Le videoregistrazioni costituiscono una prova documentale e sono sempre utilizzabili nel processo (Cass. n. 6812/2013)

Redazione 12/02/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 8/11/2011, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza, in data 21/7/2010: esclusa la continuazione interna quanto al reato di atti persecutori di cui al capo E) ed, in accoglimento dell’appello del P.G., escluse le attenuanti generiche per tale reato, condannava V.L. alla pena di mesi 16, giorni 20 di reclusione;

ritenuta la continuazione fra i reati di cui ai capi A, B, C e D (tentata estorsione, molestie, danneggiamento ed ingiurie) con i fatti di cui alla sentenza della Corte d’appello di Milano in data 27/11/2008, rideterminava la pena complessiva in anni 2, mesi 6 di reclusione ed Euro 1.050,00 di multa, confermando le statuizioni civili.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame con il quali deduce:

3.1 Violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità per inosservanza od erronea applicazione dell’art. 191 c.p.p., in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 2.

Al riguardo ripropone l’eccezione di inutilizzabilità dei filmati dell’impianto di videosorveglianza installato all’esterno del negozio della persona offesa, assumendo che tali videoregistrazioni erano state effettuate in violazione del codice della privacy e pertanto, non potevano essere utilizzate, trattandosi di prova illegittimamente acquisita, ex art. 191 c.p.p..

3.2 Violazione di legge e di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento alla pena da applicare in continuazione per il reato di ingiuria, in relazione al D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 52 e 63, eccependo l’illegittimità dell’aumento di mesi 1 di reclusione ed Euro.50,00 di multa per il reato di ingiuria.

3.3 Violazione di legge e di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento all’esclusione delle attenuanti generiche per il reato di cui al capo E). Al riguardo eccepisce che il ricorso del P.M. doveva ritenersi inammissibile in quanto proponeva delle censure di merito.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, le censure sono destituite di fondamento. L’art. 234 del codice di rito testualmente statuisce: “E’ consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.

3. Pertanto le videoregistrazioni dell’impianto di sorveglianza apposto dalla persona offesa all’esterno del suo negozio non possono essere considerate prove illegittimamente acquisite ai sensi dell’art. 191, trattandosi di prove documentali di cui il codice di rito espressamente consente l’acquisizione. In tale contesto è del tutto irrilevante che le registrazioni siano state effettuate, in conformità o meno, delle istruzioni del Garante per la Protezione dei dati personali, non costituendo la disciplina sulla privacy sbarramento all’esercizio dell’azione penale. Del resto, con riferimento alle videoriprese effettuate dalla Polizia giudiziaria, questa Corte ha avuto modo di statuire che sono legittime le videoriprese, eseguite dalla polizia giudiziaria, in assenza di autorizzazione del giudice, mediante telecamera esterna all’edificio e aventi per oggetto l’inquadramento del davanzale della finestra e del cortile dell’abitazione, trattandosi di luoghi esposti al pubblico e, pertanto, oggettivamente visibili da più persone. Ne deriva che, in virtù di detta percepibilità esterna, non sussiste alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio e non sussistono, pertanto, le ragioni di tutela, sub specie di diritto alla riservatezza o alla “privacy”, ad essi connesse, potendosi, in tal caso, sostanzialmente equipararsi l’uso della videocamera ad una operazione di appostamento, eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa, senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10697 del 24/01/2012 Ud. (dep. 19/03/2012) Rv. 252673).

4. Anche per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso le censure non sono fondate. Nel caso di specie il delitto di cui all’art. 594 c.p., risulta commesso in connessione, ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. b), con altri e più gravi reati di competenza del Tribunale.

La connessione fa scattare la competenza del Tribunale e rende applicabile la pena editale prevista dal codice.

5. Infine è infondato il terzo motivo, dovendosi ehm escludere che il ricorso del PG in tema di attenuanti possa essere considerato inammissibile, dal momento che le censure riguardano vizi della motivazione.

6. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè alla rifusione in favore della parte civile, M.P., delle spese del grado che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore dalla parte civile, M.P., delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Redazione