Professionisti e compenso: sulla inadeguatezza del compenso a seguito di ulteriori prestazioni (Cass. n. 15628/2012)

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Massima

Il professionista il quale concordi un compenso forfetario deve subito chiedere l’aumento per le prestazioni ulteriori.

Il compenso non può subire modifiche non concordate.

L’articolo 2233 del codice civile, al comma primo, dispone che il compenso dovuto per le prestazioni di opera intellettuale, se non convenuto dalle parti e non stabilito secondo tariffe ed usi, viene determinato dal giudice.  

 

 

1.     Premessa

 

Nella decisione in commento del 18 settembre 2012, n. 15628 i giudici della Corte, hanno precisato che il professionista che abbia concordato un compenso forfetario con il proprio cliente può ottenere un adeguamento dello stesso per le ulteriori prestazioni solamente nella ipotesi in cui la richiesta venga fatta immediatamente.

Con la sentenza in oggetto la Cassazione ha stabilito che un incremento eventuale delle prestazioni effettuate rispetto a quelle pattuite inizialmente, avrebbe dovuto essere palesato subito dal professionista al proprio cliente.

E’, infatti, contrario alla buona fede il comportamento del professionista che svolga prestazioni ulteriori rispetto a quelle pattuite, con la riserva mentale di chiedere, successivamente, un compenso aggiuntivo.

Il compenso per prestazioni professionali deve essere determinato in base alla tariffa nonché adeguato alla importanza dell’opera solo nella ipotesi in cui non sia stato liberamente determinato.

Ciò in quanto l’articolo 2233 del codice civile, pone una garanzia di carattere preferenziale tra i criteri per la determinazione del compenso ed attribuisce rilevanza anzitutto alla convenzione tra le parti e poi (1) alle tariffe ed agli usi e, infine, come giurisprudenza sul tema riporta (2), alla determinazione del giudice.

Non operano, invece, i criteri di cui all’articolo 36 della Costituzione, in quanto applicabili ai soli rapporti di lavoro subordinato.

Da ciò ne consegue che la violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non comporta la nullità del patto in deroga (3).

 

 

2.      La fattispecie

 

Con la decisione in commento i giudici della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso presentato da un professionista avverso due precedenti sentenze che avevano respinto la richiesta dello stesso rivolta al conseguimento dei compensi professionali aggiuntivi, rispetto a quelli pattuiti e concordati con il cliente.

Ultimati i lavori, infatti, il professionista (architetto) aveva richiesto un adeguamento del compenso pattuito, adducendo quale motivazione che nel corso dei lavori si era visto “costretto” a compiere altre attività rispetto a quelle inizialmente previste, e che avevano, quindi, reso inadeguato l’onorario pattuito.

La domanda dell’architetto veniva respinta dai giudici di merito, ed in sede di Appello la Corte aveva rilevato un accordo sottoscritto dal professionista ove era stato pattuito il compenso professionale in seguito a trattativa con il cliente.

Il compenso era stato scontato dal professionista rispetto alla (allora) vigente tariffa.

Il professionista ricorreva in Cassazione sia per il riconoscimento del compenso per le prestazioni aggiuntive sia per il fatto che quanto stabilito in sede di contrattazione andava sotto i minimi tariffari.

 

 

3. Conclusioni

 

 

Nella decisione in commento, secondo quanto precisato dalla Corte di cassazione,  il preventivo sottoposto ed accettato dal cliente non può essere arbitrariamente ritoccato dal professionista senza che il cliente sia stato informato e ne abbia accettato, quindi,  le successive modifiche.

Un eventuale incremento delle prestazioni rispetto a quelle preventivate, infatti, con conseguente inadeguatezza del compenso, deve essere immediatamente palesato dal professionista al cliente.

La Corte, seguendo tale impostazione, ha, quindi, respinto la domanda dell’architetto dichiarando che lo stesso avrebbe dovuto rendere noto, da subito, al proprio cliente, l’eventuale incremento delle prestazioni ulteriori rispetto a quelle pattuite inizialmente.

Il comportamento del professionista, in tal senso, è contrario alla buona fede.

Gli Ermellini hanno, inoltre, rilevato che l’accordo tra l’architetto ed il cliente non si era formato in base ad una richiesta forfetaria, bensì ipotizzando un costo presuntivo dell’opera ed una percentuale del 10% per il professionista (4).

Per quanto, invece, concerneva la seconda richiesta del professionista, ovvero la denuncia della violazione dei minimi tariffari, in sede di Appello già la Corte aveva rilevato un precedente di legittimità (5) che specificava come tra il privato ed il professionista è possibile la pattuizione di un compenso che deroghi ai minimi della tariffa professionale.

Si legge testualmente nella decisione in commento “……Incomprensibilmente il ricorso propone una diversa interpretazione di questa sentenza, ma la Corte intende ribadire, come ha fatto di recente (con Cass. 21235 del 05.10.2009) che “il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36, primo comma,. Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge 5 maggio 1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418, primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale.”

Pertanto ove anche l’accordo forfettario abbia condotto a un importo inferiore ai minimi tariffari giustamente viene considerato legittimo”.

I “principi di diritto” desumibili, quindi, dalla sentenza della Corte di Cassazione del 18 settembre 2012 n. 15628, in ordine a tale problematica sono:

– un incremento eventuale delle prestazioni effettuate rispetto a quelle pattuite inizialmente – con conseguente sopravvenuta inadeguatezza del compenso – avrebbe dovuto essere immediatamente palesato al cliente dal professionista;

–  sarebbe stato, infatti, contrario a buona fede il comportamento dell’architetto che avesse svolto ulteriori e successive prestazioni rispetto a quanto previsto, con la riserva mentale di chiedere, poi, un compenso aggiuntivo;

– immancabile premessa avrebbe dovuto essere, di conseguenza, una tempestiva indicazione dal parte del professionista del superamento dei limiti della prestazione, come inizialmente pattuita e del compenso relativo, fissato con la trattativa.

Non avendo, quindi, il professionista agito in tal modo (6) si poteva da ciò trarre la conferma che il pattuito compenso forfetario era da ritenersi congruo e soddisfacente.

Per i motivi sopra esposti, quindi, la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge. 

 

 

4. Sulla abrogazione delle tariffe professionali

 

Vi è ulteriormente da specificare in ambito di tariffe professionali, che dopo l’abrogazione delle tariffe minime ad opera dell’articolo 9 del decreto – legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazione della legge 24 marzo 2012 n. 27,  il Ministero della Giustizia ha approvato un regolamento (d.P.R. 140/2012) determinante i parametri per la liquidazione del compenso del professionista da parte di un organo giurisdizionale. Sei i diversi scaglioni di riferimento indicati nel regolamento – il primo fino a 25 mila euro, l’ultimo per le controversie di valore indeterminabile.

La Cassazione si è pronunciata sull’applicazione dei “nuovi” parametri con due sentenze gemelle (Cass. S.U. n. 17405 e n. 17406 del 12 ottobre 2012) pronunciate all’esito di cause in cui ricorrente era il Comune di Montecatini Terme (7).

“Il Supremo Collegio fonda la propria decisione sul disposto dell’art. 41 dello sciagurato D.M. 20 luglio 2012, n. 140 secondo cui le disposizioni che determinano i parametri, ai quali devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione quando la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all’entrata in vigore del medesimo decreto.

Sostiene quindi che tale norma, per ragioni di ordine sistematico e dovendolesi dare un’interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l’ordinamento,:

–         debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo al 22 agosto 2012;

–         si riferisca al compenso spettante a un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate”. (8).

 

 

Manuela Rinaldi   Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.

 

 

___________ 

(1) Solo in mancanza di quest’ultima ed in ordine successivo.

(2) Cass. civ., Sez. II, 05/10/2009, n. 21235; contra Cass. civ. Sez. II, 28/06/2000, n. 8787.

(3) In quanto si tratta di precetti non riferibili ad un interesse generale, ovvero dell’intera collettività.

(4) Somma da cui era, poi, stata effettuata la richiesta di pagamento.

(5) Cfr. sul punto Cass. civ. n. 1223/2003.

(6) Come imposto dalla correttezza contrattuale.

(7) Per il commento a tali pronunce Cfr.  Parametri forensi: le Sezioni Unite si esprimono con le sentenze di Montecatini  Cassazione civile , SS.UU., sentenza 12.10.2012 n° 17406 commento di Andrea Bulgarelli in Altalex.com del 16 ottobre 2012, http://www.altalex.com/index.php?idnot=19461

(8) Cfr. la nota 7 per il commento di Bulgarelli Andrea.

Sentenza collegata

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