’eccezione secondo cui la L., indicata come lavoratrice sostituita, era sempre rimasta presente in servizio, benchè assegnata a mansioni diverse; dal 6 dicembre 2002 (data del rientro della Ba.) al 5 aprile 2003 (data in cui la L. venne assegnata in via definitiva alla qualifica superiore e data di cessazione del rapporto di lavoro della B.), si era verificata la contestuale presenza in servizio, seppure con altro incarico, sia della Ba. che della L..

La ricorrente chiede, dunque, a questa Corte se il giudice di appello, nell’esaminare il gravame concernente la legittimità di un termine apposto al contratto di lavoro subordinato secondo le ipotesi contrattuali collettive ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, debba o meno attenersi a quanto prospettato dalle parti nello svolgimento degli atti e nella articolazione delle difese, senza introdurre nuove interpretazioni degli atti e dei documenti di causa, e in particolare senza fondare la propria decisione in tutto o in parte su una interpretazione della causale della clausola temporale che si discosti da quella dedotta dalla parte datoriale appellata nel primo e nel secondo grado di giudizio. Chiede dunque se la legittimità della clausola temporale apposta al contratto di lavoro dovesse essere valutata solo in base alla interpretazione connessa alla risposta affermativa resa sul precedente quesito e se il diverso esame da parte del giudice di appello concreti la violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento.

La questione posta con il primo articolato quesito è infondata.

Innanzitutto, non ricorre il denunciato vizio di ultra o extra petizione di cui all’art. 112 c.p.c., il quale sussiste quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio va posto in immediata correlazione con il principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, rimanendo pertanto sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. 13 dicembre 2010 n. 25140; pure Cass. 7620 del 31 marzo 2006).

Nel caso di specie, il giudice di merito non ha introdotto d’ufficio elementi di cognizione estranei alle deduzioni delle parti, in quanto la Fondazione Istituto Sacra Famiglia aveva prospettato, sin dal primo grado, proprio la legittimità delle sostituzioni per scorrimento deducendo di essere ricorsa all’assunzione a tempo determinato della B. per sopperire all’esigenza di copertura del posto lasciato scoperto dalla Ba., assente per maternità, e di avere ovviato a tale esigenza con il temporaneo affidamento delle mansioni esercitate dalla persona assente ( Ba.) ad altra lavoratrice già presente nell’organizzazione ( L.), a sua volta sostituita dalla ricorrente, assunta a tempo determinato per tutta la durata dell’assenza della prima persona sostituita.

Pertanto, i fatti su cui si fonda la sentenza impugnata erano stati tutti allegati dalla parte convenuta sin dal primo grado e sulla base di tali elementi, ritualmente acquisiti al giudizio, il giudice ha fornito la sua qualificazione, ritenendo ammissibile e legittima l’assunzione a termine in caso di sostituzione per scorrimento. Con tale soluzione veniva implicitamente disattesa la diversa interpretazione proposta dalla parte ricorrente secondo cui l’assunzione a termine avrebbe dovuto riguardare unicamente la lavoratrice nominativamente indicata nel contratto individuale.

Stante l’insussistenza del lamentato error in procedendo, occorre esaminare i restanti quesiti relativi al primo motivo con i quali si chiede: a) di affermare che la L. n. 56 del 1987, art. 23, ha consentito l’introduzione ad opera delle parti sociali (in via di eccezione) di ipotesi (ulteriori ma pur sempre) tassative di assunzione a termine in aggiunta a quelle indicate dalla L. n. 230 del 1962; b) di negare che le clausole di apposizione del termine così individuate nel contratto collettivo possano essere interpretate in via estensiva o analogica; c) di affermare che la clausola di cui all’art. 19 lett. j) del c.c.n.l. citato, laddove introduce una ipotesi aggiuntiva di assunzione a termine ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, e L. n. 230 del 1962, con le parole “per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (malattia, maternità, aspettativa facoltativa, infortunio, permessi, servizio militare o sostitutivo civile, ecc.)”, intende consentire l’assunzione a tempo determinato solo per sostituire lavoratori effettivamente assenti dall’attività lavorativa escludendo invece la diversa ipotesi di assunzione a tempo determinato per sostituire lavoratori presenti in servizio ma adibiti dal datore ad incarichi diversi da quelli abitualmente svolti che invece deve ritenersi così estranea a quella di cui a detto art. 19 lett. J).

I quesiti, così come formulati, sono inammissibili perchè eludono l’iter logico sotteso alla sentenza impugnata, la quale non si fonda su una presunta lettura estensiva o analogica delle previsioni di cui all’art. 19 c.c.n.l. di settore, ma, partendo dal dato di fatto (pacifico in giudizio) costituito dall’esigenza organizzativa di sostituire una lavoratrice effettivamente assente dal lavoro con diritto alla conservazione del posto – e dunque in presenza di una delle ipotesi contrattualmente previste dalle parti sociali (“…J: per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (malattia, maternità, aspettativa facoltativa, infortunio, permessi, servizio militare o sostitutivo civile, ecc.)”) – ha affrontato la questione della ammissibilità della sostituzione per scorrimento, risolvendola positivamente.

L’interpretazione si è dunque mossa nell’alveo della fattispecie contrattualmente prevista della sostituzione del lavoratore assente dal lavoro con diritto alla conservazione del posto per le particolari ipotesi previste dal contratto collettivo, tra le quali rientra l’assenza per maternità.

L’interpretazione seguita dalla Corte milanese è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte affermato che il lavoratore assunto a termine ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b), per la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, non deve essere necessariamente destinato alle medesime mansioni e/o allo stesso posto del lavoratore assente, atteso che la sostituzione ipotizzata dalla norma va intesa nel senso più confacente alle esigenze dell’impresa; pertanto, non può essere disconosciuta all’imprenditore – nell’esercizio del potere autorganizzatorio – la facoltà di disporre (in conseguenza dell’assenza di un dipendente) l’utilizzazione del personale, incluso il lavoratore a termine, mediante i più opportuni spostamenti interni, con conseguente realizzazione di un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena, sempre che vi sia una correlazione tra assenza ed assunzione a termine, nel senso che la seconda deve essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell’azienda per effetto della prima (Cass. n. 11699/2003; v. pure Cass. n. 16661/04, conf. nn. 23761/2009, 3598/2010).

Tale orientamento interpretativo vale anche a disciplinare le fattispecie relative a contratti a termine per ragioni sostitutive ricadenti nel regime di cui alla L. n. 56 del 1987. Questa ha attribuito alla contrattazione collettiva l’identificazione delle ipotesi nelle quali è ammissibile l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, che possono essere anche diverse e più ampie di quelle previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, inserendosi pur sempre nel sistema delineato dalla tale legge (cfr., ex plurimis, Cass. 28 giugno 2006 n. 14877, nonchè Cass. Cass. 6 agosto 2004 n. 15297, 7 marzo 2005 n. 4862).

Quanto alla necessità che occorra una “correlazione di tipo causale” tra l’attività del lavoratore assunto in sostituzione e quella del lavoratore sostituito, onde potere affermare che l’assunzione sia comunque riconducibile, eventualmente attraverso più passaggi, alla sostituzione di un lavoratore assente, impedito a svolgere la prestazione, deve rilevarsi che la valutazione della sussistenza di questo rapporto di correlazione causale costituisce giudizio di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, quando la relativa motivazione sussista, sia sufficiente e non sia contraddittoria (cfr. Cass., 30 luglio 2003, n. 11699). Nella stessa logica ed entro gli stessi limiti deve ritenersi che in caso di assunzione a termine di un lavoratore in sostituzione di un altro assente, per il periodo dell’assenza, il datore potrà esercitare nei confronti del lavoratore a termine quel medesimo jus variandi che avrebbe potuto esercitare nei confronti del lavoratore sostituito.

Nel caso in esame, il giudice di appello ha ravvisato la sussistenza di tali presupposti, avendo accertato, mediante accertamento di merito non censurabile in questa sede se non sotto il profilo del vizio di motivazione, la correlazione causale tra le diverse posizioni lavorative interessate dallo scorrimento.

Con il secondo motivo si denuncia omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) su uno specifico motivo di appello, avente ad oggetto il capo della sentenza di primo grado con cui venne respinta l’eccezione di nullità della clausola contrattuale per mancata indicazione delle percentuali massime consentite. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’ipotesi de qua fosse già sufficientemente definita, tale cioè da non richiedere la specificazione del limite percentuale, a differenza delle altre ipotesi, più genericamente correlate ad esigenze organizzative, per le quali la delimitazione percentuale era stata puntualmente introdotta nel contratto allo scopo, perseguito dal legislatore del 1987, di impedire una utilizzazione distorta dell’istituto. Tale capo della sentenza di primo grado era stato specificamente impugnato dall’attuale ricorrente, che ora si duole del mancato esame del relativo motivo chiedendo a questa Corte di affermare se il giudice di appello che, nell’ipotesi suddetta, ometta la decisione sul punto devoluto in sede di gravame abbia violato l’obbligo di pronunziarsi su tutta la domanda di cui all’art. 112 c.p.c.; in caso affermativo, chiede che la sentenza sia cassata con rinvio per consentire una nuova pronuncia vertente sull’assenza di previsione contrattuale del limite numerico.

Ove poi questa Corte ritenesse che una pronuncia, benchè implicita, vi sia stata, stante l’applicazione della norma contrattuale alla fattispecie, chiede la ricorrente se sia o meno legittimo che le parti sindacali contraenti, nella enunciazione delle ipotesi aggiuntive a quelle di cui alla L. n. 230 del 1962, omettano l’indicazione delle percentuali previste dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, o se invece debbano considerarsi nulle o comunque inefficaci le ipotesi contrattuali e sindacali collettive di assunzione a termine individuate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, laddove non sia previsto, insieme all’ipotesi, anche il limite percentuale del ricorso all’ipotesi stessa. Di conseguenza, chiede se sia da considerarsi nulla la scadenza apposta ai contratti individuali stipulati per tali ipotesi.

Osserva il Collegio che non ricorre il vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.), avendo il giudice di appello implicitamente superato il rilievo di nullità della clausola contrattuale, di cui ha fatto applicazione. Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) quando una domanda non espressamente esaminata debba ritenersi rigettata – sia pure con pronuncia implicita – in quanto indissolubilmente avvinta ad altra domanda che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, che sia stata decisa e rigettata dal giudice (Cass. 23 settembre 2004 n. 12905; conf. Cass. 24 giugno 2003 n. 10001; Cass. 14 marzo 2006 nn. 5484 e 5485). Deve quindi ritenersi che la questione sia stata implicitamente decisa dal giudice di merito.

E’ infondata la censura di nullità (ri)proposta da parte ricorrente per non avere le parti sindacali contraenti specificamente indicato il limite percentuale nella particolare fattispecie.

La L. n. 56 del 1987, art. 23, sancisce, al comma 1, che l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modificazioni e integrazioni, nonchè al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato.

La L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti (cfr. Cass. S.U. sent. n. 4588 del 2006 e numerose successive conformi).

L’art. 19, comma 1, c.c.n.l. prevede quanto segue: “…ai sensi della L. 28 febbraio 1981, n. 56, art. 23, l’apposizione di un termine e alla durata del contratto di lavoro – oltre che nelle ipotesi di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e succ. modif. e integrazioni…è consentita…nelle seguenti ipotesi: a) per garantire le indispensabili necessità del servizio ed assistenziali e la totale funzionalità di tutte le strutture di cui all’art. 1 del presente contratto durante il periodo di ferie, per una percentuale non superiore al 30% dell’organico in forza…; j) per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (malattia, maternità, aspettativa facoltativa, infortunio, permessi, servizio militare o sostitutivo civile, ecc.)”.

Le parti collettive hanno previsto un limite percentuale per l’ipotesi di sostituzione di lavoratori in ferie, non anche per l’ipotesi relativa all’esigenza di sostituire personale assente dal servizio con conservazione del posto di lavoro. La previsione trova la sua ratio nella diversità dei presupposti di fatto sottesi all’assenza del dipendente e dunque all’esigenza sostitutiva che ne discende. Nel primo caso, è stata avvertita dalle parti sociali l’esigenza di circoscrivere, con la previsione di un limite quantitativo in funzione antielusiva, la possibilità di un uso indiscriminato della tipologia contrattuale, in quanto l’assenza per ferie attiene ad una situazione connotata da programmabilità; nel secondo caso, l’assenza è riconducibile a particolari condizioni in cui versa il lavoratore assente e ad eventi il cui verificarsi impone l’adattamento organizzativo, in nessun modo programmabili o preventivabili dall’imprenditore. Nella seconda ipotesi, il datore non può che prendere atto della situazione venutasi a creare e adottare il provvedimento sostitutivo occorrente per farvi fronte; la possibilità di elusione delle finalità della L. n. 56 del 1987, è in radice esclusa dal carattere cogente dell’evento riguardante la persona del dipendente, quale l’assenza per malattia, maternità o situazioni affini. Invero, le esigenze sottese alla necessità di previsione di un limite numerico non sono nemmeno ontologicamente configurabili nella seconda ipotesi, non potendo aprioristicamente stabilirsi se e quanti lavoratori potranno assentarsi in un determinato momento per il manifestarsi delle condizioni elencate (o di altre affini, cui rimanda l’avverbio “eccetera”) indicate dalle parti sociali.

La clausola contrattuale non è nulla, in quanto, valutata unitariamente, soddisfa il requisito di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, sono regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00) per compensi ed Euro 40,00 (quaranta/00) per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013.

Redazione