Le delibere in materia disciplinare dell’ordine professionale si possono impugnare davanti al giudice ordinario (Cass. n. 4370/2013)

Redazione 21/02/13
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Svolgimento del processo

1. **** ricorre, affidandosi a quattro motivi e con atto notificato al solo Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (d’ora innanzi CNDCEC)in data 26.1.10, per la cassazione della deliberazione di quest’ultimo, adottata in data 24.6.09 ed a lui notificata il di 8.7.09, con la quale è stata confermata l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione di mesi 24 dall’albo, inflittagli dal Consiglio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano del 30.10.07, in dipendenza di fatti connessi all’arresto del ricorrente – in data 21.11.02 – per bancarotta fraudolenta di una società cooperativa fallita nel luglio 2002. Resiste con controricorso, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Consiglio Nazionale.

 

Motivi della decisione

2. Il ricorrente:

2.1. premette di avere proposto in data 4.8.09 ricorso avverso la medesima deliberazione, conformemente alle esplicite indicazioni contenute in quest’ultima, al tribunale di Milano, il quale però lo ha dichiarato inammissibile, con sentenza n. 13990 dep. il 28.10.09 ed in pari data notificata telematicamente, ritenendo che le impugnazioni delle deliberazioni disciplinari del CNDCEC andassero proposte alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in analogia a quanto disposto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, conv., con modif., in L. n. 36 del 1934;

2.2. articola quattro motivi:

2.2.1. con un primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censura l’esclusione della prescrizione, negando potersi ritenere sospeso il procedimento disciplinare nè ex lege per la pendenza del procedimento penale, nè per atto del Consiglio, in concreto mancato; e conclude con il seguente quesito di diritto: la Corte ritiene che il termine di prescrizione del giudizio disciplinare dei dottori commercialisti, di cui al D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 56, possa considerarsi interrotto obbligatoriamente fino al patteggiamento o, comunque fino alla sentenza penale, anche m mancanza della sospensione del procedimento disciplinare stesso da parte dell’Ordine dei Commercialisti nonchè in mancanza della notifica dell’ordinanza di sospensione al commercialista incolpato e, peraltro, nonostante la sussistenza di attività istruttoria e decisionale dell’Ordine stesso nel periodo di eventuale sospensione e ciò nonostante il disposto del D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 20?;

2.2.2. con un secondo, anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, conclude con il seguente quesito di diritto: la Corte ritiene che il dies ad quem della prescrizione possa individuarsi nella data della decisione del procedimento disciplinare e non nella data di notifica del provvedimento decisionale all’interessato?;

2.2.3. con un terzo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, si duole della non corrispondenza tra i fatti oggetto dell’addebito e quelli per i quali è stata comminata la sanzione, concludendo con il seguente quesito di diritto: la Corte ritiene che qualora, nel l’ambito di un giudizio disciplinare, l’Ordine di appartenenza dell’incolpato ponga a base della propria decisione un’ ipotesi di illecito disciplinare diversa da quella contestata, ci sia violazione del principio del contraddittorio in relazione agli artt. 12 e 111 Cost., nonchè all’art. 112 c.p.c., e che medesima violazione compia il Consiglio Nazionale che ometta ogni pronuncia in merito (sebbene richiesta)?;

2.2.4. con un quarto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta l’omessa valutazione di tutte le prove offerte, diverse dalla sentenza di patteggiamento, ritenute decisive ai fini difensivi.

3. Dal canto suo, il CNDCEC contesta partitamente i motivi di ricorso: quanto al primo ed al secondo, argomentando doversi applicare il termine prescrizionale quinquennale al solo avvio del procedimento disciplinare e non anche al provvedimento conclusivo, nonchè comunque l’art. 2945 c.c., sì da ritenere efficaci atti interruttivi anche l’impugnazione dell’atto di irrogazione della sanzione o le memorie o le stesse contestazioni dell’incolpato in corso di procedimento; quanto al terzo, prima di negarne la fondatezza per la configurabilità di un rigetto implicito, evidenziandone la non autosufficienza, per mancata trascrizione in ricorso degli atti rilevanti, sia che la censura si riferisca alla decisione del CNDCEC, sia che riguardi quella del Consiglio territoriale; in ordine al quarto, negando l’ammissibilità di una rivalutazione del merito del materiale istruttorio e quindi dello stesso vizio motivazionale dedotto dalla controparte.

4. Deve, di ufficio, verificarsi l’ammissibilità del ricorso, proposto direttamente a questa corte di cassazione avverso la decisione del CNDCEC; ed al riguardo:

4.1. con ord. 30 dicembre 2011, n. 30785, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che le deliberazioni rese in materia disciplinare dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili – pur non avendo il D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 32, testualmente riprodotto il precedente assetto di generalizzata impugnativa dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, indicato dal previgente D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 28, – possono essere impugnate dinnanzi al tribunale, trattandosi di materia che coinvolge situazioni di diritto soggettivo perfetto, sottratte a discrezionalità amministrativa, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario e, segnatamente, del tribunale del luogo dove ha sede il Consiglio che ha emesso la deliberazione;

4.2. tale conclusione va confermata, corrispondendo pienamente alle esigenze di ordinaria tutela delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte: infatti, la pretesa punitiva esercitata dal consiglio dell’ordine nei confronti degli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo, sia pure di natura pubblicistica (tra le altre: Cass. Sez. Un., 7 dicembre 2006, n. 26182; Cass. Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16402; Cass. Sez. Un., 4 febbraio 2009, n. 2637);

4.3. la contraria statuizione del tribunale di Milano, in effetti – e correttamente, stando a quanto appena detto – adito dal F., non vincola certamente questa Corte, perchè solo quest’ultima è giudice ultimo sulla competenza (ed a prescindere dalla difficile configurabilità di una translatio iudicii, in mancanza di riassunzione e, per di più, tra giudici di rango diverso);

4.4. del resto, non sarebbe ammissibile un’applicazione analogica di una normativa attributiva di competenza chiaramente eccezionale, quale quella in tema di impugnazioni delle deliberazioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, rispetto alla normale devoluzione al giudice ordinario delle controversie su diritti soggettivi, quali si configurano quelle in tema di sanzioni disciplinari ordinistiche;

4.5. nè la pronuncia del tribunale di Milano, in punto di sostanziale indicazione di una competenza ricavata per analogia da altri ordinamenti, è stata impugnata dal F. con gli strumenti processuali a tal fine espressamente previsti, così accettando egli il rischio, in una materia del tutto nuova, dell’erroneità della tesi in diritto adottata dal giudice di primo grado;

4.6. e l’evidente inammissibilità del presente ricorso esime, in applicazione del principio di Cass. Sez. Un., 22 marzo 2010, n. 6826, dalla verifica dell’integrità del contraddittorio, nonostante la notifica del ricorso soltanto all’autorità che ha emesso la decisione impugnata.

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile; ma, se non il carattere ufficioso del rilievo in base al quale esso è stato definito, quanto meno la novità della materia – di cui alla richiamata riforma del 2005 – e la contraria precedente, benchè erronea, statuizione integrano giusti motivi di totale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Redazione