Lavoro: differenti tutele tra orfani e invalidi in caso di licenziamento (Cass. n. 18645/2012)

Redazione 30/10/12
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Ragioni della decisione

1. **** chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Venezia, pubblicata il 17 settembre 2007, che ha rigettato il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Vicenza aveva respinto la sua impugnativa di licenziamento nei confronti della “Ebara Pumps Europe spa”.
2. Il ricorso per cassazione è articolato in cinque motivi. La società ha depositato e notificato controricorso. La ricorrente ha depositato una memoria.
3. Con il primo motivo si sostiene che la sentenza della Corte di Venezia avrebbe violato la disciplina dettata dalla L. 12 marzo 1999, n. 68 in materia di diritto al lavoro dei disabili.
4. La ricorrente non è invalida, ma rientra nella categoria degli orfani di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio di cui si occupa la L. n. 68 del 1999, art. 18. Ella inoltre non è stata assunta obbligatoriamente per tale motivo; era già in servizio quando l’azienda, preso atto della sua condizione, ha deciso di inserirla nella quota riservata.
5. Il problema è di stabilire se a un lavoratore nelle condizioni della signora P. si applichi il comma 4 dell’art. 10 della medesima legge, per il quale “i licenziamenti per riduzione del personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitati nei confronti dei lavoratori occupati obbligatoriamente, sono annullabili, qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente, sia inferiore alla quota di riserva prevista dall’art. 3 della presente legge”.
6. La Corte d’appello di Venezia ha ritenuto di no per le seguenti ragioni. Perchè l’art. 18 prevede l’inserimento nella quota a determinate condizioni, in quanto, spiega la Corte: “non si parla di datori di lavoro con meno di cinquanta dipendenti e la quota non deve superare una unità”. Perchè la ricorrente “non è stata avviata al lavoro ai sensi della L. n. 68 del 1999, ma solo riconosciuta durante la sua occupazione come uno dei soggetti richiamati dall’art. 18”.
Perchè “i lavoratori delle categorie richiamate dall’art. 18 non sono ricordati nell’art. 10 che prevede limitazioni ai licenziamenti”.
7. L’interpretazione della Corte di Venezia è condivisibile.
8. La L. 12 marzo 1999, n. 68 è intitolata “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” ed è tutta costruita in funzione della condizione delle persone disabili. L’art. 18, contenente “disposizioni transitorie e finali”, al comma 2, ne estende il contenuto a persone che disabili non sono.
Il testo è il seguente:
“In attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell’aggravarsi dell’invalidità riportata per tali cause, nonchè dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, il cui status è riconosciuto ai sensi della L. 26 dicembre 1981, n. 763, è attribuita in favore di tali soggetti una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di cinquanta dipendenti, pari a un punto percentuale e determinata secondo la disciplina di cui all’art. 3, commi 3, 4 e 6, e all’art. 4, commi 1, 2 e 3, della presente legge. La predetta quota è pari ad un’unità per i datori di lavoro, pubblici e privati, che occupano da cinquantuno a centocinquanta dipendenti. Le assunzioni sono effettuate con le modalità di cui all’art. 7, comma 1. Il regolamento di cui all’articolo 20 stabilisce le relative norme di attuazione”.
9. Si tratta di un’aggiunta che pone il problema di stabilire se a costoro viene esteso tutto ed indistintamente il contenuto della legge, compreso in particolare l’art. 10.
10. Deve convenirsi con la Corte di Venezia nel senso che il richiamo dell’art. 18 non riguarda l’intera legge. Esso comporta l’estensione anche alle categorie di persone indicate nella prima parte del comma 2, dell’attribuzione di una quota di riserva, di ambito minore di quelle relative ai disabili (un punto percentuale per le aziende che occupano più di cinquanta dipendenti; una unità per le aziende che occupano dai cinquantuno ai centocinquanta dipendenti). Di più la legge non dice. Quindi anche queste persone avranno diritto alla assunzione se sussistono quei requisiti dimensionali e la percentuale di posti da coprire lo consente, ma non hanno tutti i diritti che la legge riconosce agli invalidi. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte si è già espressa affermando che “In tema di collocamento obbligatorio, gli orfani di lavoratore deceduto per causa di lavoro sono soggetti ad una disciplina diversa da quella prevista per i riservatari invalidi, atteso che, a differenza di quanto disposto dalla L. n. 482 del 1968, la L. n. 68 del 1999 non equipara più gli orfani ai riservatari disabili, ma prevede solo una quota di riserva in loro favore ed un obbligo di richiesta di avviamento a carico del datore, con limiti percentuali alle richieste nominative” (Cass. 16 maggio 2012, n. 7637; ma vedi anche, sebbene per un profilo diverso, Cass. 3 dicembre 2008, n. 28724).
11. Il richiamo dell’art. 18 non riguarda in particolare l’art. 10 della legge, al cui interno è inserita la norma concernente i licenziamenti. Norma quest’ultima che, peraltro, ed è questa l’ulteriore ragione per la quale non può essere applicata al caso della signora P., non riguarda coloro che non sono stati assunti obbligatoriamente.
12. Infatti la disposizione è intitolata “Rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti”. E tutto il suo contenuto è orientato a disciplinare il rapporto di lavoro degli disabili assunti obbligatoriamente, a cominciare dall’incipit: “Ai lavoratori assunti a norma della presente legge si applica…….”). Anche il quarto comma pur utilizzando l’espressione “occupati”, mediante l’avverbio “obbligatoriamente” si coordina con l’impostazione generale, che non concerne coloro che sono stati assunti liberamente, pur rientrando in una delle categorie protette.
13. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è consolidata. Cass. 26 giugno 2009, n. 15080 ha affermato: “In tema di diritto al lavoro dei disabili, la L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 10, comma 4, – secondo il quale il recesso di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’art. 3 – si applica espressamente e in maniera esclusiva ai lavoratori assunti in forza della disciplina dettata in materia di assunzione obbligatoria, senza che, ove la quota di riserva aziendale risulti scoperta, sia computabile nella stessa il personale invalido non assunto obbligatoriamente”.
14. Sono intervenute anche le Sezioni unite con la sentenza 2 aprile 2008, n. 8452 in cui si afferma: “In tema di diritto al lavoro dei disabili, la L. n. 68 del 1999, art. 8, comma 5, nello stabilire che i lavoratori disabili, licenziati per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, mantengono la posizione in graduatoria acquisita all’atto di inserimento nell’azienda, invece di richiedere una nuova iscrizione con decorrenza “ex nunc”, reca una disposizione di favore, frutto di una scelta discrezionale del legislatore operata, nel rispetto del principio stabilito dall’art. 38 Cost., comma 1, in base ad un bilanciamento tra la tutela del disabile già beneficiario di un atto di avviamento e quella degli altri disabili in attesa ancora del primo atto di avviamento, la quale, proprio per l’eccezionalità della garanzia ed il contesto normativo nel quale è collocata (ossia la disciplina degli elenchi e delle graduatorie dei disabili), va interpretata nel senso che il mantenimento della posizione di graduatoria presuppone che l’avviamento al lavoro del disabile sia avvenuto in forza di collocamento obbligatorio e non già di collocamento ordinario”.
15. Con il secondo motivo si denunzia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 perchè il licenziamento sarebbe privo di giustificato motivo oggettivo.
16. La Corte ha verificato che effettivamente “il posto della lavoratrice nel reparto personale è stato soppresso per accorpamento a quello del dirigente che è rimasto l’unico soggetto ad occuparsi di tale aspetto”.
17. La ricorrente riconosce che nel febbraio 2003 la situazione era che il sig. O.H. diventò responsabile del personale della sede di (omissis), ed essa ricorrente della sede di (omissis). E riconosce che le due funzioni vennero accorpate in capo all’ O. H. e tale accorpamento è la causa del suo licenziamento, ma sostiene che in precedenza era lei a svolgere le funzioni di responsabile del personale delle sedi di (omissis) e di (omissis) e che quindi la ragione del licenziamento era in realtà costituita dalla sua sostituzione con l’altro dipendente. La Corte di Venezia invece afferma che la ricorrente ha in quella sede sostenuto che il posto di dirigente dell’ufficio personale era in precedenza inesistente.
18. Sul punto il giudizio attiene al merito, tanto sotto il profilo della valutazione delle posizioni espresse dalle parti negli atti di causa, che sotto il profilo della valutazione degli elementi di prova acquisiti nel processo. In presenza di una motivazione articolata e coerente, il giudizio di merito non può essere riaperto in sede di legittimità.
19. Gli ultimi tre motivi denunziano vizi di motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
20. Il terzo motivo concerne l’effettuazione da parte della società di una proposta di lavoro alternativa alla ricorrente, da questa rifiutata e la inaccettabilità di tale proposta perchè implicava conoscenza della lingua tedesca che la ricorrente non ha.
21. Il quarto concerne l’assunzione, due mesi dopo il licenziamento, del sig. C., che la Corte ha ritenuto sia stato adibito ad un incarico tecnico non compatibile con quello della ricorrente. Ed è su questo punto che la motivazione sarebbe stata “omessa o sarebbe insufficiente ed erronea”.
22. Il quinto motivo concerne l’effettuazione di assunzioni di impiegati da parte della società nei periodi immediatamente precedenti e successivo al licenziamento.
23. La lettura della sentenza mostra che su tutti questi fatti la Corte di Venezia ha motivato il suo giudizio, per cui non si può parlare di omissione di motivazione, e lo ha articolato in modo adeguato, certamente sufficiente e senza contraddizioni. Non sussistono pertanto i motivi di impugnazione per cassazione richiesti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, invocato dalla ricorrente.
24. Tutte le censure contenute in questi motivi propongono argomenti volti a dimostrare l’infondatezza dei giudizi della Corte di Venezia e concernono il merito della decisione, scambiando il giudizio di Cassazione per un terzo grado di merito (non può, ad esempio, discutersi in sede di legittimità sulla possibilità di svolgere determinate mansioni grazie alla conoscenza dell’inglese e senza necessità di conoscere il tedesco, oppure stabilire se la funzione di addetto al controllo di “gestione-reporting” avrebbe potuto essere svolta anche dalla ricorrente in luogo del lavoratore neo-assunto a tal fine).
25. Concernendo il merito della causa i tre ultimi motivi sono inammissibili in sede di giudizio di legittimità.
26. Il ricorso deve quindi essere respinto, con condanna della parte soccombente al rimborso delle spese alla controparte.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso alla controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 40,00 Euro per esborsi, 2.500,00 Euro per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 settembre 2012.

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