Contratto di agenzia: riscossione delle somme da parte dell’agente. L’indennità di maneggio denaro per l’incasso del denaro per conto del preponente spetta all’agente anche se tale previsione non è contenuta nel contratto di agenzia (Cass. n. 21079/2013)

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Massima

In tema di contratto di agenzia, l’agente ha diritto al pagamento della indennità di maneggio di denaro, nonché delle provvigioni per i contratti stipulati, non solamente nel momento in cui risulti ciò da atto scritto ma anche nel momento in cui tale esercizio risulti abituale e costante da parte dello stesso.

 

1. Premessa

Nella decisione del 16 settebre 2013 n. 21079 i Giudici della Corte di Cassazione, nella sezione lavoro, hanno precisato che, in tema di contratto di agenzia, l’attribuzione all’agente della facoltà di riscossione viene concessa in ogni formata e provata con ogni mezzo, anche per presunzioni.

Da ciò ne consegue che l’agente ha diritto al pagamento della indennità di maneggio di denaro e di provvigioni per i contratti stipulati, sia quando ciò risulta espressamente scritto nel contratto stesso, e sia quando tale esercizio sia abituale e costante da parte dello stesso (1).

 

1.1. La fattispecie

In sede di appello i Giudici, in parziale accoglimento dell’appello principale e respinto l’appello incidentale, condannava la società al pagamento di una somma di denaro, in favore dell’agente, a titolo di indennità di maneggio di denaro e di differenze provvisionali.

Ha ritenuto la Corte che “l’eccezione di prescrizione formulata dalla società fosse fondata in relazione alle competenze spettanti al M. maturate nel 1998 e fino al 1999 e ciò in ragione dell’attribuita valenza interruttiva ad una lettera ricevuta dalla S. S.p.A. il 7/1/1999 con la quale l’avv. B. aveva richiesto per conto del M. il pagamento dell’indennità maneggio di denaro per gli anni dal 1998 a 2001 nonché le provvigioni per i contratti stipulati nel medesimo periodo. Riteneva, inoltre, che, pur non risultando dal contratto individuale stipulato tra le parti alcun riferimento alla facoltà del M. di incassare denaro per conto della S., l’esercizio abituale e costante da parte dello stesso di tale facoltà e l’evidente tacito consenso della società fossero significativi del diritto alla corresponsione della indennità di incasso da determinarsi in base al lavoro prestato, ai risultati ottenuti ed avuto riguardo all’entità della percentuale di provvigione pattuita (da non ritenersi già comprensiva del relativo compenso) rispetto alla complessiva attività di agenzia. Riteneva, inoltre, sulla base delle risultanze della prova testimoniale, che spettasse al M. la pattuita provvigione dell’8% limitatamente agli affari oggetto delle fatture emessa dalla S. nei confronti della P. nel periodo dal 26/1/1999 al 7/6/2000”.

In Cassazione i motivi del ricorso vengono affidati a tre motivi.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (2).

 Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’AEC 19/12/1979 e dell’AEC 16 novembre 1988 di rinnovo dell’AEC 19/12/1979 (3).

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2225 c.c. (4).

 

2. Conclusioni

I giudici della Corte nella decisione in commento, ricordando precedenti sul tema (5) hanno precisato che “nel rito del lavoro, caratterizzato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, deve esercitare il potere – dovere, previsto dall’art. 437 cod. proc. civ., di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché i fatti stessi siano allegati nell’atto costitutivo, non verificandosi in questo caso alcun superamento, a mezzo dell’attività istruttoria svolta d’ufficio dal giudice, di eventuali preclusioni o decadenze processuali già integratesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile al fine di decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo” .

Ribadisce ancora la Corte nella decisione commentata che lo svolgimento da parte dell’agente di attività di incasso per conto del preponente dei corrispettivi dovuti dai clienti non rappresenta un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, bensì un ulteriore compito che le parti possono convenire (6).

L’articolo 1744 c.c. non prevede una particolare forma per la concessione della facoltà di riscossione, precisando solo che ove la stessa sia stata attribuita all’agente, lo stesso non può concedere sconti oppure dilazioni senza autorizzazione speciale.

Si legge testualmente nella sentenza del 16 settembre 2013 che “Né la società invoca a sostegno della doglianza l’esistenza di accordi collettivi di diverso tenore; in conseguenza la pattuizione negoziale per l’attribuzione di un incarico di riscossione può essere concessa in qualunque forma e provata nei modi ordinari, anche per presunzioni, come ha fatto nel caso di specie il giudice di appello, che ha desunto la prova dal comportamento costante delle parti.

In questo senso si è anche espressa questa Corte con una pronuncia risalente: “in tema di agenzia, l’avvenuta attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere può essere provata, nei casi in cui non sia richiesta la forma scritta, con ogni mezzo di prova e quindi anche con presunzioni” (7). L’orientamento è stato di recente confermato nella decisione dell’8 giugno 2012, n. 9353 con la quale è stato ritenuto che la pattuizione negoziale per l’attribuzione di un incarico di riscossione può essere concessa in qualunque forma e provata nei modi ordinari”.

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti; dal 2013 Tutor di Diritto Civile Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. M. Orlandi

 

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(1) In tal caso vi è il consenso tacito della società.

(2) Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia disposto l’escussione di due testi senza che l’appellante ne avesse fatto richiesta.

(3) Si duole del fatto che la Corte torinese non ha tenuto conto dei presupposti previsti dall’AEC in vigore all’epoca dei fatti per la corresponsione dell’indennità di maneggio denaro e cioè: il conferimento scritto dell’incarico; la continuità dell’incarico; la responsabilità dell’agente per errore contabile.

(4) Si duole della valutazione equitativa dell’indennità di maneggio denaro essendo la relativa spettanza del tutto sfornita di prova.

(5) Cass. 10 gennaio 2005, n. 278; id. 5 febbraio 2007, n. 2379; 25 maggio 2010, n. 12717.

(6) Cfr. Cass. civ., 5 luglio 1997, n. 6077.

(7) Cass. n. 2465 del 19/6/1975.

Sentenza collegata

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