Lavoro nero: non bastano dichiarazioni del lavoratore rese durante le visite ispettive per giustificare la sanzione al datore di lavoro (Cass. n. 19475/2012)

Redazione 09/11/12
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Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate, Ufficio di Pisticci, dopo aver esaminato il verbale di ispezione redatto dalla Direzione provinciale de lavoro di Matera nei confronti di S.N.A., irrogava una sanzione allo stesso pari ad Euro 12.930,30 D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, ex art. 3, comma 3, convertito in L. 23 aprile 2002, n. 73, per avere avuto alle dipendenze un lavoratore (L.B.) non risultante dalle scritture o, da altra documentazione obbligatoria.

Il S. impugnava la sanzione avanti la Commissione Tributaria provinciale di Matera che con sentenza n. 15/2005 accoglieva l’impugnazione annullando la detta sanzione. Proponeva appello l’Agenzia delle entrate avanti alla Commissione Tributaria regionale di Potenza che con sentenza del 4.1.2008 confermava la decisione di prime cure. La Commissione rilevava che difettava la prova della falsità della scritturazione aziendale in quanto sussistevano in tal senso le sole dichiarazioni del L. emotivamente scosso dall’intervento dei verbalizzanti. Le dichiarazioni successivamente erano state smentite da persona minorenne.

Per la cassazione di tale decisione promuove ricorso l’Agenzia delle Entrate formulando due motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega il difetto di giurisdizione in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 130/2008 aveva – pendente il termine per l’impugnazione delle sentenza di appello – dichiarato l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, nella parte in cui includeva nella giurisdizione della Commissioni tributarie controversie come quella di specie.

Il motivo è infondato in quanto la questione è coperta di giudicato alla stregua del principio affermato da questa Corte secondo il quale “allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano pronunciato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto questo profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare di ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi ormai di questione ormai coperta da giudicato implicito” (cfr. Cass. n. 19792/2001, Cass. n. 27531/2008 a Sezioni Unite). Nel caso in esame neppure con l’appello emerge che sia stata sollevata questione di giurisdizione.

Con il secondo motivo si allega l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Non erano state chiarite le regioni per le quali si era privilegiate non le dichiarazioni rese dal teste L.L. ai verbalizzanti ma quelle successive certamente “aggiustate” a distanza di tempo.

Anche tale motivo è infondato. La sentenza impugnata spiega in modo logico e persuasivo perchè le sole dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dal teste, ancora scosso emotivamente per la visita ispettiva, siano state ritenute insufficienti a provare la pretesa avanzata nei confronti dell’intimato: la sentenza non privilegia le seconde dichiarazioni ma ritiene, per quanto prima detto, che le prime siano insufficienti a provare la fondatezza della sanzione irrogata. La motivazione appare congrua, mentre le censure appaiono di merito, tendenti ad una rivalutazione del fatto, inammissibile in questa sede.

Si deve quindi rigettare il ricorso. Nulla sulle spese.

 

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Redazione